Riprendiamo on-line sul nostro sito l’articolo pubblicato dall’Osservatore romano dell’11-12 febbraio 2008. Esso, a sua volta, riprende ampi stralci dell'intervento tenuto l'8 febbraio a Barcellona dall'arcivescovo segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede S.Ecc.mons.Angelo Amato, alle Giornate per le questioni pastorali del Centro Sacerdotale Montalegre.
Il Centro culturale Gli scritti (30/3/2008)
Gesù Cristo costituisce l'identità cristiana allo stato nascente e la cristologia è la
riflessione credente su questo Dna del cristianesimo. In concreto il compito della cristologia è
quello di riannunciare e rimotivare oggi la fede nel mistero dell'incarnazione salvifica, espressa nel simbolo
niceno-costantinopolitano del 381. (... )
Diversamente dalla teologia ortodossa, ancorata sostanzialmente alla cristologia dei Padri della Chiesa e
dei primi sette concili ecumenici, e diversamente dalla teologia protestante, con l'approccio tipico della
cristologia della croce, la cristologia cattolica presenta una sua originalità metodologica che ha un
triplice riferimento: ascolto fondante della Sacra Scrittura, come anima di ogni discorso teologico;
riferimento obbligatorio alla tradizione della Chiesa (Padri, grandi teologi, liturgia, spiritualità) e
dialogo con la cultura. La cristologia cattolica, quindi, avrebbe una costante contenutistica, nel riproporre e
nel rimotivare il nucleo essenziale della cristologia (incarnazione e redenzione), e una variabile metodologica,
data dal dialogo con i vari contesti culturali: secolarizzazione, pluralismo religioso, postmodernità,
relativismo, indifferentismo.
Se, teoricamente parlando, l'impostazione cattolica sembra la più adeguata e completa, perché
compone in modo armonico le istanze di fedeltà alla tradizione della Chiesa e di adesione al testo biblico
con le istanze e le sfide provenienti dalla cultura contemporanea, in realtà i risultati non sembrano del
tutto soddisfacenti.
Spesso la cristologia appare riduttiva, minimalista, insufficiente, perché non accoglie il Mistero
rivelato nella sua integralità. E ciò deriva da una certa concezione razionalista della fede e
della rivelazione, da un umanesimo immanentista applicato a Gesù Cristo, dall'assolutizzazione arbitraria
del metodo storico-critico. Insomma, non rare volte i teologi abbandonano ciò che è
specificamente cristiano, come il valore definitivo e universale della rivelazione di Cristo, la sua condizione
di Figlio del Dio vivo, la sua presenza reale nella Chiesa, l'universalità del suo sacrificio
redentore. Si tratta di una situazione critica, di una vera e propria emergenza, non certo fisiologica,
quanto piuttosto patologica, che interessa tutta la Chiesa e che necessita di una pronta terapia di
risanamento.
Non abbiamo una valutazione negativa della ricerca storico-critica. Riconosciamo che a essa si deve una
maggiore conoscenza del testo biblico e del contesto sociale e religioso della Palestina del primo secolo
dell'era cristiana. Non possiamo, però, fare a meno di constatare che essa ha spesso frantumato l'immagine
di Gesù in una moltitudine di interpretazioni spesso contraddittorie e non rare volte tendenti a sminuirne
la portata universalmente salvifica del suo evento.
Certo, anche l'arte ci ha trasmesso una galleria ricchissima di ritratti: il Cristo trasfigurato delle
icone bizantine non è il Cristo morto di Mantegna e il severo Giudice michelangiolesco della Cappella
Sistina non è il Cristo umanissimo e sfigurato di Rouault. Ma in queste immagini emergeva, in fondo,
una precisa identità: quella del Figlio di Dio incarnato, vero Dio e vero uomo. La creatività
artistica rispettava sostanzialmente i canoni biblici, offrendo, pur nella diversità delle
interpretazioni, i lineamenti essenziali per un immediato riconoscimento del volto di Cristo.
Lo stesso si dica per le grandi presentazioni letterarie di Gesù: diverse nei punti di vista, ma
convergenti nelle linee di fondo. Il Cristo «epifania di Dio» di Fiodor Dostoevskij è diverso
dal Cristo «figlio dell'uomo» di Miguel de Unamuno, così come il «Cristo della santa
Agonia» di Georges Bernanos non coincide con il Cristo «rivoluzionario dell'amore» di Giovanni
Papini o con «l’eterno compagno dell'uomo» del Shusaku Endo. Narrazioni letterarie differenti,
ma lo stesso Cristo della tradizione biblica ed ecclesiale.
La contemporanea ricerca sul Gesù storico, invece, sembra aver smarrito il volto autentico del Signore,
riducendolo a una oscura figura del passato, del quale niente si potrebbe affermare con certezza, se non che
fu, al massimo, un moralista, un rivoluzionario o un predicatore. Diversamente da tutti gli altri grandi
personaggi dell'antichità - Buddha, Socrate, Confucio, Giulio Cesare e così via - dei quali non si
contesta quasi niente, nei confronti di Gesù c'è un vero e proprio accanimento investigativo,
che spesso giunge, se non a negarne la stessa esistenza storica, certamente a dissolverne il significato e il
valore, gettando l'ombra del dubbio su tutto quanto egli ha detto e fatto e che la Chiesa ha trasmesso e vissuto
con fedeltà nel suoi duemila anni di esistenza. È una vera e propria galleria del falso, in cui
Gesù si perde in un groviglio di miti e leggende, in base a millantate scoperte di nuove fonti o di
sconvolgenti interpretazioni finalmente «vere» del fondatore del Cristianesimo.
Concordiamo con quanto Klaus Berger, docente di teologia del Nuovo Testamento nella facoltà di teologia
evangelica dell'università di Heidelberg e uno dei più noti esegeti di lingua tedesca, afferma nel
suo recente libro dedicato a Gesù:
“Alcuni studiosi hanno ricavato la loro immagine di Gesù esclusivamente da una parte dei primi
tre vangeli - quelli di Matteo, Luca, Marco - senza prendere atto del vangelo di Giovanni. Hanno poi
contestato l'autenticità di molte altre parole di Gesù. Senza tanti indugi hanno dichiarato
leggenda testi che avrebbero potuto mettere in imbarazzo gli illuminati contemporanei, attribuendo alla
comunità formatasi dopo la Pasqua la responsabilità del fatto che Gesù sia diventato una
specie di Dio. Questo ha ridimensionato Gesù - lo ha reso una persona qualunque, che ha detto e fatto meno
di quanto riporta il Nuovo Testamento. I racconti su Gesù vennero privati del loro sale, diventando
insulsi e scipiti. E la stessa persona di Gesù si rimpicciolì» (Gesù,
Brescia, Queriniana, 2006, pagine 9-10). Questa riduzione ermeneutica di Gesù finisce per spegnere
ogni interesse per lui e per i suoi ideali. È stato ridotto a ombra colui che si è definito luce
del mondo. Come si può seguire e amare un tale fantasma?
Tutto ciò, però, non è una novità. Per gli studiosi della ricerca storica su
Gesù si tratta di un film già visto. Oggi, infatti, sembra essere ritornati agli inizi della
Leben-Jesu-Forschung del secolo XVIII-XIX, quando, in piena euforia razionalistica, Hermann Samuel Reimarus
(† 1768) rigettò come fraudolenta l’immagine neotestamentaria di Gesù, morto e
risorto, vero Dio e vero uomo.
Ebbe così inizio il cosiddetto “ritorno all’autentico Gesù della storia”,
con le numerose vite razionalistiche soprattutto protestanti, come quella, a esempio, di Heinrich E.G.Paulus, che
accetta i miracoli di Gesù, ma spiegandoli in modo razionale: le guarigioni miracolose sarebbero dovute
alla semplice forza psicologica di Gesù. Alle vite razionalistiche fecero seguito quelle fantastiche, in
cui non la ragione ma la fantasia era la chiave interpretativa di Gesù: si inventano personaggi, si
narrano episodi mai registrati dai vangeli – Gesù che piange per la morte di Socrate-, si
preferiscono gli apocrifi ai vangeli canonici. Queste vite fantastiche, a esempio, spiegano i miracoli ricorrendo
alla Reiseapotheke – una specie di farmacia da viaggio – che Gesù portava sempre con
sé. A ciò fece seguito l’interpretazione mitica di David Friedrich Strauss, quella scettica
di Bruno Bauer – che negò la stessa esistenza storica di Gesù – quella estetica di
Ernst Renan, quella liberale di Adolf von Harnack, quella modernista di Alfred Loisy.
In questo caleidoscopio interpretativo, c’era una precomprensione di fondo: il rifiuto aprioristico del
soprannaturale, il dubbio metodico sulla validità testimoniale delle fonti neotestamentarie e il
riconoscimento solo del messaggio moralistico di Gesù. L’odierna pubblicistica – film,
documentari, romanzi, pubblicazioni di nuovi apocrifi, il Jesus Seminar – sembra riproporre lo stesso clima
creato dalla teoria della frode di Reimarus, che riteneva il cristianesimo frutto dell’inganno dei primi
discepoli. Ritorna, quindi, di attualità il giudizio del famoso studioso protestante Joachim
Jeremias, grande interprete del Nuovo Testamento, che nel 1973 definì tale teoria “stolta e
dilettantistica”.
