Mettiamo a disposizione sul nostro sito il discorso pronunciato da papa Paolo VI, nell’udienza generale del 27 novembre 1968.
Il Centro culturale Gli scritti (30/12/2008)
COME SI FA A CONOSCERE DIO?
Diletti Figli e Figlie!
Come si fa, come si fa a conoscere Dio? questa è la grande questione che tormenta lo spirito
moderno. È questione antica quanto la storia dell’uomo; ma oggi è questione diventata
tormentosa, perché il progresso della conoscenza umana ha reso più esigente il bisogno di dare a
tale domanda una risposta soddisfacente rispetto alle abitudini della nostra mentalità, cioè alla
nostra razionalità critica e scientifica e all’impiego conoscitivo della nostra esperienza
sensibile.
Ora si verifica il fatto che questo nostro progresso conoscitivo sembra incontrare, e in pratica incontra,
maggiore difficoltà a giungere a Dio di quanto non incontrasse nel tempo passato, quando la conoscenza
di Dio era ammessa e presupposta normalmente ad ogni forma di pensiero, mentre oggi la conoscenza di Dio non
si pone come principio indiscusso, ma come conclusione finale del pensiero stesso; e arrivare a tale
conclusione è difficile. Si direbbe che siamo diventati più intelligenti e più istruiti, e
al tempo stesso meno religiosi, cioè meno capaci di arrivare a Dio.
IL VUOTO E LE DESOLANTI CONSEGUENZE DELL'ATEISMO MODERNO
Dovremo rinunciare a tale conquista? L’ateismo contemporaneo risponde: dobbiamo rinunciare. Questa
risposta, che sembra così semplice, produce un vuoto tale nel pensiero e nella vita dell’uomo da
suscitare tanti e così gravi problemi da turbare sia la fiducia nel pensiero stesso, sia il senso positivo
della vita. Quelli che credono di poter fondare un umanesimo sull’ateismo in realtà diventano
profeti d’un nichilismo, che rende dapprima tutto gratuito, instabile, irrazionale, e che supplisce a
queste carenze con nozioni empiriche o insufficienti, con sistemi arbitrari e violenti, e poi con conclusioni
pessimistiche, rivoluzionarie e disperate. E il grande assente, Iddio, diventa l’incubo di chi domanda al
pensiero la verità. Troviamo nei letterati la testimonianza: «Dio mi ha tormentato tutta la
vita», dice, ad esempio, un personaggio rappresentativo d’un celebre romanziere russo
(Dostoiewski).
IL PIÙ ALTO INVITO ALLA UMANA MEDITAZIONE
Voi sapete che invece la Chiesa non rinuncia alla conquista di Dio. Diciamo: non nega alla mente umana la
capacità di arrivare alla conoscenza di Dio; e notate: anche con la ragione, sebbene non senza
fatica e con tante ombre. La Chiesa rimane ferma, anche se dovesse rimanere sola (cfr. Newman), nel
rivendicare alla ragione questa suprema possibilità. Bisogna darle onore, almeno per questa difesa
della ragione, quando tanto spesso si accusa la Chiesa d’oscurantismo, e di fideismo. La fede certamente ci
dà di Dio una conoscenza ben più piena e per sé più facile; ma la fede stessa,
afferma la nostra dottrina, non può prescindere dall’uso retto e forte della ragione. Il Concilio
Vaticano I ha canonizzato, sotto questo aspetto, la ragione naturale (cfr. Denz.-Sch. 3015 ss.).
Oh! quale campo sconfinato di studi! (cfr. l’opera tuttora valida di Garrigou-Lagrange, Dieu,
Beauchesne, 1919). Non è certamente in questa sede che Noi ne varcheremo le soglie! Ci basta qui fare
qualche modesta, ma non forse superflua osservazione. La prima è questa.
Quando noi ci poniamo la questione della conoscenza razionale di Dio dimentichiamo facilmente che tale
questione è duplice; cioè noi ‘possiamo domandare alla virtù del nostro pensiero di
dirci se Dio esiste; e a questa domanda, il nostro pensiero, se rimane fedele alle sue leggi, risponde:
sì, Dio esiste; e ce ne dà la certezza; ma se noi domandiamo al nostro pensiero di dirci chi
Egli sia, esso diviene molto timido e modesto, al punto di lasciarci insoddisfatti, e negando ciò che
Dio non è e non può essere, e cercando di sublimare alcune nozioni proprie dell’Essere ci
porta, sì, in alto, ma in una regione dove più è mistero che scienza, più desiderio
che possesso.
Chi sa volare, sulle ali della speculazione teologica e della contemplazione mistica, verso questo mistero,
avverte d’appressarsi ad una pienezza spirituale, che supera le presenti condizioni della nostra vita
temporale, e che tocca l’immortalità (cfr. Sap. 15, 3: «il conoscere Te è radice
d’immortalità»; e Gesù ci dirà: «questa è la vita eterna, che
conoscano Te solo vero Dio e Colui che Tu hai mandato, Gesù Cristo», Io. 17, 3). Nessun maggiore
invito è offerto che questo all’umana meditazione (cfr. Lessius, De perfectionibus moribusque
divinis, Lethielleux, 1912).
USARE BENE DELLA RAGIONE
Ritorna la domanda: come si fa a inoltrarci in sentieri così impervii? Ed ecco un’altra
osservazione, anch’essa elementare, ma capitale: basta usare bene della ragione («secundum
perfectum usum rationis», dice San Tommaso: II-IIæ, 45, 2). Cioè basta ragionare bene. E
questo tutti, anche gli incolti, possono fare; anzi spesso le anime semplici, i fanciulli, la gente umile, i puri
di cuore specialmente hanno una logica naturale più sana e conclusiva che non coloro che nello sviluppo
della razionalità ne hanno violato, o dimenticato, certe esigenze.
Oggi è proprio quello che succede a molti pensatori, che, contestando al pensiero certe sue leggi, certi
suoi primi ed evidenti principi, non gli consentono d’oltrepassare i limiti entro i quali Dio non
può essere raggiunto. Una conoscenza mortificata della verità non può comprendere la somma
Verità, ch’è Dio. Qui sarebbe logico accennare alle famose cinque vie, sempre valide se bene
comprese, che la teologia scolastica indicava come quelle che possono portare il pensiero ad una sicura, se pure
oscura, conoscenza di Dio. Ma l’uomo d’oggi non ne vuole sentir parlare, anche se talora, senza
forse accorgersi, in qualche modo le percorre queste vie, quella specialmente, la quinta, che rivela
l’esistenza della necessità (cfr. Galileo, Dial. giorn. I) d’un ordine,
d’una finalità, d’un pensiero nelle cose (cfr. Danusso); vie che conducono, oltre
l’esperienza scientifica, a riconoscere in esse un’anteriore e interiore Presenza pensante e
creatrice. O forse le percorre a ritroso per arrivare alla scoperta di ciò che manca alle cose, la
privazione d’una propria ragione d’essere, una propria causa sufficiente (cfr. Sartre).
DIO «PRINCIPIO DELL’ESISTENZA RAGIONE DEL PENSIERO LEGGE DELL’AMORE»
V’è nei moderni, anche benpensanti, giovani specialmente, un diffuso timore che l’idea di Dio
abbia ad oscurarsi e a dissolversi sotto la pressione della nuova mentalità, originata dal contatto
scientifico del mondo e dal senso di forza e di libertà, che sembra derivare all’uomo sottratto
dalla soggezione a principi assoluti e trascendenti (cfr. J. M. Aubert, Recherche scientifique et foi
chrétienne). Ma questa crisi si può risolvere mediante una purificazione continua
dell’idea stessa di Dio e del suo culto, quando si metta in rilievo quale veramente deve essere,
un’idea sempre crescente, sempre necessaria, sempre feconda, sempre viva (cfr. Guardini, Le Dieu
vivant); oppure anche quando si vogliano sottoporre a nuove analisi i procedimenti del nostro pensiero (cfr.
B. Varisco, Dall’uomo a Dio, Cedam, Padova, 1939; De Lubac, Sur les chemins de Dieu, Aubier
1956).
E si può risolvere anche in altro modo, spingendo logicamente il mondo materialista e ateo alle sue
fatali conseguenze, che appellano finalmente a Dio per non cadere in mostruose e catastrofiche concezioni di
pseudo-assoluti e di disumane forme di vita. Questo grido doloroso e stupito si dovrà levare un giorno
verso Dio dal mondo moderno, fatto padrone delle cose e ad esse pesantemente schiavo; e sarà un
giorno grande, di salute e di poesia, nel quale Dio apparirà quello ch’Egli è per noi,
«principio dell’esistenza, ragione del pensiero, legge dell’amore» (S. Aug. Contra
Faustum, 20, 7; P.L. 42, 372); l’eterno nuovo, il verbo silenzioso, la presenza invisibile,
l’abisso gaudioso, il principio totale, l’Essere vivo.
Coraggio, Figli carissimi; non è impossibile, non è difficile; con un po’ di sforzo, da
uomini veri, da cristiani umili, pensando lo cerchiamo Iddio, poi amando lo troviamo. Coraggio, con la
Nostra Benedizione Apostolica.