Riprendiamo da altri siti Internet, per farlo ulteriormente conoscere, il commento scritto dall’allora cardinal Joseph Ratzinger sui primi paragrafi della Familiaris Consortio, l’Esortazione apostolica scritta dal Papa Giovanni Paolo II il 22 novembre 1981, “circa i compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi”. Il testo che mettiamo a disposizione è originariamente apparso in AA.VV. La 'Familiaris consortio'. Commenti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1982, pp. 77-88. L’allora cardinal Ratzinger era stato anche relatore al Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia. I titoletti sono del testo originale, i neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione, se la messa a disposizione on-line sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
Il Centro culturale Gli scritti (6/1/2007)
L'esortazione apostolica Familiaris consortio comincia con una breve analisi della
situazione odierna per poi integrarla con considerazioni sulle fonti ed i metodi di conoscenza di cui dispongono la
Chiesa ed i teologi sulla questione.
La seconda parte introduce poi immediatamente nel nucleo del tema, cioè nella questione del fondamento e della
natura del matrimonio e della famiglia. Per il Papa il matrimonio monogamo non è una costruzione
sociologica casuale che si sarebbe formata da una qualche situazione di potere e di autorità e dalle strutture
economiche che la sostengono, e che sarebbe poi anche dissolubile con essa.
Così potrebbe rappresentarselo chi considera l'uomo stesso come un'opera fortuita e vede il possesso
materiale come suo elemento caratterizzante. Se le cose fossero così, la proprietà, la materia sarebbe
l'unica onnipotenza a regnare sugli uomini e sul mondo; allora il non senso prevarrebbe sul senso e l'uomo
in fin dei conti potrebbe solo disprezzare se stesso e il mondo che lo schernisce così crudelmente.
L'opzione della fede cristiana è esattamente l'opposto: il senso è l'onnipotenza e quindi l'uomo
deve essere inteso partendo da li, dal senso creativo che chiamiamo Dio. L'unione dell'uomo e della donna non
è una cosa accidentale - è invece il veicolo del suo futuro; è la premessa della sua stessa
esistenza e di ogni nuova vita umana.
Perciò la questione del giusto rapporto tra uomo e donna, che abbraccia nello stesso tempo il tema della
famiglia, affonda le sue radici fin dentro l'essenza più profonda dell'uomo e può avere una risposta
solo da qui. Non può essere scissa dall'antico quesito dell'uomo su se stesso: Chi sono? Cosa è
l'uomo? Questo quesito a sua volta, dopo le considerazioni precedenti, non può essere scisso dal problema di
Dio. Esiste Dio o non esiste? Chi è Dio?
Prima di rispondervi occorre dire qualche cosa di interamente differente sull'uomo. La risposta della Bibbia al
quesito sull'uomo, partendo dal quale il Papa sviluppa la sua visione, associa la teologia e l'antropologia
nell'affermazione: L'uomo è l'immagine di Dio. Da ciò consegue in sostanza tutto il resto. Dio
stesso è amore, e perché è amore è anche un essere che è relazione. Procede
dall'amore, e verso l'amore. La vocazione all'amore è ciò che fa dell'uomo essenzialmente l'immagine
di Dio. Egli è immagine di Dio nella misura in cui può amare; diventa simile a Dio nella misura in cui
diventa qualcuno che ama.
Dalla prima connessione, quella tra Dio e l'uomo, ne consegue ora un'altra, la connessione indissolubile tra
spirito e corpo. L'esortazione apostolica designa l'uomo come spirito nella carne, ossia: come anima che si esprime
nel corpo, e come corpo che è vivificato da uno spirito immortale.
Poiché l'uomo è una idea creativa unica di Dio, anche il suo corpo ha un carattere teologico. Il
dominio dello spirito e della ragione sulla materialità, di cui abbiamo parlato in precedenza, determina
non una svalutazione della materia ma conferisce ad entrambe un significato positivo e rappresenta una vera
promozione anche del corpo.
Significa infatti che il corpo non è puramente e semplicemente corpo e che il «biologico»
nell'uomo non è puramente e semplicemente il biologico, ma è proprio espressione e compimento
dell'essere uomini. Questo significa anche che il sessuale nell'uomo non si trova accanto alla sua
personalità ma appartiene ad essa. Solo quando la persona ha accettato il proprio corpo anche nella sua
sessualità, essa si è trovata come persona; solo quando il sessuale si è integrato nel
personale, esso riesce a dare a se stesso un senso.
Di qui si comprende allora la frase: «La donazione fisica totale sarebbe menzogna se non fosse segno e
frutto della donazione personale totale, nella quale tutta la persona, anche nella sua dimensione temporale,
è presente».
Così dalle due connessioni finora discusse - Dio e l'uomo, corpo e spirito nell'unità della persona -
scaturisce una terza connessione in maniera perfettamente logica, quella tra persona e istituzione.
La totalità dell'uomo include la dimensione del tempo. D'altra parte il «sì» di un
uomo è contemporaneamente un andare oltre il suo tempo. Nella sua interezza, il «sì»
significa: sempre. Costituisce lo spazio della fedeltà.
Solo in esso può crescere quella fede che dà un futuro e fa sì che i figli, frutto dell'amore,
credano nell'uomo. La libertà del «sì» diventa qui percettibile come libertà di
fronte al definitivo. La possibilità massima della libertà non è il piacere ininterrotto, che
è nello stesso tempo assenza di decisione; la libertà appare come capacità di volgersi alla
verità, e solo allora ha un senso. È dunque capacità di volgersi al definitivo,
capacità di decisione, che dona se stessa e solo nel donarsi si ritrova.
Con la dimensione temporale della libertà - il sì come fede - diventa evidente anche la sua
configurazione sociale: il «sì» personale di due persone l'una nei confronti dell'altra
dischiude uno spazio per il futuro, per l'umanità, che nello stesso tempo è destinato al dono di
una nuova vita. Questo «sì» personale è quindi nello stesso tempo un
«sì» pubblicamente responsabile, con il quale l'uomo si inserisce nella responsabilità
dell'umanità e nella responsabilità pubblica della fedeltà.
Poiché l'umanità nel suo insieme è una sola cosa, nessuno è interamente uno straniero per
l'altro; ne consegue che nessuno appartiene esclusivamente a se stesso, e quindi si assume proprio nel suo
più intimo la massima responsabilità pubblica. Questo deriva di nuovo dalla unità di spirito e
corpo, che è una unità di socialità e personalità e si fonda sulla unità di
tutti gli uomini con il loro creatore.
«L'istituzione matrimoniale - così si esprime il Papa - non è una indebita ingerenza della
società o dell'autorità, né imposizione estrinseca di una forma, ma esigenza
interiore del patto d'amore coniugale».
Così il Papa già in questo capitolo dà la risposta decisiva alle forme odierne di
dissoluzione del matrimonio («matrimonio in prova», unione libere), di cui parlerà poi
più dettagliatamente alla fine della esortazione apostolica (nn. 80 e 81). Essa può venire solo da
qui.
Infatti a questo punto diventa evidente che la libertà anarchica che si fa passare per vera liberazione
dell'uomo, denigra in realtà l'uomo. Si fonda su una banalizzazione del corpo che inevitabilmente include
la banalizzazione dell'uomo.
È vero che il suo punto di partenza è l'orgoglio gnostico: l'uomo può fare di sé
ciò che vuole. Il suo corpo diventa una cosa secondaria dal punto di vista biologico, che non ha nulla che
vedere con le sue aspirazioni spirituali ma deve essere utilizzato a piacere.
Il libertinismo, che si fa passare per scoperta del corpo, è in realtà un dualismo che rende
spregevole il corpo e si esprime perfino nel linguaggio, come si è potuto constatare recentemente in un
film televisivo tedesco dove il bambino concepito era chiamato
«prodotto della gravidanza» per poterlo poi trattare come un qualsiasi prodotto a perdere.
Ma quando l'uomo getta via il proprio corpo, getta se stesso; quando emancipa il corpo dal diritto morale,
nega la sua libertà morale. L'insegnamento esigente della sessualità umana, che viene qui esposto,
è nello stesso tempo perorazione per la libertà dell'uomo e per la dignità del suo
corpo.
Dalla questione dell'essenza del matrimonio, che affonda qui le sue radici nella questione della
verità dell'uomo, l'esortazione apostolica sviluppa poi la questione dell'attuazione di questa
verità nella storia della salvezza, la quale appare quindi come storia dell'uomo con la verità di
Dio e di conseguenza anche come storia della libertà.
Il punto centrale di questa storia è l'alleanza, ossia la comunione d'amore tra Dio e gli uomini. Al
centro della storia della rivelazione si trova la parola «Dio ama il suo popolo»; così prosegue il
Papa. Se tuttavia la rivelazione biblica è fondamentalmente espressione di una storia d'amore, una storia
d'alleanza, la storia dell'alleanza di Dio con gli uomini, diventa chiaro che la storia umana dell'amore e
dell'unione, l'alleanza del matrimonio, riflette come in uno specchio questo mistero.
Il matrimonio è «simbolo reale dell'evento della salvezza», dice l'esortazione (n. 13). Il
fatto inesprimibile, l'amore di Dio per gli uomini, riceve la sua forma linguistica dal vocabolario di matrimonio e
famiglia, in positivo e in negativo. Israele è la casa, ossia la famiglia di Dio; il volgersi di Dio al suo
popolo viene presentato nel linguaggio dell'amore nuziale; per contro l'infedeltà di Israele, la sua
idolatria, è designata come adulterio e prostituzione.
Questa espressione verbale del mistero attingendo allo spazio del matrimonio umano è molto più che
una semplice allegoria o un espediente, scelto a caso, alla mancanza di parole dell'uomo di fronte alla realtà
di Dio. Si fonda su una analogia interiore profonda che si manifesta storicamente nel fatto che le religioni
politeistiche comportano spesso anche la rappresentazione della prostituzione cultuale mentre al contrario la fede
monoteistica comporta una tendenza interiore all'ordinamento matrimoniale monogamo.
Comunque solo l'alleanza definitiva di Dio con gli uomini, che viene creduta e riconosciuta nell'assunzione della
natura umana da parte di Gesù Cristo, ha potuto mettere interamente in luce il matrimonio definitivamente uno
e indissolubile; ma questo conferma ancora una volta il nesso di cui si vuole trattare qui. Si potrebbe
infatti dire che la conoscenza del Dio unico, che trova la sua forma ultima nella conoscenza del Figlio, suscita
anche l'ordinamento del matrimonio unico e che inversamente la fedeltà coniugale apre gli occhi verso Dio e la
sua alleanza.
Non è quindi da meravigliarsi che la distruzione della capacità di un amore umano così
riverente sia anche il principale veicolo di un indottrinamento ateistico - addirittura l'arma più adatta
per scacciare dall'uomo, attraverso la distruzione dell'amore, anche lo sguardo verso Dio, che è amore.
Con queste considerazioni siamo stati introdotti quasi automaticamente attraverso l'Antico Testamento in quello
Nuovo, dal «simbolo reale» al sacramento. La fede in Gesù Cristo consegue dalla logica interna
dell'Antico Testamento: Dio radicalizza il suo amore fino all'unione fisica con l'uomo - diventa Egli stesso
nel Suo Figlio «carne».
In questo modo l'amore di Dio è entrato in una unione finale che è
irreversibile e definitiva. In questo modo viene tracciata anche per l'amore
umano la sua forma definitiva, che è il volgersi nel più profondo
dell'essere alla «verità del principio» (nn. 10 e 14); non
aliena l'uomo, ma lo libera dalle alienazioni della sua storia per portarlo
alla logica della creazione.
Credo che proprio questa sia una osservazione importantissima. Il «soprannaturale» è stato
spesso sentito in tempi recenti come una violenza alla natura. L'era moderna si poneva come obiettivo di liberare
la natura. Ma ne è emersa sempre di più la volontà di dominare la natura, finché si
è persa interamente di vista la natura; si è visto solo un insieme di funzioni che si è cercato
di mettere insieme per costruirsi un mondo migliore.
La negazione dei limiti tra il naturale e l'artificiale si è estesa ancora di più oggi; svolge
ormai nella disputa sulle forme naturali della pianificazione familiare un ruolo considerevole nel quale diventa
evidente che la negazione della fede nella creazione annulla anche il concetto e la realtà della natura.
D'altra parte è stata avviata oggi una nuova e frenetica ricerca sulla natura e si è cominciato
ad interrogarsi sulla creazione, come conseguenza della minaccia che è diventata per l'uomo la sua propria
opera.
Il concetto di sacramentalità del matrimonio è innestato in questa problematica e quindi non
è soltanto una particolare dottrina della Chiesa che non riguarda l'insieme degli uomini. Dove il
Creatore si manifesta come colui che ama, la natura non viene violentata, ma proprio qui sorge la possibilità
«di un ritorno al principio».
La sacramentalità del matrimonio significa allora che il dono della creazione è diventato grazia di
redenzione, e che attraverso la grazia della redenzione la creazione è stata restaurata. Il segno della
creazione è il segno dell'alleanza; non si trova accanto all'alleanza, perché questa non è posta
esternamente sulla creazione, ma è entrata in essa, nel suo più intimo.
Il Papa chiarisce distintamente che per questo sacramento sono valide oggi le
tre dimensioni presenti in ogni sacramento: memoria, compimento e profezia.
Vuole dire che proviene dall'origine della storia della salvezza e dal suo
nucleo centrale - la vita, la passione e morte di Gesù Cristo nella storia.
Esso «ricorda», ma non semplicemente in pensieri e parole; ci collega
realmente a questa storia di Dio con gli uomini e ci introduce in essa.
Nel fare questo, ciò che viene ricordato diventa presente. Ricordo
vuole dire speranza. È certezza della fedeltà irrevocabile di
Dio. Rende possibile il rischio del futuro sulla terra dalla certezza del
futuro eterno.
L'approfondimento centrale della rivelazione vetero-testamentaria era stato da noi sperimentato dall'inizio
nell'incarnazione - Dio si allea agli uomini anche con il suo essere. Dobbiamo ora aggiungere questo:
l'incarnazione rivela il suo vero significato nella croce. Amore è donazione di sé; non può
esistere se vuole sottrarsi alla croce.
Tutto ciò contraddice ancora una volta quella cultura fondata sull'ipotesi che è così
caratteristica dell'uomo di oggi. Anche se per lui Dio diventa semplice ipotesi, la sua propria vita diventa
allora ipotetica - egli fa della umanità un esperimento e si illude quindi sulla realtà e
sull'amore, che può diventare evento definitivo per lui solo nel rischio.
Queste considerazioni conducono in modo perfettamente organico
al passo successivo che il Papa formula nella frase: «Così i coniugi,
mentre si donano tra loro, donano al di là di se stessi la realtà
del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno permanente della unità
coniugale e sintesi viva ed indissociabile del loro essere padre e madre»
(n. 14).
Anche qui il matrimonio riflette il suo prototipo, l'amore di Dio per l'uomo
nell'alleanza. Il frutto di questo amore è la comunione dei molti
fratelli, con i quali il Signore ritorna al Padre, che gli riporta come
dono del suo amore: il grano di frumento che è morto porta molto frutto.
Il Papa chiarisce che anche la paternità e la maternità non si lasciano circoscrivere nel
biologico. La vita viene data interamente all'uomo solo quando gli vengono dati l'amore e il senso che rendono
possibile dire sì a questa vita. Nessuno può dare questo amore e questo senso da solo e con le
proprie forze in maniera sufficiente.
Per poter dire «la vita è buona per quanto io non conosca il tuo futuro» occorre una
autorità superiore a quella che l'individuo può darsi da solo. Il cristiano sa che questa
autorità è conferita nella famiglia, che Dio ha creato nella nostra storia, nell'amore di Gesù
Cristo, ossia nella Chiesa.
Egli riconosce qui all'opera quell'amore indistruttibile che assicura nel contempo un senso permanente. Per questo
motivo l'edificazione della famiglia è indirizzata al contesto di questa famiglia più vasta. In
maniera affatto generale la famiglia individuale può esistere solo in relazione con una grande famiglia che la
porta avanti con sé; il cristiano si trova in maniera decisiva nel nuovo popolo di Dio, la Chiesa.
Inversamente la Chiesa viene edificata dalle famiglie. «Il matrimonio cristiano ... è il luogo
naturale nel quale si compie l'inserimento della persona umana nella grande famiglia della Chiesa» (n. 15).
L'esortazione richiama tuttavia l'attenzione anche sul fatto «che anche quando la procreazione non è
possibile, non per questo la vita coniugale perde il suo valore» (n. 14). Come nell'intero testo, anche
qui diventa evidente che il Papa si rivolge specialmente a coloro cui sono imposte in qualche modo situazioni
difficili. Credo che proprio questo atteggiamento sia caratteristico del documento e della impronta umana che gli
è propria.
Il Papa mostra come anche il matrimonio fisicamente sterile possa diventare fecondo sotto molti aspetti
«quali ad esempio l'adozione, le varie forme di opere educative, l'aiuto ad altre famiglie, ai bambini poveri o
handicappati» (n. 14). Come sempre, anche qui la croce, quando viene accettata, può diventare in
maniera particolare grazia.
Quando l'immagine cristiana del matrimonio viene sviluppata dalla parte più intima e
centrale della creazione e della redenzione, può facilmente crearsi l'impressione che ci siano due linee
contraddittorie nella teologia cristiana - da una parte l'elogio del matrimonio e dall'altra, l'esaltazione della
verginità; si può temere allora che l'uno o l'altro venga privilegiato a seconda dei casi.
Era perciò apparso importante già ai padri del sinodo rappresentare
l'interezza della dottrina cristiana, l'affinità tra matrimonio e
verginità. Il Papa ha colto questo ductus del sinodo. Egli mette
in evidenza che matrimonio e verginità sono le due maniere di rappresentare
un mistero dell'alleanza tra Dio e il suo popolo.
«Quando la sessualità umana non è ritenuta un grande valore donato dal Creatore, perde
significato il rinunciarvi per il Regno dei Cieli». In realtà la verginità presuppone il
sì al matrimonio, il sì alla dignità morale del corpo, e la rafforza. Non può
prosperare attraverso il disprezzo o il disgusto, ma solo attraverso il rispetto.
Le culture gnostiche, ossia dualistiche e che disprezzano il corpo, sono praticamente sempre anche culture
permissive. Il disprezzo non conduce ad astensione, ma a permissività, e viceversa: l'astensione a lungo
andare è possibile solo in base ad una risposta affermativa. Può prosperare solo se il corpo viene
onorato come modo concreto di essere della persona, perché se questo non è, essa diventa una cosa
insignificante e irrilevante.
Secondo l'esortazione apostolica la verginità significa che l'uomo nella sua totalità, quindi anche
con il suo corpo, si trova nell'attesa delle nozze escatologiche e convalida la sua certezza anche con il suo
corpo. Il matrimonio e la verginità hanno quindi in comune, pur nel modo differente di rappresentarla,
la relazione con il mistero dell'alleanza dell'amore di Dio; questo tratto comune è di conseguenza la
convinzione che spirito e corpo, umanità e divinità, appartengono l'una all'altra.
Hanno in comune innanzi tutto anche la fedeltà, che viene dall'uomo nella sua totalità, ossia
con il suo corpo, e di cui viene assunta la responsabilità pubblicamente davanti alla comunità degli
uomini. Su questo punto il Papa insiste particolarmente: «Gli sposi cristiani hanno quindi il diritto di
aspettarsi dalle persone vergini il buon esempio e la testimonianza della fedeltà alla loro vocazione fino
alla morte».
Altro elemento comune, non ultimo, è la fecondità, per quanto diversa nella sua forma concreta.
Proprio chi è vergine sperimenta una nuova forma di paternità e di maternità, «diviene
spiritualmente feconda, padre e madre di molti, cooperando alla realizzazione della famiglia secondo il disegno di
Dio».
Appare così nella esortazione, in poche pagine, una immagine efficace
della vocazione dell'uomo all'amore fondata sulla trasmissione della fede cristiana.
Nella polemica sull'uomo alla quale assistiamo e che sperimentiamo oggi, questa
immagine dovrebbe essere difesa con energia e vissuta in maniera decisiva -
è la nostra risposta alla menomazione dell'uomo, che dilaga
con il pretesto della sua liberazione.
È la difesa fondamentale della dignità dell'uomo, senza la quale i diritti umani non diventano
credibili e non possono esistere. Il testo è un incoraggiamento per i cristiani e nello stesso tempo un
grande impegno.