Presentiamo on-line l’articolo di S.Ecc.mons Angelo Amato, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, apparso sull’Osservatore Romano del 17/18 aprile 2007. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza di questo testo sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (29/12/2007)
L'opera di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret (Rizzoli, Milano 2007,
pp. 447; il volume è pubblicato in più di 30 lingue), iniziata nel 2003, due anni prima della sua
elezione a Pontefice, è impostata in forma di «quaestio theologica», nella quale il teologo
professionista dà ampio spazio al dibattito e al dialogo con esegeti e teologi contemporanei, offrendo poi
le adeguate motivazioni per le sue scelte interpretative. Per questo lo stesso Papa avverte che il libro
«non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca
personale del "volto del Signore"» (Ib. p. 20).
Sono due le premesse - una metodologica e l'altra contenutistica - che occorre tener presenti per
l'esatta valutazione dell'opera.
La premessa metodologica ci informa che questo volume costituisce l'approdo di un lungo viaggio interiore. Se
fino agli anni Cinquanta l'immagine di Gesù era delineata a partire dai Vangeli, nei quali si vedeva
continuità, armonia e identificazione tra il Gesù storico e il Cristo della fede, subito dopo l'esegesi
storico-critica è diventata sempre più sospettosa circa l'affidabilità storico-documentaria
delle narrazioni evangeliche, consegnandoci ritratti «storici» parziali di Gesù, dando
l'impressione che si saprebbe ben poco di certo su di lui e che solo la fede avrebbe plasmato la sua
immagine.
In realtà - nota giustamente il Papa - per la fede biblica è indispensabile e fondamentale il
factum historicum, il riferimento, cioè, a eventi storici realmente accaduti.
L'incarnatus est non è un'affermazione poetica o simbolica, ma fortemente realistica.
Per questo egli opta per un’interpretazione ecclesiale (esegesi canonica), che, pur
confidando nei risultati dell'indagine storico-critica, non ne assolutizza il valore e non ne condivide
l'atteggiamento di sospetto metodico. I suoi criteri interpretativi sono pertanto i seguenti: fiducia
nell'attendibilità storica del dato neotestamentario; affermazione dell'unità e della continuità
tra Antico e Nuovo Testamento; importanza ermeneutica della tradizione viva della Chiesa; attenzione all'analogia
della fede, intesa come consonanza delle corrispondenze interne del dato di fede.
Ciò premesso, nei dieci capitoli del primo volume, il Papa si propone di presentare il Gesù dei
Vangeli, come il Gesù reale, «storico» nel vero senso della parola. Se la figura di Gesù
non fosse stata altamente straordinaria, non si potrebbe spiegare l'efficacia della sua dottrina e della sua persona
dopo la morte ignominiosa sulla croce. Infatti, a pochi anni dalla sua crocifissione, l'inno della
Lettera ai Filippesi (Fil 2, 5-11)schizza già una cristologia completa, in cui di
Gesù si dice che era uguale a Dio, ma che spogliò se stesso, si fece uomo, si umiliò fino alla
morte sulla croce e che a Lui spetta l'omaggio del creato, l'adorazione dovuta solo a Dio.
Subito agli inizi la comunità ecclesiale ha avuto una cristologia «sviluppata», come quella che
si avrà in seguito nei Sinottici e soprattutto in Giovanni. La grandezza di Gesù, quindi, è da
collocarsi già all'inizio, deve risalire alla sua vicenda storica, in cui ci sono tutti gli indizi per una
sua corretta identificazione.
La seconda premessa, quella contenutistica, costituisce il motivo dominante dell'opera ed
è la presentazione di Gesù come il nuovo Mosè profetizzato dalle Scritture. Ciò che
rendeva decisiva la figura di Mosè non era tanto la sua potenza taumaturgica o la liberazione del suo popolo
dalla schiavitù egiziana, quanto invece l'aver conversato «a faccia a faccia» con Dio, come fa
l'amico con l'amico (cfr Es 33, 11). Questo accesso immediato a Dio gli permise di comunicare la parola di Dio e
la sua volontà di prima mano e senza falsificazione.
Questa familiarità aveva, però, dei limiti. Mosè, pur parlando con Dio, non vide mai il suo
volto, ma solo le sue spalle (Es 33, 21s). La visione piena di Dio sarebbe stata appannaggio del nuovo
Mosè, che avrebbe vissuto al cospetto di Dio non solo come amico, ma come Figlio. E da questa comunione
filiale egli avrebbe attinto la sua autorità dottrinale, l'efficacia delle sue opere di potenza,
l'originalità dei suoi atteggiamenti: «Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che
è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1, 18).
Benedetto XVI vede realizzata in Gesù, pienamente e senza limiti, la promessa del nuovo profeta e del
mediatore della nuova alleanza. È questa la chiave per la retta comprensione di Gesù, il cui
insegnamento «con autorità» non proviene da un apprendistato umano ricevuto in una scuola, quanto
piuttosto dall'immediato contatto con il Padre, che egli vede faccia a faccia e del quale è «la
Parola»: «La dimensione cristologica, cioè il mistero del Figlio come rivelatore del Padre, la
«cristologia», è presente in tutti i discorsi e in tutte le azioni di Gesù»
(Ib.p. 28).
Ciò premesso, diamo ora uno sguardo fugace al contenuto stesso del libro. Questa breve sintesi non vuole essere esaustiva, ma, seguendo lo svolgersi dei capitoli, intende dare solo alcune linee di lettura dell'opera. Può costituire un invito ad accostarsi personalmente al libro, a farne lettura attenta e a scoprire con sorpresa e stupore il volto autentico del Signore Gesù, che i Vangeli ci consegnano con fedeltà storica e profondità spirituale.
Il primo dei dieci capitoli del volume è dedicato al battesimo di Gesù, che con
questo suo gesto si addossa il peso della colpa dell'umanità intera. Gesù dà così
inizio alla sua attività, prendendo il posto dei peccatori: «il battesimo è l'accettazione della
morte per i peccati dell'umanità, e la voce dal cielo "Questi è il Figlio mio prediletto" (Mc 3, 17)
è il rimando anticipato alla risurrezione» (Ib. p. 38).
Viene qui evidenziata la corrispondenza tra il battesimo e la Pasqua. Ricorrendo all'iconografia bizantina, il Papa
nota come l'icona del battesimo presenti l'acqua come un sepolcro liquido e oscuro, che a sua volta è
l'immagine iconografica dell'Ade. Per cui la discesa di Gesù in questo sepolcro di acqua è
l'anticipazione della sua discesa agli inferi, così come l'emersione è immagine della risurrezione.
Inoltre, nella discesa, il nemico di Dio, il Forte - invincibile con le sole forze della storia universale - viene
sopraffatto e vinto dal più Forte, che, essendo della stessa natura di Dio, può prendere su di
sé la colpa del mondo e redimerla.
Viene qui considerata romanzesca e non rispondente al testo l'interpretazione abbastanza diffusa, che
vedrebbe nel battesimo un'esperienza vocazionale, durante la quale Gesù avrebbe avuto la consapevolezza
della sua identità e della sua missione. Per il Papa, invece, «il cielo squarciato» sopra
Gesù rivela la sua continua comunione di volontà con il Padre. E la proclamazione del Padre
sottolinea non tanto l'agire, quanto l'essere di Gesù, che è il Figlio prediletto del Padre. Il
battesimo al Giordano, quindi, svela subito all'inizio la vera identità di Gesù, Figlio del Padre sul
quale discende lo Spirito Santo. Infine, nel battesimo, oltre al Figlio incontriamo il Padre e lo Spirito Santo,
trovandoci così di fronte alla rivelazione del mistero trinitario.
La prima disposizione dello Spirito fu quella di condurre Gesù nel deserto per essere
tentato dal diavolo (secondo capitolo) ed entrare, così, in pieno, nel dramma dell'esistenza umana mille volte
tentata dal nemico di Dio. Le tre tentazioni sono paradigmatiche e hanno un nucleo «perverso» comune:
«mettere da parte Dio», che di fronte a tutto ciò che nella nostra vita appare più urgente
sembra essere secondario, se non superfluo e fastidioso.
«Della natura della tentazione - nota il Papa - fa parte la sua apparenza morale: non ci invita direttamente a
compiere il male, sarebbe troppo rozzo. Fa finta di indicarci il meglio: mettere finalmente da parte le illusioni
e impiegare efficacemente le nostre forze per migliorare il mondo. Si presenta, inoltre, sotto la pretesa del
vero realismo. Il reale è ciò che si constata: potere e pane. A confronto le cose di Dio appaiono
irreali, un mondo secondario di cui non c'è veramente bisogno» (Ib. pp. 50-51).
La prova dell'esistenza di Dio, che il diavolo propone nella prima tentazione, consiste nel trasformare in pane le
pietre del deserto. Il tema del pane è importante nella vita di Gesù, come dimostra sia la
moltiplicazione dei pani, sia l'istituzione dell'Eucaristia. Ma il pane non deve intaccare il primato di Dio, la
fedeltà a lui e l'adorazione mai tradita. Infatti, dove Dio viene considerato una grandezza secondaria,
falliscono anche quelle presunte cose più importanti, che non solo non trasformano le pietre in pane, ma danno
le pietre come pane.
La seconda tentazione è una vera trappola. Citando la Sacra Scrittura (Sal 91, 1s), il diavolo, come teologo
esperto - per Vladimir Soloviev, anche l'Anticristo riceve la laurea honoris causa in teologia
dall'università di Tubinga - parla della protezione che Dio garantirebbe se Gesù si lasciasse andare
giù dal pinnacolo del tempio. Dopo il pane vengono i «circenses» e cioè gli spettacoli
sensazionali. Dio dovrebbe dare spettacolo per dimostrare che è Dio. Ma Gesù risponde con la stessa
Scrittura: «Non tenterete il Signore vostro Dio» (Dt 6, 16). Gesù non tenta Dio, ma scende
nella notte dell'abbandono e nell'abisso della morte, nella fiducia illimitata di cadere nelle mani benevole del
Padre.
Alla terza tentazione, il diavolo conduce Gesù su un alto monte per offrirgli il dominio del mondo. È
la tentazione di assicurare la fede mediante il potere. Questa tentazione concerne la domanda su che cosa debba fare
un salvatore del mondo: dominare e avere potere. Gesù non intende portare al mondo il potere,
ma rivelare a tutti i popoli il vero volto di Dio. Gesù ha portato Dio e con lui la verità sul
nostro destino e la nostra provenienza. L'unico potere che Gesù ha esercitato è il potere
dell'amore. Il potere di Dio è l'amore.
Il capitolo terzo tratta del Vangelo del Regno, che costituisce l'asse della predicazione prepasquale di Gesù. La venuta del Regno è la venuta stessa di Gesù. Gesù in persona è il Regno di Dio. Viene così respinta l'interpretazione secolaristica del regno o regnocentrismo, secondo la quale il regno indicherebbe semplicemente un mondo in cui dominano la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato, indipendentemente dal riferimento a Dio. In questa concezione Dio sparisce e chi agisce è semplicemente l'uomo. Per il Papa, invece, l'espressione «Regno di Dio» sottolinea proprio la signoria di Dio, fonte e criterio di ogni pace e giustizia nel mondo. Ed è in Gesù Cristo che Dio opera e regna, in modo divino, e cioè senza potere mondano, regnando e servendo con l'amore che va sino alla fine, sino alla croce.
Al discorso della montagna sono dedicati i capitoli quarto e quinto. Gesù prende posto
sulla «cattedra» della montagna, non come i maestri d'Israele, ma come il nuovo Mosè, il
Mosè più grande, che sul nuovo Sinai estende l'Alleanza a tutti i popoli. Il discorso della montagna
è la nuova Torah portata da Gesù. Il Papa non si sofferma su tutto il contenuto del discorso ma
sceglie tre temi: le Beatitudini, la nuova Torah del Messia e la Preghiera.
Le Beatitudini sono dei paradossi: «i criteri mondani vengono capovolti non appena la realtà è
guardata nella giusta prospettiva, ovvero dal punto di vista della scala dei valori di Dio, che è diversa
dalla scala dei valori del mondo» (Ib. p. 95). Le Beatitudini, con il loro rovesciamento dei valori,
sono promesse nelle quali risplende la nuova immagine del mondo e dell'uomo. Esse esprimono la vera situazione del
credente nel mondo e manifestano il vero significato del discepolato, che è comunione con Cristo. Infatti,
le Beatitudini sono la trasposizione della croce e della risurrezione nell'esistenza del discepolo, che, come san
Paolo, può dire: «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20).
Le Beatitudini hanno grande valore per il discepolo, dal momento che prima sono state vissute e realizzate
prototipicamente da Cristo stesso. Esse sono come una biografia nascosta di Gesù, un suo ritratto fedele:
«Egli, che non ha dove posare il capo (Mt 8, 20), è il vero povero; egli, che può dire di
sé: venite a me perché sono mite e umile di cuore (Mt 11, 29), è il vero mite; è il vero
puro di cuore e per questo contempla senza interruzione Dio. E l'operatore di pace, è colui che soffre per
amore di Dio: nelle Beatitudini si manifesta il mistero di Cristo stesso, ed esse ci chiamano alla comunione con
Cristo» (Ib. p. 98).
Tralasciando la loro analisi dettagliata, diciamo solo che le Beatitudini contengono quella che il Papa chiama,
una «cristologia nascosta» (Ib. p. 124). Dietro il discorso della montagna
c’è la figura di Cristo, di quell’uomo che è Dio, e che insegna ai suoi discepoli i
sentieri della vera vita.
Dopo le Beatitudini viene presentata la Torah del nuovo Messia, il quale non è venuto per abolire, ma per dare
compimento alla legge antica. Questo compimento esige «un di più» di giustizia: la giustizia dei
discepoli di Gesù, infatti, deve essere superiore a quella degli scribi e dei farisei.
Pur nella fedeltà e nella continuità, il rapporto tra la Torah di Mosè e la Torah del Messia
viene, tuttavia, illustrato mediante una serie di antitesi: «fu detto agli antichi - ma io vi dico».
Per venire a capo di questo aspetto sorprendente, il Papa intesse un rispettoso dialogo con Jacob Neusner, un rabbino
a noi contemporaneo, che, conversando idealmente con Gesù, viene toccato dalla grandezza e dalla purezza delle
sue parole. Tuttavia, resta perplesso di fronte all'inconciliabilità che riscontra nel nocciolo del Discorso
della montagna, decidendo di non seguire Gesù, ma di rimanere fedele all'«Israele eterno»
(Ib. p.130).
Che cosa ha spaventato l'ebreo osservante Neusner di fronte al messaggio di Gesù? La centralità
dell'Io di Gesù, che imprime una nuova direzione a tutto: «La perfezione, l'essere santi come Dio
è santo, richiesta dalla Torah, adesso consiste nel seguire Gesù» (Ib. p. 131). E’
questo il punto che distingue il messaggio di Gesù dalla fede dell'«Israele eterno». Cristo si
sostituisce alla Torah: «Gesù intende se stesso come la Torah – la parola di Dio in
persona» (Ib. p. 137).
Nelle antitesi del discorso della montagna c'è la sublimità dell'ethos del nuovo Messia: «non
solo non uccidere, ma andare incontro al fratello con cui si è in lite per riconciliarsi con lui. Non
più divorzi; non solo uguaglianza nel diritto (occhio per occhio, dente per dente), ma lasciarsi percuotere
senza restituire il colpo; amare non solo il prossimo, ma anche il nemico» (Ib. p. 151).
Questa cristologizzazione della Torah, che impedisce all'ebreo Neusner di seguire Gesù, è il nucleo
irrinunciabile dell'insegnamento di Gesù.
E ciò appare con maggiore evidenza nella riflessione sulla preghiera del Signore (capitolo
quinto). I discepoli, infatti, furono talmente colpiti da come Gesù pregava, che desiderarono essere
istruiti da Lui. Nella redazione del vangelo di san Matteo, il Padre nostro contiene, oltre a una invocazione
iniziale, sette domande: le prime tre riguardano la causa di Dio in questo mondo (santificazione del nome di Dio,
venuta del regno, attuazione della sua volontà); le altre quattro riferiscono le nostre speranze, i nostri
bisogni e le nostre difficoltà (pane quotidiano, remissione dei debiti, difesa dalle tentazioni e liberazione
dal male).
Anche qui, come nel decalogo, si tratta di due tavole: quella relativa a Dio e quella relativa a noi. E’ la
prima tavola, quella del primato di Dio, che sostiene e dà efficacia alla seconda tavola. Dopo aver
scartato la moderna e fantasiosa ipotesi di Dio come madre, che nella Sacra Scrittura non è mai un titolo di
Dio, il Papa offre una finissima analisi delle sette domande del Padre nostro. Ad esempio, nell'interpretazione della
parola greca epiousios - «dacci oggi il nostro pane quotidiano» (epiousios) - il Papa
nota con Origene che tale vocabolo insolito è stato creato dagli evangelisti e può indicare sia il pane
necessario per l’esistenza terrena, sia il pane eucaristico. Il vero cibo dell'uomo è comunque il
Logos incarnato, la Parola eterna, colui che si è fatto uomo, e si dà a noi nel Sacramento. È
nutrito da questo cibo celeste che il discepolo di Cristo può vincere lo strapotere dei mali ed essere
liberato dal Male.
Nel capitolo sesto viene presentata la chiamata dei dodici discepoli, anch'essa un evento di
preghiera, un evento dall’alto: «gli operai della messe di Dio non si possono semplicemente scegliere
come un datore di lavoro cerca i suoi dipendenti; devono sempre essere chiesti a Dio e da Lui stesso essere
scelti per questo servizio» (Ib. p. 204).
Si tratta, infatti, di un evento di vocazione e di elezione. Gesù ne scelse dodici al pari delle dodici
tribù di Israele, come capostipiti del nuovo popolo di Dio, popolo universale fondato sugli
apostoli.
E’ duplice la destinazione dei dodici: stare con Gesù e essere inviati in missione. Dalla comunione con
Gesù sgorga il dinamismo della missione, che si concretizza nell'annuncio e nel potere di scacciare i demoni e
di operare guarigioni. Nei dodici c'è un'ampia gamma di origini, di temperamenti e di mentalità.
Essi personificano la Chiesa di tutti i tempi e le difficoltà di unione nella comunione e nello zelo per
Gesù Cristo e il suo Vangelo.
Anche le parabole (capitolo settimo) sono inviti nascosti e multiformi a credere in Gesù come il «Regno di Dio in persona». La parabola ha una duplice connotazione: da una parte, mostra come in una realtà di esperienza comune sia presente qualcosa di inedito e di nuovo, e, dall'altra, mette in movimento lo stesso ascoltatore, richiedendo la sua collaborazione. Le parabole di Gesù sono espressione del nascondimento di Dio in questo mondo e del fatto che la conoscenza di Dio chiama sempre in causa l'uomo nella sua totalità: «si tratta di una conoscenza che è tutt'uno con la vita stessa; una conoscenza che non può darsi senza "conversione"» (Ib. p. 230). Ovviamente il Papa non spiega tutte le parabole di Gesù, ma si limita a illustrarne tre: quella del samaritano, la parabola dei due fratelli e il racconto del ricco epulone e del povero Lazzaro. Si lascia al lettore la gioia di una meditazione attenta di queste incomparabili pagine di alta edificazione teologica e spirituale.
L’amplissimo capitolo ottavo tratta delle grandi immagini giovannee relative a Gesù.
Di fronte a una esegesi abbastanza restia a riconoscere la storicità del dato giovanneo, considerandolo
una ricostruzione teologica tardiva, il Papa, invece, afferma, sulla scorta di una esegesi più attenta
all'attendibilità storico-documentaria, che il quarto Vangelo poggia su conoscenze straordinariamente precise
dei luoghi e dei tempi e che, inoltre, il suo autore è un testimone oculare affidabile e veritiero dei fatti
di Gesù:
«La vera pretesa del [quarto] Vangelo è quella di aver trasmesso correttamente il contenuto dei
discorsi, l'autotestimonianza di Gesù nei grandi confronti svoltisi a Gerusalemme, affinché il
lettore incontri davvero i contenuti decisivi di questo messaggio e in esso l'autentica figura di Gesù»
(Ib. p. 269).
Il quarto Vangelo si basa, infatti, sul ricordo fedele del discepolo che è anche un ricordarsi insieme al
«noi» comunitario della Chiesa. Si tratta di un ricordare, che è un comprendere guidato dallo
Spirito Santo, mediante il quale il fedele coglie la dimensione profonda del fatto storico concreto e vede quel
«di più» di significato che prima non era visibile:
«Così facendo, però, non si allontana dalla realtà, bensì la riconosce in modo
più profondo, scorgendo la verità che si cela nel fatto. Nel ricordare della Chiesa accade ciò
che il Signore aveva predetto ai suoi nel Cenacolo: «Quando però verrà lo Spirito di
verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16, 13)» (Ib. p.
273).
Il Vangelo di Giovanni, in quanto «Vangelo pneumatico», non fornisce una semplice trascrizione
stenografica delle parole e delle attività di Gesù, ma ci accompagna, mediante il comprendere nel
ricordarsi, nella profondità della parola e degli avvenimenti: «Questo Vangelo ci mostra il vero
Gesù, e possiamo usarlo tranquillamente come fonte su Gesù» (Ib. p. 275).
Dopo aver ribadito e motivato l'affidabilità storica del quarto Vangelo, il Papa illustra, con la sua
straordinaria finezza espositiva, le grandi immagini cristologiche del Vangelo di Giovanni: l'acqua, la vite e il
vino, il pane, il pastore.
La Confessione di Pietro e la Trasfigurazione costituiscono due momenti importanti nel cammino di
Gesù (capitolo nono). La Confessione di Pietro conferma quanto dava scandalo al rabbino Neusner; il fatto,
cioè, che Gesù si poneva sullo stesso piano del Dio vivente:
«Era questo l'elemento che la fede rigidamente monoteistica degli ebrei non riusciva ad accettare; era
questo l'elemento che persino Gesù stesso poteva preparare solo lentamente e gradualmente. Era questo anche
l'elemento che - ferma restando la continuità ininterrotta con la fede nell'unicità di Dio - pervade
l'intero suo messaggio e ne costituisce l'aspetto nuovo, particolare e distintivo. Il fatto che il processo
dinanzi ai Romani sia stato trasformato in un processo contro un messianismo politico corrispondeva al pragmatismo
dei sadducei. Ma anche lo stesso Pilato intuì che in realtà si trattava di qualcosa di molto diverso -
che cioè un "re" politicamente davvero promettente non gli sarebbe mai stato consegnato per la condanna»
(Ib. p. 350-351).
In Gesù le parole e le promesse messianiche diventano vere in modo sconcertante e inaspettato. E i discepoli
sconvolti percepivano che veramente Gesù Cristo era Dio in persona. Ed esprimevano questa loro convinzione
con i titoli dell'Antica Alleanza: Cristo, Figlio di Dio, Signore. Solo dopo la risurrezione la luce di Pasqua
fece esclamare a Tommaso in modo esplicito e pieno: «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20, 28).
Anche l'evento della Trasfigurazione ha a che fare con la divinità di Gesù, strettamente relazionata al
mistero della croce. In questo evento diventa visibile l'intima compenetrazione dell'essere di Gesù con
Dio. Nel suo essere uno con il Padre, Gesù stesso è Luce da Luce:
«Ciò che Egli è nel suo intimo e ciò che Pietro aveva cercato di dire - nella sua
confessione - si rende percepibile in questo momento anche ai sensi: l'essere di Gesù nella luce di Dio, il
suo proprio essere luce come Figlio» (Ib. p. 357).
Il capitolo decimo completa questa lettura storico-teologica del cammino terreno di Gesù
con i titoli e le affermazioni che Gesù stesso si attribuisce. Se dopo la Pasqua si imposero appellativi come
Cristo (Messia), Kyrios (Signore), Figlio di Dio, prima della Pasqua Gesù stesso utilizzò per
sé i titoli «Figlio dell'uomo», «il Figlio» e l'espressione «Sono
io».
Il predicato «Figlio dell'uomo» è tipico delle parole stesse di Gesù e, stando al dato
evangelico, si trova in tre gruppi di espressioni concernenti sia il Figlio dell'uomo venturo, sia l'attività
terrena di Gesù, sia l'avvenimento della sua passione e risurrezione. Facendo uso di questo sorprendente
titolo «Figlio dell'uomo», Gesù rivendica con insistenza la propria divinità, dal momento
che è proprio e solo di Dio perdonare i peccati. In questa enigmatica espressione «Figlio
dell'uomo» ci si imbatte, quindi, da vicino nell'essenza propria della figura di Gesù, della sua
missione e del suo essere: «Egli proviene da Dio, Egli è Dio» (Ib. p. 383).
Anche il titolo «il Figlio» indica la perfetta comunione di Gesù con il Padre, comunione
che non è solo di carattere intellettuale, ma è anche ontologica: l'unità nella conoscenza
è possibile solo perché è unità nell'essere. E questo il paradosso sviluppato nel quarto
Vangelo, il fatto cioè «che Gesù sia, da una parte, totalmente sottomesso al Padre in quanto
Figlio e, dall'altra, si trovi proprio per questo totalmente nell'uguaglianza con il Padre, sia davvero uguale a Lui,
sia una cosa sola con Lui» (Ib. p. 393).
Tra le parole di Gesù trasmesseci dai Vangeli c'è anche l'espressione «Io sono», che
ripropone il nome di Dio del roveto ardente:
«Quando Gesù dice "Io Sono», riprende questa storia e la riferisce a sé. Indica la sua
unicità: in Lui è presente in persona il mistero dell'unico Dio. "Io e il Padre siamo una cosa
sola»» (Ib. p. 398).
Spesso «Io Sono» è contenutisticamente specificato da alcune immagini: Io sono il pane della vita,
la luce del mondo, la porta, il buon pastore, la risurrezione e la vita, la via, la verità e la vita, la vera
vite.
In conclusione, sia nei titoli «Figlio dell'uomo» e «Figlio», sia nell'espressione «Io
Sono», Gesù manifesta la propria originalità e la sua caratteristica esclusiva, che è
quella di essere in comunione filiale col Padre, in una comunione non solo di carattere intellettuale, ma anche
ontologica: Gesù è veramente il Figlio di Dio e Dio lui stesso. Quando il primo Concilio di Nicea
(325 d.C.) adoperò l'aggettivo omooúsios(della stessa sostanza o consostanziale al
Padre) non ellenizzò la fede, ma fissò l'elemento incomparabilmente nuovo apparso nel parlare di
Gesù con il Padre: «Nel Credo di Nicea la Chiesa dice insieme con Pietro sempre di nuovo a
Gesù: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16)» (Ib. p. 405).
L'opera è una riflessione sapienziale su Gesù, frutto di studio, di
conoscenza, di esperienza e soprattutto di amore. Come il minatore che, trovata la pepita dorata nascosta nella
roccia, ne smuove il terriccio e la mostra splendente, così il Papa ricupera dalla miniera evangelica il
ritratto vivo di Gesù, spesso sepolto nelle polverose biblioteche del mondo e appannato, fino a risultare
irriconoscibile, dalle mille ipotesi di indagini scientifiche, pregiudizialmente disancorate dalla storia e dalla
fede.
In quest'opera non si tratta del Gesù di Renan o di Loisy o di Bultmann. Si tratta, invece, del Gesù di
Nazaret, del Gesù dei Vangeli, del Gesù della Chiesa. Si tratta di quell'uomo veramente vissuto su
questa nostra terra, che ha lasciato nelle sue parole e nelle sue opere una «luminosissima scia
cristologica», che lo qualifica già prima della Pasqua, come Figlio di Dio, in comunione d'amore col
Padre, del quale è il Figlio prediletto. Si tratta del Gesù della storia e della fede.
Affidabilità storica delle fonti neotestamentarie, divinità di Gesù e cristologia prepasquale
sono i tre fili dorati, che intessono tutta intera la trama di quest'opera, consegnandoci un ritratto plausibile
del Redentore, che sarà poi completato, nel secondo volume, con gli eventi straordinari della sua nascita e
della sua passione, morte e risurrezione.
Joseph Ratzinger-Benedetto XVI compie qui un'indispensabile opera di purificazione e di ossigenazione della
ricerca contemporanea su Gesù, sia accademica sia pubblicistica, spesso impegnata a riproporre ipotesi
superate del vecchio armamentario della Leben-Jesu-Forschung razionalistica, spacciate come novità di
alto valore scientifico; in realtà, in quest’ultimo caso, si falsificano i fatti e si sostituisce la
concretezza di una fondata documentazione storica, con la fatua inconsistenza di ricostruzioni apocrife inattendibili
e romanzesche. Il Papa, invece, toglie dall'icona del Cristo quella patina di fumo e quella cortina di nebbia, che lo
nasconde o ne deturpa i lineamenti, restituendoci lo splendore del suo volto santo e facendo ancora una volta
risuonare con convinzione la confessione sincera di Pietro, di cui è diventato il successore.
Può essere molteplice l'utilizzo di quest'opera: semplice e tonificante lettura; accompagnamento e
complemento - da noi ritenuto «indispensabile» - delle trattazioni scolastiche, spesso
frammentarie, di cristologia biblica e dogmatica; formazione permanente del clero e dei consacrati; verifica
spirituale della propria sequela Christi da parte di ogni battezzato; primo approccio alla figura di
Gesù da parte dei seguaci di altre religioni. Qualsiasi uso se ne faccia, resta comunque assicurata la
garanzia di una proposta oggettiva e non ideologica.
E se nel lettore sorgono domande, dubbi o ulteriori richieste di chiarimento di aspetti ancora oscuri del mistero di
Cristo, il Papa rimanda alla meditazione delle pagine ispirate del Nuovo Testamento, dove Gesù è
presentato al mondo di ieri e di oggi in tutta la sua provocante autenticità e radicalità. Gesù,
infatti, è, e resta pur sempre, la presenza misericordiosa di Dio nella storia dell'umanità.
Per altri articoli e studi sul Gesù storico e sul libro Gesù di Nazaret di Benedetto XVI presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici