“Ho chiesto alla Chiesa di interrogarsi sulla ricezione del Concilio. E' stato fatto?”
  Con questa domanda il Papa si rivolge a noi nel paragrafo 57 della Novo Millennio Ineunte. La seconda stupenda parte
  della lettera si sviluppa in continuità con uno dei documenti più importanti (e talvolta meno
  conosciuti) del Concilio Vaticano II, la Costituzione sulla Divina Rivelazione, la Dei Verbum, che è
  esplicitamente citata dal Santo Padre. Dio ci consente “di affacciarci, in qualche modo, sull'abisso del
  mistero” (NMI 21). Ogni volta che ci serviamo della parola “mistero” – e possiamo e dobbiamo
  farlo da cristiani - dobbiamo essere coscienti che, da chi non è cristiano, non è compresa nel modo in
  cui la intendiamo. Il non credente usa la parola “mistero” per indicare ciò che è
  impossibile conoscere, ciò di cui non si capisce niente. La Madre Chiesa la usa per indicare che
  “piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza, rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua
  volontà” (DV 2). Il mistero era nascosto, ma a noi che viviamo alla fine dei tempi, che sono quelli in
  cui “Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2), Dio si è rivelato.
   Possiamo avvicinarci ad intravedere questo, attraverso la considerazione della nostra esperienza di uomini. Ognuno
  di noi resta un mistero per gli altri uomini, finché noi stessi non decidiamo in piena libertà, di
  raccontare chi siamo e quale è la storia che ci ha portato ad essere quello che siamo. Quante volte ci capita
  che solo dopo anni di conoscenza di una persona, essa decida di raccontarci alcuni eventi della sua vita che l'hanno
  segnata, che l'hanno trasformata. Mai avremmo potuto immaginarli se quella persona non avesse voluto, nell'amore,
  farsi conoscere da noi. Diciamo allora: ecco ora comprendo, ora ti conosco, ora ho capito! Dio ha voluto, pur
  restando infinitamente più grande di ciò che noi possiamo di Lui comprendere, che noi contemplassimo il
  Suo volto, nell'amore che il Padre, il Figlio e lo Spirito si portano reciprocamente e donano a noi.
  
   E' a partire da questo che comprendiamo, nella disposizione sapiente dell'architettura della lettera NMI,
  perché si arrivi poi a ribadire che non sussiste dubbio, nella fede cattolica che il “primato della
  santità e della preghiera non è concepibile che a partire da un rinnovato ascolto della parola di
  Dio” (NMI 39). Dice il Documento della Congregazione della Dottrina Cristiana, Orationis forma, anch'esso
  citato nella lettera: “A una preghiera autenticamente cristiana è essenziale l'incontro di due
  libertà: quella infinita di Dio con quella finita dell'uomo” (n.3).
   La presenza nella storia dell'unica Parola di Dio che è il Figlio, il Cristo Signore, il Verbum Dei, fa
  sorgere la domanda riportataci dall'evangelista Giovanni: “Vogliamo vedere Gesù” (NMI 16).
  Affinché anche noi possiamo vedere Gesù, la “tradizione” degli apostoli, la predicazione di
  coloro che “lo hanno visto con i loro occhi, udito con le loro orecchie, toccato con le loro mani”, si
  è fissata nelle Sacre Scritture. Nella NMI il papa riprende le parole di Girolamo già citate dalla Dei
  Verbum: “Ignoratio Scripturarum, ignoratio Christi est, l'ignoranza delle Scritture è ignoranza di
  Cristo stesso” (NMI 17). La Parola scritta (Locutio Dei) è sempre secondaria rispetto alla Parola che
  è il Figlio stesso (l'unico Verbum Dei). Insieme, però, è assolutamente necessaria,
  finché non venga la Parusia, per “vedere il Figlio”. Trascurarla, non pregarla, non studiarla e
  non donarla ad altri è segno della mancanza di amore al “mistero” di Dio.
  
   La NMI non in maniera teorica, ma con stupendi esempi ci mostra come l'immensità della Parola di Dio, del
  Figlio, non si manifesti solo nella Scrittura, ma anche nella Tradizione della Chiesa, nel “grande patrimonio
  che è la teologia vissuta dei santi”” (NMI 27). Per dare luce al grido di Gesù sulla croce,
  alla sua esperienza insieme di abbandono e di confidenza nella presenza del Padre, il Papa cita S.Caterina da Siena
  – “E l'anima se ne sta beata e dolente: dolente per i peccati del prossimo, beata per l'unione e per
  l'affetto della carità che ha ricevuto in se stessa. Costoro imitano l'immacolato Agnello, l'Unigenito Figlio
  di Dio, il quale stando sulla croce era beato e dolente” – e S.Teresa di Lisieux – “Nostro
  Signore nell'orto degli ulivi godeva di tutte le gioie della Trinità, eppure la sua agonia non era meno
  crudele. E' un mistero, ma le assicuro che, da ciò che provo io stessa, ne capisco qualcosa”. Ecco
  cos'è l'esegesi spirituale, la lettura nello Spirito della Sacra Scrittura! Il Papa che prima si era espresso
  indicando l'importanza di riscoprire la fondatezza storica dei testi del Nuovo Testamento, attraverso un lavoro di
  teologia fondamentale (NMI 17-18), ci da qui una testimonianza del leggere la Scrittura nello stesso Spirito Santo
  con cui è stata scritta.
  
   Di questa feconda tensione vive la collocazione della Scrittura nella liturgia cristiana, che deve sempre essere
  proclamata, ma accompagnata obbligatoriamente dalla viva voce della Chiesa che, attraverso l'omelia, la manifesta
  viva per il giorno che viviamo.
   Con l'insegnamento sull'ascolto della Parola il Papa ci invita a dar luce al mondo, facendola divenire la Parola
  dell'evangelizzazione, la nostra Parola. La Chiesa non può unirsi all'attuale deprezzamento che circonda il
  comprendere, lo spiegare ed il parlare, deprezzamento che vorrebbe insinuare che l'esperienza basta a se stessa. La
  Chiesa con gioia annunzia che non vi è vera esperienza senza comprensione del perché, senza parole che
  interpretino e comunichino la vita stessa, ma soprattutto che la Parola che svela a noi il senso di tutto ciò
  che esiste è stata a noi rivolta in Cristo Gesù dal Padre misericordioso e onnipotente.
Andrea Lonardo