I segni dei tempi nel Concilio Vaticano II e nella riflessione teologica: eventi nei quali l’uomo è chiamato a collaborare al bene ed a riconoscere all’opera la provvidenza di Dio
di Rino Fisichella

Riprendiamo dal volume di R. Fisichella, La rivelazione: evento e credibilità. Saggio di teologia fondamentale, EDB, Bologna, 1985, pp. 346-352, le riflessione sulla categoria teologica dei “segni dei tempi”. Un discernimento nell’utilizzo dell’espressione si impone - afferma l’Autore – per evitare un uso inflazionistico del termine. Ci sembra utile citare, a questo riguardo, un famoso passaggio di Carl Gustav Jung che così si espresse: «Con lo spirito del tempo non è lecito scherzare: esso è una religione, o meglio ancora una confessione, un credo, a carattere completamente irrazionale, ma con l’ingrata proprietà di volersi affermare quale criterio assoluto di verità, e pretende di avere per sé tutta la razionalità. Lo spirito del tempo si sottrae alle categorie della ragione umana. Esso è un’inclinazione, una tendenza di origine e natura sentimentali, che agisce su basi inconsce esercitando una suggestione preponderante sugli spiriti più deboli e trascinandoli con sé. Pensare diversamente da come si pensa oggi genera sempre un senso di fastidio e dà l’impressione di una cosa non giusta; può apparire persino una scorrettezza, una morbosità, una bestemmia, ed è quindi socialmente pericoloso per il singolo» (C.G. Jung, Realtà dell'anima, Boringhieri, 1970, p. 13).
L’Autore, allora professore di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università Gregoriana, propone che i “segni dei tempi” vadano individuati in quegli avvenimenti nei quali si manifesta al credente che Dio guida la storia verso il bene e la conduce a salvezza ed al non credente che tali fatti sono un invito all’impegno a favore della vita. Secondo questa linea di lettura non è opportuno, allora, chiamare “segni dei tempi” gli eventi negativi nei quali si manifesta piuttosto l’opera del male, poiché essi non potrebbero avere Dio come loro origine e non aiuterebbero a comprendere la sua provvidenza. Si potrebbe altrimenti dire che i “segni dei tempi” debbano essere letti alla luce della domanda del salmista: «Chi ci farà vedere il bene?».
Inoltre, l’Autore propone che “segni dei tempi” in senso teologico siano chiamati non il sentire generale o l’evoluzione del pensiero e della mentalità, quanto piuttosto concreti eventi storici, avvenimenti intorno ai quali convergono il sentire dei credenti e dei non credenti, orientandolo al bene.
I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Anche il titolo è nostro. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza di queste righe sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.

Il Centro culturale Gli scritti (26/12/2008)


L’insegnamento del Vaticano II

Quello dei “segni dei tempi” è un problema antico. Il Vangelo stesso ne ha forgiato l’espressione identificandola come un invito alla fede e alla vigilanza (Mt 16,4; Lc 12,54-56). Giovanni XXIII, nella sua profetica lettura della storia della chiesa di questi ultimi anni, ne ha riproposto con forza l’originario significato: “Facendo nostra la raccomandazione di Gesù di saper distinguere i segni dei tempi, crediamo di scoprire, in mezzo a tante tenebre, numerosi segnali che ci infondono speranza sui destini della chiesa e dell’umanità[1].

Questa attenzione ai segni è stata per quel pontefice quasi un costante metodo di lavoro che trovò la sua esplicitazione nell’enciclica Pacem in terris[2]. Paolo VI riprende l’espressione nel suo primo documento ufficiale, l’Ecclesiam suam, osservando che si deve “stimolare nella chiesa l’attenzione costantemente vigile ai segni dei tempi e all’apertura continuamente giovane che sappia verificare tutto e ritenere ciò che è buono[3]. Il concilio non poteva non corrispondere con altrettanta chiarezza a questo invito del magistero e la risposta più chiara si può trovare nella costituzione Gaudium et Spes. Tre testi, particolarmente, colpiscono in questo documento conciliare:

GS 4. Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico (EV1/1324).

GS 11. Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l'universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell'uomo, orientando così lo spirito verso soluzioni pienamente umane (EV1/1352).

GS 44. È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta. (EV 1/1461).[4]

A partire da questi dati la teologia ha moltiplicato i suoi studi[5]; oggi sembra di dover assistere a un uso inflazionistico del concetto[6], per cui nostro compito sarà quello di giungere a una definizione di segni dei tempi e a una orientativa criteriologia per il loro riconoscimento.

Elementi per una eventuale definizione

Alcune osservazioni esegetiche ai testi conciliari permettono di giungere più facilmente alla proposta di una nostra definizione.

1. Il cambiamento di linguaggio, e quindi di prospettiva, in cui la chiesa si pone è ciò che balza evidente come primo e immediato aspetto. La chiesa si autocomprende al servizio della parola rivelata e come mediazione di essa nel mondo. La chiesa è pellegrina con l’uomo del suo tempo, per lui rappresenta la «compagnia della fede» nella ricerca della autentica volontà di Dio che spazia e agisce mediante il suo Spirito anche fuori i confini istituzionali della chiesa cattolica (LG 8: EV 1/304-307).

2. La chiesa chiede aiuto agli uomini del suo tempo per essere capace di leggere attentamente i fenomeni umani; è cioè una chiesa povera, consapevole che la verità è ricerca comune e che essa la possiede solo in una prospettiva escatologica. «La chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dallo sviluppo del genere umano... la chiesa ha un bisogno particolare dell'aiuto di coloro che, vivendo nel mondo, sono esperti delle varie situazioni e discipline, e ne capiscono la mentalità, si tratti di credenti o non credenti» (GS 44: EV 1/1460s). Mai probabilmente, si erano udite in questo secolo parole così esplicite da parte della chiesa nei confronti del mondo; è un dato che va ricordato con insistenza, perché segna un modo nuovo di porsi della chiesa nei confronti delle culture, delle ideologie e degli uomini che le formano.

3. I segni dei tempi orientano a un'interpretazione più globale, universale, del dato rivelato e obbligano la chiesa, nel suo insegnamento, ad adattare tale messaggio salvifico alla vita e alla cultura dell'uomo che inevitabilmente cambia e si trasforma. In qualche modo quindi i segni dei tempi appartengono già alla rivelazione perché possono essere identificati con quei germi di vita[7], posti nel mondo e nel cuore di ogni uomo, mediante i quali è più facile percepire l'azione di Dio che incessantemente opera nella creazione, nella storia e negli uomini.

4. Davanti ai segni dei tempi la chiesa è provocata a svolgere la sua funzione profetica perché è chiamata, e compromessa, nell'esprimere il giudizio di Dio sul presente. Un giudizio tuttavia che è sempre di salvezza, perché proviene dal cuore stesso della rivelazione che mostra Cristo crocifisso per la salvezza del mondo. In questo modo la comunità dei credenti si discosta dai vari «profeti di sventura» e riconosce, finalmente, la bontà della creazione e le positive conquiste dell'uomo, pur sapendo che la parola di Dio ulteriormente le illumina e umanizza (GS 40-90: EV 1/1442ss).

5. I segni dei tempi, infine, spingono a considerare seriamente l'orizzonte escatologico che connota la fede cristiana, perché pongono tutti, credenti e non, nell'attesa di un compimento definitivo della storia. Essi rappresentano tappe che segnano l'arrivo dello sposo e pertanto vanno vissuti con animo attento e vigilante. La vigilanza, che è un «dovere» per la chiesa, è richiesta anche al non credente, perché essa segna l'attenzione all'evolversi della storia e della cultura e quindi la capacità di rispondere concretamente ai nuovi interrogativi dell'umanità.

Il concilio sembra quindi aver compiuto, anche per i segni dei tempi, un processo. di personalizzazione e attualizzazione che apre la strada ad orizzonti veramente infiniti. Volendo sintetizzare l'insegnamento conciliare si potrebbero infine riconoscere due significati particolari che vengono riferiti ai segni dei tempi: 1. Cristo e la chiesa sono nel mondo i segni di Dio; sono essi, fondamentalmente, i segni dei tempi, perché orientano la storia escatologicamente e danno pienezza e significato al divenire storico. 2. Segni dei tempi sono anche tutti quei fatti storici, o aspirazioni degli uomini, che in qualche modo determinano il progresso dell'umanità e orientano all'acquisizione di forme di vita più umane.

Questi elementi possono permettere una nostra orientativa definizione di segni dei tempi: essi sono quegli eventi storici che riescono a creare consenso universale, tali per cui il credente è confermato nel verificare l'immutato e drammatico agire di Dio nella storia e il non credente è orientato a individuare scelte sempre più vere, coerenti e fondamentali a favore di una promozione globale dell'umanità.

La definizione raccoglie alcune parole chiave:

  1. Eventi storici: ciò significa che non ogni fatto può essere un segno dei tempi: evento è ciò che è talmente inserito nella storia che ne costituisce una pietra miliare, un punto di riferimento tale senza del quale la storia di un periodo, di un popolo, di una cultura non è pienamente comprensibile.
  2. Consenso universale: i segni devono essere in qualche modo catalizzatori; devono rappresentare quindi un progressivo segno di unità delle varie componenti umane e prescindere dalle analisi di interessi privati in vista del bene dell'umanità intera.
  3. Credente: colui che è inserito nella comunità cristiana deve saper leggere nei segni dei tempi una presenza particolare di Dio; egli è condotto dalla fede a identificare in Cristo ogni espressione di amore che sia universale. Il credente potrà quindi seguire il non credente fino al termine del cammino di quest'ultimo, ma poi sarà chiamato a un ulteriore passo in avanti, che è dato appunto dall'interpretazione cristologica ed ecclesiale del segno.
  4. Non credente: se i segni creano un consenso universale, devono coinvolgere anche il non credente nelle scelte concrete a favore dell'umanità. Nei segni dei tempi quindi il non credente può essere spinto a percepire la verità dell'unico Dio che è frammentata in vario modo nelle giuste aspirazioni degli uomini, e può quindi più facilmente compiere la scelta di fede.

Criteriologia per il discernimento

Questa definizione va completata da un ultimo aspetto che è costituito dal discernimento dei segni. Poiché per loro natura i segni dei tempi chiedono di essere percepiti e interpretati, ci si chiede chi interpreta e come si interpretano i segni?

Il concilio ha individuato alcuni fenomeni particolari che sembrano attestare la presenza di Dio nel mondo e che si possono identificare appunto come segni dei tempi; essi sono: 1. la santità personale del credente che testimonia la novità del vangelo (LG 39-42: EV 1/387-401); 2. le aspirazioni profonde verso la libertà religiosa e il rispetto per la dignità dell'uomo (DH; GS 63-72: EV 1/1042ss; 1533-1561); 3. il martirio come supremo gesto d'amore e di coerenza per un ideale di vita (LG 42: EV 1/398); 4. la tensione verso forme di cultura più umane e universali (GS 53-62: EV 1/1492-1532); 5. la ricerca e tensione verso la pace universale (GS 77-90: EV 1/1585-1635). Questi segni quasi istintivamente riportano a Dio e creano consenso; ma come procedere per l'identificazione di altri segni che la storia presenta?

Poiché i segni dei tempi sono anzitutto fenomeni, essi vanno valutati primariamente nell'analisi delle scienze umane. A più riprese ed esplicitamente la chiesa ha manifestato la sua fiducia nella scienza e negli uomini di scienza[8]; a costoro chiede anzitutto una esatta individuazione dei fenomeni che creano consenso e tendono verso forme di vita più umane. Dopo l'individuazione avviene l'interpretazione; per questa ci sembra che soggetto qualificato sia la comunità cristiana.

Dice il Vaticano II che soggetto dell'interpretazione è la «chiesa» (GS 4: EV 1/1324ss), ma si aggiunge «tutto il popolo di Dio», specialmente i «pastori e i teologi» (GS 44: EV 1/1461); in una parola ci sembra che si possa applicare qui ciò che Paolo VI ha individuato come principio e metodo di lavoro nella Octogesima adveniens.

«Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente le soluzioni del loro paese, chiarirle alla luce delle parole immutabili del Vangelo, attingere i principi di riflessione, criteri di giudizio, direttive di azione...» (OA 3: EV 4/716).

Quindi tutta la comunità Cristiana si fa interprete dei segni dei tempi rispettando i ruoli e i carismi differenti che in essa si danno. Ma in questo deve camminare «insieme con tutta l'umanità» perché con lei forma l'unica famiglia di Dio (GS 40: EV 1/1443). In questo cammino comune si può dare una piattaforma di partenza capace di raccogliere gli elementi minimali, ma universali, atti a dare avvio all'interpretazione dei segni.

Per questa seconda fase è utile allora una distinzione che individui criteri generali e comuni da poter condividere con tutti gli uomini; e criteri specifici della comunità che orientano verso un'interpretazione più cristologica ed ecclesiale.

  1. Due elementi si possono individuare dai criteri generali che per la loro estensione non possono non raccogliere un consenso universale:

    1. la dignità dell'uomo che comporta la sua libertà e promozione umana.
    2. la giustizia che determina il punto minimo e indispensabile dell'amore; con essa infatti ogni uomo è messo nella condizione di vivere una vita pienamente umana[9].

  1. In questa seconda determinazione criteriologica l’analisi è evidentemente più teologica perché tocca la vita interna della comunità. Riconosciamo particolarmente tre elementi:

    1. glorificare Cristo (Gv 16,14); i segni infatti sono irradiazione della gloria di Gesù di Nazaret; essi devono pertanto tendere a glorificarlo perché ciò che oggi si compie è frutto della salvezza ottenuta con la sua morte.
    2. edificare la chiesa (Ef 2,22) perché essa è mediazione di Dio nel mondo e segno ultimo storicamente percepibile oggi.
    3. ricapitolare tutto in Cristo (Ef 1,20); i segni tendono a orientare lo sguardo verso i «cieli nuovi e la terra nuova»; essi non possono che riportare alla pienezza cosmica che si realizza nel Cristo glorioso.

In questa prospettiva ci sembra che i segni dei tempi, pur nella molteplicità delle espressioni, sono riportati nuovamente al punto d'origine da cui sono scaturiti: Cristo segno dell'amore di Dio. L'attenzione ai segni dei tempi deve restare come un compito permanente della comunità cristiana, di ogni singolo credente e di ogni uomo, perché mediante essi è possibile percepire quanto di bello, buono e vero Dio compie ancora oggi nella storia insieme con gli uomini.

I segni dei tempi rivelano pertanto il carattere di sfida che la chiesa getta al mondo, perché con questi essa invita a vivere il presente storico intensamente, ma senza dimenticare di orientare lo sguardo nel futuro[10].

Anche i nostri tempi sono «tempi messianici»[11] perché si ripetono i segni che attestano la presenza di Dio; anzi si compiono gesti ancora più grandi, «perché vi dico: Chi crede in me compirà le opere che io compio, e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre» (Gv 14,12). Ciò implica che il credente non può rimanere uno spettatore passivo. La fede è testimonianza di un lavoro coerente che dura tutta la vita: non conosce il riposo del sabato!


Note

[1] Giovanni XXIII, Humanae salutis, Documento di indizione del Concilio ecumenico Vaticano II, 25 dicembre 1961; AAS 54 (1962), pp. 5-13; EV 1/1*-23*.

[2] Questa enciclica sulla pace (EV 2/1-60), scritta alcuni mesi prima della morte di Giovanni XXIII, ebbe un’eco decisamente mondiale. Alla fine di ogni capitolo il papa propone una lettura dei segni dei tempi. Si noti che il testo latino non porta mai l’espressione segni dei tempi, che invece è possibile ritrovare in tutte le traduzioni dell’enciclica, riproponendo proprio l’intenzione e l’espressione del documento di indizione del concilio; cf. K. Füssel, Die Zeichen der Zeit als locus theologicus, in FrZPhTh 31 (1984), p. 262.

[3] AAS 56 (1964), pp. 609-610; EV 2/163ss.

[4] Queste citazioni ci sembrano le più esplicite in proposito, ma si cf. pure PO 9; UR 4; AA 14 (EV 1/1271-1276; 508-509; 965-968).

[5] Tra i “classici” in proposito si può confrontare R. Latourelle, Cristo e la chiesa segni di salvezza, Assisi, 1971. L’ultimo testo in proposito, oltre l’articolo citato di Füssel, è quello di C. Boff, Segni dei tempi, Roma, 1983, che, a parte le nostre riserve per alcune su interpretazioni, offre tuttavia una sintesi degli studi apparsi in proposito, dopo il Vaticano II.

[6] In proposito si può vedere l’uso normale dell’espressione che trova particolare riscontro nei due documenti della Conferenza latino-americana di Medellin e Puebla, nonché nella teologia della liberazione.

[7] Perché no, frutto dei logoi spermatichoi di cui parlano i padri?

[8] GS 15; 44 e i numerosi interventi del magistero di Giovanni Paolo II.

[9] Numerosissime sarebbero le citazioni a proposito; si vedano particolarmente i due documenti pertinenti GS e DH; e la meravigliosa sintesi attuata in Redemptor hominis (EV 6/1167ss).

[10] K. Füssel, Die Zeichen der Zeit als locus theologicus, in FrZPhTh 31 (1984), p. 263.

[11] A. Rizzi, Messianismo della vita quotidiana, Torino, 1981.


[Approfondimenti]