Fortunatamente, altri approcci non ideologici hanno tolto la figura di Cristo dal vicolo cieco del pregiudizio
razionalistico e del minimalismo storico, per immetterla sulla strada maestra della ricerca scientifica
più solida e non condizionata aprioristicamente. Si tratta di un secolo di sviluppi originali e positivi,
che hanno dato risultati convincenti.
Infatti, al razionalismo liberale si opposero con tutta la forza della loro competenza e del loro prestigio gli
esponenti della cosiddetta teologia dialettica, che, con Rudolf Bultmann, più che puntare sul
Gesù della storia fecero leva sul Cristo del kèrygma. Volendo, però,
riconoscere anche il dato storico, sono stati numerosi gli studiosi tra i quali il già citato Jeremias ma
anche Ernst Käsemann, Günther Bornkamm, Heinz Conzelmann che rivalutarono in modo sostanziale il
Gesù della storia come importante per la fede, dal momento che la comunità cristiana primitiva non
intendeva far sfumare nel mito la storia e la persona del suo maestro.
In questa linea di rivalutazione della affidabilità storica dei Vangeli, si inseriscono studiosi come
Charles Harold Dodd. con la sua insuperabile analisi dei fondamenti storici del quarto vangelo; gli
esponenti della scuola scandinava, con il loro studio sui mezzi e i controlli della trasmissione della tradizione
orale e scritta ai tempi di Gesù.
La fase più recente di questa questione, chiamata Third quest dopo la prima razionalistica e la
seconda bultmanniana e postbultmanniana -sottolinea, su ineccepibili basi archeologiche, papirologiche e
storico-documentarie come la valorizzazione di nuove fonti non fittizie ma autentiche: Qumran, Nag Hammadi,
letteratura intertestamentaria ed ellenistica - la validità storica dei Vangeli, offrendo al riguardo una
adeguata criteriologia. In questa linea si pone l'ottimo volume Gesù, la risposta agli enigmi di
Armand Puig I Tàrrech (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2007).
A tutto ciò si deve aggiungere anche una nutrita schiera di studiosi. che, lavorando sulla letteratura
comparata, hanno dato anche una risposta convincente alla vexata quaestio se i Vangeli ci consegnino una
vita di Gesù o siano semplicemente frutto dell'esperienza religiosa della prima comunità cristiana.
Purtroppo, un atteggiamento scettico, da parte sia della letteratura accademica sia della formazione
catechistica, tende a sottovalutare o a rifiutare del tutto la finalità biografica dei Vangeli.
In realtà, a cominciare da Clyde Weber Votaw, che poneva i Vangeli nell'ambito della letteratura
biografica greco-romana, e proseguendo con Graham N. Stanton, Charles H. Talbert, Philip Shuler (che motiva
il carattere biografico del Vangelo di Matteo), Hubert Cancik (che mostra la struttura storiografica di Marco), e
Klaus Berger, si arriva alla sintesi di Richard Burridge, che, mediante la sua analisi comparata delle biografie
ellenistiche greco-romane, incluso il Mosè di Filone d'Alessandria, riafferma il carattere
biografico dei Vangeli.
Burridge mostra come il vero genere letterario dei Vangeli sia il bìos. Come le biografie del
tempo (bìoi), infatti, anche i Vangeli hanno una lunghezza relativamente breve; hanno
un solo protagonista (Gesù Cristo, e lui solo; gli altri, inclusa sua madre o lo stesso Pietro, hanno
spazio minimo); si concentrano, diversamente dalle moderne biografie, sul periodo più significativo del
personaggio biografato: nel nostro caso sul ministero pubblico di Gesù e sul mistero pasquale, con un
breve accenno alla sua nascita.
Possiamo allora riassumere i risultati più attendibili della ricerca sulla vita di Gesù in tre
affermazioni. I dati scientificamente più accreditati sono concordi nel testimoniare la validità
storica dei Vangeli. Gli studiosi rivalutano anche l'affidabilità storica del Vangelo di Giovanni,
rilevando la sua grande aderenza socio-culturale, con i suoi numerosi topoi, oggi archeologicamente
confermati. Uno studio spassionato, privo di pregiudizi razionalistici, porta a concludere che i Vangeli fanno
parte del genere letterario bìos: ciò significa che le narrazioni
evangeliche sono altamente interessate a riportare le gesta di Gesù più che a testimoniare solo la
fede dei primi cristiani.
I Vangeli si concentrano sulla persona, sul messaggio, sugli atteggiamenti, sulle opere di Gesù, insomma
sulla sua vita nel suo momento più decisivo. L'esperienza cristiana, invece, ci è stata trasmessa
soprattutto dal resto del Nuovo Testamento, dagli Atti degli Apostoli, dalle diverse Lettere,
dall’Apocalisse. La Chiesa antica non avrebbe prodotto i Vangeli come bìoi
se non fosse stata interessata alla persona di Gesù. Il fatto che gli evangelisti abbiano scelto di
esprimersi mediante il genere letterario Vangelo, indica che c’è una concreta esistenza storica alla
radice della loro testimonianza: se la carne – conclude Burridge – fosse stata irrilevante per
l’evangelista o se il rivelatore non avesse assunto in nessun modo una piena esistenza umana, perché
l’evangelista avrebbe scritto un Vangelo? Validità storica dei Vangeli e loro qualità
biografica restituiscono alla teologia una base insostituibile per la sua elaborazione cristologica. (...)
Il volume Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger si inserisce in questo contesto. Seguendo la ruota
del tempo, si pone nello sviluppo più armonico della ricerca storico-critica contemporanea. Il volume
contiene due importanti premesse per lo studio della cristologia cattolica: una premessa metodologica e una
contenutistica.
Metodologicamente parlando, il Papa segue la linea interpretativa che riconosce sia il valore
storico-documentario e biografico delle fonti bibliche sia l’armonia tra il Gesù della storia e il
Cristo della fede, individuando, inoltre, una cristologia prepasquale, testimoniata durante la sua esistenza
terrena dallo stesso Gesù.
Una preparazione a questo volume il Santo Padre l’aveva fornita in Unterwegs Zu Christus (2003), in
cui l’allora cardinale Ratzinger lamentava tre limiti nella cristologia contemporanea. Anzitutto una
inquietante decristologizzazione che riduce Gesù a semplice personaggio umanitario piuttosto accomodante,
che nulla esige e tutto approva. In secondo luogo, il rifiuto della presenza del soprannaturale nella
storia che conduce a una interpretazione sedicente scientifica, ma in realtà ideologica, della sua
figura. In terzo luogo, una malintesa attualizzazione che diventa criterio arbitrario di individuazione
dell’autenticità o meno delle parole e della azioni di Gesù, tralasciando elementi centrali
del mistero di Cristo per evidenziare solo quanto si presuppone sia attuale. (...)
In Gesù di Nazaret, il Papa rilegge la “storia” nella sua completezza e cioè nella sua
duplice valenza di avvenimento spazio-temporale (Historie) e di evento salvifico (Geschichte). (...)
L’originalità del cristianesimo risiede proprio nell’affermazione che la storia umana ha
ospitato l’evento Cristo, dono di amore del Padre a tutta l’umanità, il Verbo fatto carne da
adorare, il Redentore da amare, il Giudice escatologico da temere. Con ciò si afferma che la
globalità del suo evento e ogni singolo suo “mistero” è storia di salvezza di Dio
Trinità per l’uomo.
In Cristo, la storia umana è diventata evento salvifico. Non quindi sola fides,
perché fides sine historia è infondata. Né, tanto meno, sola
historia, perché historia sine fide è insufficiente per cogliere la
verità del dono di Dio in Cristo. Pertanto historia et fides sono inscindibilmente unite e
costituiscono i pilastri della verità del Cristianesimo, che è salvezza nella storia e nella fede.
(...)
La seconda premessa, quella contenutistica, costituisce il motivo dominante dell’opera ed è la
presentazione di Gesù come il nuovo Mosè profetizzato dalle Scritture. (...) Benedetto XVI vede
realizzata in Gesù, pienamente e senza limiti, la promessa del nuovo profeta e del mediatore della nuova
alleanza. È questa la chiave per la retta comprensione di Gesù, il cui insegnamento con
autorità non proviene da un apprendistato umano ricevuto in una scuola, quanto piuttosto
dall’immediato contatto con il Padre, che egli vede faccia a faccia e del quale è la Parola:
“La dimensione cristologica, cioè il mistero del Figlio come rivelatore del Padre, la
“cristologia” è presente in tutti i discorsi e in tutte le azioni di Gesù”.
(...)
Se si è dato grande spazio al volume di Benedetto XVI, lo si è fatto nella precisa convinzione che l’opera costituisca un vero turning point della cristologia cattolica contemporanea e, di conseguenza, un importante indicatore nella ricerca, nell’insegnamento e nella catechesi. Il Gesù di Nazaret ratzingeriano è quello consegnatoci dalla tradizione bimillenaria della Chiesa, non come frutto della creatività della comunità cristiana primitiva, né come riduttiva ricostruzione virtuale della ricerca storico-critica contemporanea, ma come manifestazione autentica e veritiera della persona, delle parole, degli atteggiamenti e delle opere di Gesù di Nazaret. La comunità cristiana non ha inventato, sfigurato o trasfigurato Gesù di Nazaret. Lo ha semplicemente testimoniato e coerentemente annunciato. Per questo il volume del Papa da solo contiene implicitamente un insieme di orientamenti contenutistici e bibliografici non solo per un aggiornamento di nozioni, ma soprattutto per una significativa correzione di rotta dell’odierna navigazione della cristologia cattolica.
Per altri articoli e studi sul Gesù storico presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici