Il patriarca Giuseppe è uomo che piange in silenzio, piange di nascosto, non sembra capace neanche di poter condividere il pianto.
«Giuseppe vide i suoi fratelli e li riconobbe, ma fece l'estraneo verso di loro, parlò duramente e disse: “Di dove siete venuti?”... Giuseppe riconobbe i suoi fratelli, mentre essi non lo riconobbero... Allora Giuseppe si allontanò da loro e pianse: poi tornò e parlò con essi. Scelse fra di loro Simeone e lo fece incatenare sotto i loro occhi» (Genesi 42, 6-24).
Appare capace di commozione, ma anche arrogante, duro, freddo nei rapporti con i suoi stessi
familiari. Come è possibile questo?
La Scrittura Santa ci racconta l'origine del conflitto fra Giuseppe ed i suoi fratelli. Due donne, due madri sono
all'origine di questo conflitto.
Rachele è bella, avvenente e Giacobbe la ama di cuore. Lia è brutta, non riesce a rapire il cuore di
suo marito che l'ha sposata non liberamente.
Quante lacrime piangiamo in silenzio per la difficoltà di accettare il nostro corpo, la nostra
identità, quante volte è difficile piacere a noi stessi. Spesso perché il nostro corpo è
stato deriso, messo in piazza, indicato pubblicamente o rifiutato.
Lia ha però la grazia di essere feconda, di poter generare vita. Vive non inutilmente. Rachele è
inutile: non ha figli, li implora da Dio, ma invano. Chi ha la bellezza non vuole essere amabile per questo; vuole
esser stimata, esser ritenuta intelligente, viva, feconda, preziosa.
Due figli genererà infine Rachele, ma nel dare alla luce il secondo, Beniamino, morirà. Non si genera
alla vita se non pagando di persona, nel dono del proprio sangue, del proprio tempo. Beniamino si sarebbe dovuto
chiamare Ben-Qni, il figlio del mio dolore. È il padre a cambiargli nome, perché diventi “figlio
della destra”, figlio del buon augurio.
Al conflitto delle donne, mai rappacificatesi, fa seguito la lotta fra i figli. I dieci fratelli non possono
sopportare l'evidente predilezione di Giacobbe per i due figli di Rachele, Giuseppe e Beniamino. Dei due è
soprattutto Giuseppe il più amato, lui che è il primogenito di Rachele, colui al quale il padre ha
regalato la tunica dalle lunghe maniche.
La presenza di chi è amato rinnova continuamente la coscienza dell'assenza di amore che ci accompagna, la
sete di amore mai saziata, la ferita, la paura di non essere amati ed amabili.
Nell'invidia i fratelli decideranno di uccidere il prediletto, poi ripiegheranno sulla decisione di farlo sparire,
vendendolo per denaro.
Vorremmo tutti che il nostro nemico non fosse presente, non fosse lì a ricordarci sempre chi siamo, vorremmo
stare con altri senza la sua presenza. È un presagio di morte il non tollerare qualcuno al nostro fianco,
nella nostra stessa casa o comunità. Cominciamo a desiderare che muoia.
Quando la carestia imperversa e manca il cibo i fratelli decidono di partire per l'Egitto a cercare grano per la
loro gente. È Giuseppe ad accoglierli. Li ama ancora, ma è troppo ferito, deve difendersene, non sa
neppure quale sia stata la sorte del suo fratello minore, Beniamino. Forse, nell'invidia, hanno ucciso anche lui?
Ecco il senso del testo già citato!
Sono lacrime di silenzio, lacrime che nessuno riesce ancora ad udire. Appare solo la severità di un uomo che
incatena un altro uomo, per non essere ingannato.
Ma, quando i fratelli ritornano e Beniamino è ancora vivo ed è vivo il padre Giacobbe, allora è
possibile anche la gioia per un legame di amore ritrovato. La speranza ed il perdono restituiscono vita ad una
relazione mai morta, solo nascosta dal dolore subìto.
«Giuseppe si gettò al collo di Beniamino e pianse stringendoli a sé. Anche Beniamino piangeva stretto al suo collo. Poi baciò tutti i fratelli e pianse stringendoli a sé. Dopo i suoi fratelli si misero a conversare con lui» (Genesi 45,14 – 15).
Si può piangere abbracciandosi. Si è feriti, vulnerabili, perché chiunque si
avvicina ad un fratello è in pericolo, ma questa volta si è nella sicurezza dell'abbraccio. È un
pianto di comunione, quello che avviene adesso.
I sensi di colpa tormentano i dieci fratelli, tormentano le notti di chi sa di non essere stato all'altezza
dell'amore, tormentano l'allegria degli abbracci, rinnovano la paura di poter essere ancora rifiutati.
“Non temete. Sono io forse al posto di Dio? Se voi avevate pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere ciò che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso» (Genesi 50,20).
Giuseppe si fa, allora testimone, con queste parole, della presenza di Dio che non ha cessato di
guidare la vita di tutti e dodici i fratelli. Tutto il pasticciare della vita umana – pasticciare che mai viene
di per sé benedetto, nella Scrittura Santa – non impedisce, però a Dio di essere provvidenza, di
presentare lo stesso all'uomo possibilità di novità, di svolta, di conversione, di nuovo incontro di
bene. Mai la storia è solo opera umana, sia che l'uomo riesca nel suo essere immagine dell'Altissimo, sia che
fallisca. Ed il grande orgoglio è proprio l'illusione di essere i conduttori della storia e delle storie.
Tutta la storia della Genesi è anche storia di fratelli e di parenti [1] che non trovano accordo fra loro. Più l'altro mi è vicino e congiunto e
più la ferita che mi infligge o che gli infliggo è grave. La predilezione di uno sembra essere la
rimozione della presenza dell'altro o, almeno, il suo indietreggiare, il suo iniziare ad essere dimenticato.
Solo nel compimento della storia santa, quando l'Unigenito, il Prediletto sarà venuto, la sua predilezione
nulla toglierà agli altri, ma anzi si muterà in abbondanza di grazia infinita riversata su tutti.
Mostrerà che come c'è una preferenza “contro” altri, c'è anche una chiamata, una
scelta, una elezione di Dio, “a favore di molti”, a favore di tutti.
Giuseppe è profezia di questo.
d.Andrea Lonardo
Giuseppe e i suoi fratelli (Gen 37-50) della prof.ssa Bruna Costacurta
Per altri articoli e studi di d.Andrea Lonardo o sul libro della Genesi presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici
[Nota 1]
Per una rilettura della Genesi che sottolinei tutte le possibilità e le tensioni dei legami familiari, in
particolare la relazione che unisce e separa i fratelli, sotto l'ombra di Dio, vedi l'insuperabile studio di L.Alonso
Schoekel, Dov'è tuo fratello?, Paideia, Bresia, 1987.