Riprendiamo da Avvenire del 15/11/2005 per il progetto Portaparola un articolo scritto da mons.Gianfranco Ravasi con il titolo originario “Maria Maddalena, una santa calunniata e glorificata”. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (2/5/2008)
Nel 1989 Giovanni Testori mi chiese di premettere a un suo volume dedicato a Maria Maddalena nella storia
dell’arte (soggetto in cui sacro ed eros s’intrecciavano secondo una tipologia cara allo scrittore)
un profilo biblico. Scelsi come titolo: «Una santa calunniata e glorificata». Il titolo
è ancor più pertinente ai nostri giorni sia attraverso le fanfaluche alla Dan Brown, sia col film
(pur pregevole) di Abel Ferrara, sia con una sorta di luogo comune, scambiato per storiografico, inchiodato nella
mente di lettori troppo indifesi o remissivi.
Cerchiamo, allora, di ricostruire le ragioni della deformazione del volto di questa donna proveniente da Magdala,
un villaggio posto sulla costa occidentale del lago di Tiberiade, allora centro commerciale ittico
tant’è vero che in greco si chiamava Tarichea, cioè «pesce salato».
Ebbene, da questa località, Maria emerge all’improvviso nel Vangelo di Luca (8,1-3), in un elenco di
discepole di Cristo. Il ritratto è abbozzato con una sola pennellata: «Maria di Magdala, dalla quale
erano usciti sette demoni». Il «demonio» nel linguaggio evangelico non è solo radice
di un male morale, ma anche fisico, che può pervadere una persona. Il «sette», poi,
è il numero simbolico della pienezza. Non possiamo, dunque, sapere molto sul male grave, morale o psichico
o fisico, che colpiva Maria e che Gesù le aveva eliminato.
La tradizione popolare, però, nei secoli successivi non ha avuto esitazioni e ha fatto diventare Maria
Maddalena una prostituta. Perché? La risposta è semplice: nella pagina precedente, il capitolo
7 del Vangelo di Luca, si narra la storia di un’anonima «peccatrice nota in quella (innominata)
città». L’applicazione era facile ma infondata: questa «peccatrice» pubblica
dovrebbe essere Maria di Magdala, presentata poche righe dopo!
A lei venne, allora, attribuita tutta la vicenda raccontata dall’evangelista. Saputo della presenza di
Gesù a un banchetto in casa di un notabile fariseo, essa aveva compiuto un gesto di venerazione e di
amore particolarmente apprezzato dal Cristo: aveva cosparso di olio profumato i piedi del rabbi di Nazaret,
li aveva bagnati con le sue lacrime e li aveva asciugati coi suoi capelli.
Con questa prima ingiustificata identificazione se ne preparava già la seconda in una specie di giuoco
delle sovrimpressioni. È noto, infatti, che nel capitolo 12 di Giovanni, Maria, sorella di Marta e di
Lazzaro, amici di Gesù, compie lo stesso gesto – che, tra l’altro, era segno di
ospitalità e di esaltazione dell’ospite – dell’anonima peccatrice di Luca. Infatti,
durante il pranzo, «cosparge i piedi di Gesù con una libbra di olio profumato di vero nardo assai
prezioso e li asciuga coi suoi capelli». È così che nella tradizione cristiana Maria di
Magdala viene trasformata in Maria di Betania, sobborgo di Gerusalemme! Per due volte la tradizione popolare fa
perdere i connotati personali a Maria di Magdala, confondendola prima con una prostituta – da qui tutte le
rappresentazioni “carnali” della santa nella storia dell’arte – e poi con la più
pura Maria di Betania.
Frattanto, però, Maria Maddalena è effettivamente giunta a Gerusalemme alla sequela di
Gesù per vivere con lui e coi discepoli le sue ultime ore tragiche. Tutti gli evangelisti sono,
infatti, concordi nel segnalare la sua presenza al momento della crocifissione e della sepoltura di Cristo.
Ed è proprio accanto a quella tomba nella luce ancora pallida dell’alba di Pasqua che il vangelo di
Giovanni (20, 11-18) ambienta il celebre incontro tra Cristo e Maria di Magdala. Come è noto, Maria
scambia il Cristo col custode dell’area cimiteriale. Ora, la «cecità» è tipica
di alcune apparizioni del Risorto: si pensi solo ai discepoli di Emmaus che gli camminano insieme per ore
senza riconoscerlo (Luca 24, 13-35). Il significato è naturalmente teologico: pur essendo ancora
Gesù di Nazaret, il Cristo glorioso travalica le coordinate umane, storiche e fisiche. Per poterlo
«riconoscere» è necessario mettersi su un canale di conoscenza trascendente, quello della
fede.
È per questo che, solo quando si sente chiamata per nome in un dialogo personale, Maria lo
«riconosce» chiamandolo in aramaico Rabbuní, «mio maestro». Nella sua
celebre Vita di Gesù Renan razionalisticamente spiegherà tutta la scena come
l’allucinazione di un’innamorata: «L’amore di una donna compì il miracolo:
Gesù risorse per lei!». Si aggiungeva, così, un ulteriore tassello malizioso al ritratto di
Maria, facendola passare – senza il minimo fondamento testuale – come amante segreta di
Gesù.
Ma questa deformazione del volto della Maddalena aveva radici più antiche a cui vorrebbero rimandare i
moderni “detrattori” della santa. Dobbiamo uscire dai Vangeli canonici ed entrare nel mondo,
magmatico e insicuro, degli apocrifi gnostici, sorti nella cristianità d’Egitto attorno al III
secolo. Prima di tutto dobbiamo dire che in alcuni di questi scritti Maria di Magdala viene identificata con
Maria, la madre di Gesù. Identificazione, certo, nobilissima ma che ancora una volta impediva a questa
donna di conservare la sua identità personale.
Anzi, la trasfigurazione raggiungerà in quegli scritti una tale altezza da sciogliere la figura di Maria
Maddalena fino a renderla quasi un’idea, un simbolo, la Sapienza per eccellenza. E questo risultato
viene paradossalmente ottenuto attraverso immagini sulle quali la lettura posteriore con malizia ricamerà
allusioni voluttuose ed erotiche. Si legge, infatti, nel vangelo apocrifo di Filippo, scoperto nel 1945 a Nag
Hammadi in Egitto: «Il Signore amava Maria Maddalena più di tutti i discepoli e spesso la baciava
sulla bocca. Gli altri discepoli, vedendolo con Maria, gli domandarono: Perché l’ami più di
tutti noi?». Ce n’è abbastanza per chi, ignaro di simbolica biblica (la Sapienza esce dalla
bocca dell’Altissimo secondo l’Antico Testamento), voglia seminare sospetto su Maria e su
Gesù, fantasticando una relazione sessuale tra i due.
In realtà, come scriveva Luigi Moraldi in un’edizione di quell’apocrifo, «in tutti gli
scritti gnostici cristiani la Maddalena è solo l’esempio del perfetto gnostico e la maestra della
dottrina gnostica», cioè della conoscenza piena dei misteri divini. In un altro testo gnostico,
il trattato Pistis Sophia, ove appare per ben 77 volte, la Maddalena diventa l’emblema
dell’umanità redenta di tipo androgino (un’altra deformazione di Maria!) perché,
secondo Paolo, «non ci sarà più né uomo né donna ma tutti saranno uno in Cristo
Gesù» (Galati 3,28).
Ma la sua funzione di segno della Sapienza divina sarà esplicita in questa beatitudine messa in bocca a
Gesù dall’autore gnostico: «Te beata, Maria, ti renderò perfetta in tutti i misteri
dell’alto. Parla apertamente tu, il cui cuore è rivolto al Regno dei cieli più di tutti i
tuoi fratelli» (17,2).
Una santa in cerca d’identità, quindi, sospesa tra due estremi: carnalmente abbassata a prostituta o
ad amante, spiritualmente elevata a Sapienza trasfigurata. Per fortuna l’unico che la chiamò per
nome, Maria, e la riconobbe confermandola come sua discepola fu proprio Gesù di Nazaret, il suo Maestro,
il Rabbuní. Ed è proprio sulla base di quell’incontro pasquale che la sua
presenza si riaffaccia ogni anno nella liturgia cattolica con la stupenda melodia gregoriana del Victimae
paschali e con quel dialogo latino che ci esimiamo dal tradurre: «Dic nobis, Maria, quid vidisti in
via?» – «Surrexit Christus spes mea!».
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