Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio.
L'imbarazzo comune dinanzi a questo brevissimo testo appare immediatamente dal fatto che, nella proposta di letture per la celebrazione del matrimonio della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), è omesso. Eppure nessun esegeta dubita che esso sia pertinente proprio alla pericope notissima che viene invece suggerita:
Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l'amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio (Ct 8, 6-7).
Il testo, in realtà molto semplice e di grande bellezza, vuole affermare che l'amore non è acquistabile, non è in commercio. Una traduzione come quella di Luis Alonso Schoekel [1] ha il merito di mettere questo immediatamente in evidenza:
Se si cerca di comprare l'amore, se ne avrà disprezzo, anche dando in cambio una
fortuna.
Il versetto annuncia quello che von Balthasar chiama il “miracolo” dell'amore. Esso, come la Rivelazione
di Dio, non è deducibile da me. Se dimostrassi che l'amore di un altro per me ha origine in me e non nella
piena libertà dell'altro, lo avrei distrutto, negato nella sua essenza.
Così von Balthasar, in Solo l'amore è credibile:
Un amore che mi è donato, posso “intenderlo” sempre e solo come un miracolo, non posso
manipolarlo empiricamente o trascendentalmente, neppur conoscendo il carattere comune della natura umana:
perché il tu resta sempre l'alterità a me contrapposta.
E ancora:
Nell'istante in cui affermo di aver capito l'amore di un'altra persona per me, cioè lo spiego o con le
leggi della sua natura umana o lo giustifico con motivi esistenti in me quest'amore è definitivamente perduto
e fallito e la via per il contraccambio è tagliata. Il vero amore è sempre incomprensibile e in quanto
tale è dono.
La gratitudine, la capacità di poter pronunciare nel cuore e nelle labbra il grazie, nasce proprio dalla
consapevolezza che non sono io a generare, a “comprare”, l'amore dell'altro per me. Ma esso ha motivo
solo in sé.
Caratteristica distintiva dell'egocentrico, all'opposto, è proprio la sua incapacità di vivere in
rendimento di grazie.
Ecco allora che il Cantico, al suo termine, enuncia che tutto ciò che è cantato nei suoi versi,
l'amore dell'uomo e della donna, l'amore di Dio e dell'anima, l'amore del Signore e della sua Chiesa, non nasce dal
fatto che l'uno o l'altra seducano con cosmetici e moine o acquistino mettendo in gioco addirittura tutti beni in
proprio possesso, ma solo dall'insondabile mistero della libertà dell'amore. Ed è solo l'amore che
può chiamare all'amore. E' solo l'amore che può destare l'amore.
In questa luce possiamo comprendere anche il versetto paolino:
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non
avessi la carità, niente mi giova (1 Cor 13, 3).
Ecco allora che nelle Lodi della liturgia delle ore per la festa delle Vergini, il testo di Ct 8, 6-7, letto a
ragione senza l'omissione della nostra frase, acquista tutto il suo significato.
Per altri articoli e studi di d.Andrea Lonardo o sul Cantico dei Cantici presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici
[Nota 1] Luis Alonso Schoekel, Cantico dei Cantici, Piemme, Casale Monferrato, 1993, p.49.