Avanti Cristo, dopo Cristo: Dionigi il piccolo e l’invenzione dell’era cristiana
del prof.Giancarlo Biguzzi

Presentiamo on-line un testo del prof.Giancarlo Biguzzi, docente di Nuovo Testamento presso la Pontificia Università Urbaniana, già apparso, nel corso dell’anno 2000, sulla rivista Eteria ed appartenente ad una serie di articoli che avevano lo scopo di introdurre, come in agili reportage giornalistici, ad una prima conoscenza dei luoghi e delle figure del Nuovo Testamento. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di rendere più facile la lettura on-line. Il titolo originale dell’articolo era: L’anno 2000 fu inventato da un monaco.

Il Centro culturale Gli scritti (7/8/2007)


Tutti sanno che l’anno 2.000 dipende dalle convinzioni di fede di un monaco, ma in questo anno memorabile a nessuno è venuto in mente di organizzare un qualche congresso da qualche parte o un talk show in qualche tv per ricordare quell’uomo. E allora proviamo noi a sdebitarci con Dionigi o, meglio, con Dionigi l’exiguus, “il piccolo”, come lui per umiltà si faceva chiamare.

Il pio monaco perfettamente bilingue

La sua patria era la Scizia (Scytia Minor, o Dobrugia, nell’attuale Romania meridionale) che fin dai tempi di Eschilo, di Plutarco e dell’apostolo Paolo ha però avuto cattiva fama. Eschilo adopera l’espressione “popolino scita” per indicare quello che noi diremmo “un branco d’ignoranti” (Prometheus vinctus 417), Plutarco usa il termine “scita” come equivalente di “rozzo” («Diogene diceva di Demostene che nelle parole era uno scita, mentre in guerra era un uomo fine», Vitae decem oratorum 847.F.61) e l’apostolo Paolo mette gli “Sciti” in coppia con i “barbari” (Colossesi 3,11). Si può aggiungere che presso un grammatico del secondo secolo a.C. il “bere alla scita” è proverbiale così che “parlare in lingua scita” significa parlare come un ubriaco (cf. Ateneo, 221, e 499). Ma lo scita Dionigi non stava dentro questi schemi perché era uomo di valore e di cultura.
Su di lui siamo informati da Cassiodoro (circa 490-583 d.C.) che, figlio di un magistrato di Teodorico, fu un influente uomo politico, questore e console, e consigliere di sovrani come Amalasunta, Teodato e Vitige, e fu poi monaco e fondatore del monastero di Vivarium, presso Squillace in Calabria. Dionigi dev’essere stato ospite a Vivarium perché Cassiodoro dice: «studiò dialettica con me» e «ebbe la consuetudine di pregare con noi». Cassiodoro era pieno d’ammirazione soprattutto per il perfetto bilinguismo di Dionigi: di lui dice infatti che poteva leggere un libro in greco dandone traduzione simultanea in latino e viceversa poteva leggere un libro in latino dandone traduzione simultanea in greco: e tutto avveniva «inoffensa velocitate», e cioè con impressionante scioltezza – aggiunge Cassiodoro.
Nonostante la notevole romanizzazione, la Scizia era molto vicina a Bisanzio e questo spiega come mai Dionigi conoscesse il greco alla perfezione. Dalla Scizia poi Dionigi era venuto a Roma intorno al 495 d.C. e, pur restando un levantino, fu poi «del tutto romano nei costumi» – dice ancora Cassiodoro. Gli storici anzi gli riconoscono il merito di avere fatto da ponte tra mondo ecclesiastico orientale e mondo ecclesiastico romano-occidentale con la sua traduzione in latino di autori greci, con l’adozione di calcoli orientali per la data della Pasqua e con la raccolta di canoni (= leggi) dei concili e dei sinodi bizantini, che integrò poi con le decretali dei papi da Siricio (Ω 399) ad Anastasio II (Ω 523). Tra l’altro, per tutto questo Dionigi è considerato sia un fondatore della cultura medievale, sia l’iniziatore del diritto canonico, e cioè della sistematizzazione delle leggi che regolano ancora oggi la vita della chiesa cattolica.
Del suo giovane amico, Cassiodoro fa un ritratto non poco oleografico dicendo che Dionigi univa la semplicità alla cultura, la dottrina all’umiltà, e alla sobrietà l’eloquenza. Cassiodoro dice poi che Dionigi conosceva le Scritture così bene da saper rispondere su due piedi a qualsiasi domanda al riguardo, e dice che, pur essendosi consacrato a Dio senza riserve, non si sottraeva a nessun incontro e a nessun ambiente. Sobrio a mensa e anzi fervoroso digiunatore, volentieri prendeva parte ai banchetti per aver modo di parlare dei beni spirituali; di castità irreprensibile, aveva quotidiano contatto con il mondo femminile, e, mite di animo, si lasciava agitare dai problemi dei contemporanei. Era poi portato a equilibrare col proprio pianto il riso garrulo degli altri e, mettendosi al di sotto dei servi più umili, si definiva “exiguus”, lui che era in grado di avere i re come interlocutori. Fin qui Cassiodoro circa Dionigi (Patrologia Latina 73, 223-224). Ma ora veniamo al punto.

L’incarico di computare la data della Pasqua

Nell’anno 525 Dionigi fu richiesto da Bonifacio, il notaio primicerio della corte papale di Giovanni I, di interessarsi della data della Pasqua il cui calcolo contrapponeva chiese orientali e occidentali fin dal terzo secolo. Nel corso del sec. IV, per esempio, le chiese occidentali avevano celebrato la Pasqua in data diversa dalle chiese orientali almeno per sette volte. Tutto dipendeva dal fatto che la Pasqua è legata all’anno lunare, più breve rispetto a quello solare di 11 giorni e sei ore circa, per cui i giorni mancanti al ciclo della luna devono essere raccolti in un mese supplementare (o “embolismico”) secondo periodi che sono appunto difficili da definire. In occidente un primo computo era stato tentato da Ippolito romano (sec. III), un altro dal computista africano Augustale (seconda metà sec. IV), un altro da Vittore di Aquitania (sec. V), e altri ancora da cronografi per noi anonimi. In oriente invece la data della Pasqua si stabiliva in base ai calcoli di Anatolio di Laodicea (seconda metà del sec. III), calcoli continuati poi da Teofilo di Alessandria e dal suo successore, Cirillo di Alessandria (fine sec. IV).
Alla richiesta pontificia, Dionigi si mise all’opera e, da buon levantino che era, diede ragione a Cirillo d’Alessandria continuandone il calcolo dal 532 (anno cui si sarebbe arrestata la tabella pasquale alessandrina) fino al 626, fornendo per altri 95 la data pasquale anno per anno. Poi si sarebbe dovuto ricominciare per un ciclo del tutto analogo.

Partire da Gesù Cristo e non da Diocleziano

Nell’esporre al notaio primicerio i risultati della consulenza che gli era stata chiesta, Dionigi scrive di aver colto l’occasione per introdurre un’innovazione. Dice di avere preso come punto di partenza per la sequenza degli anni non più l’ascesa al soglio imperiale di Diocleziano, come continuava a fare Cirillo di Alessandria cui si era ispirato. Dopotutto, Diocleziano non era neanche un imperatore ma un tiranno, e non aveva le carte in regola per essere metro di misura per gli anni e per i secoli. Era molto più giusto e molto più significativo cominciare da Gesù Cristo, il redentore del genere umano.
L’èra dioclezianea era stata introdotta da computisti greci o più probabilmente egizi. Partiva dal nostro anno 284 d.C., l’anno in cui Diocleziano era stato acclamato imperatore dalle truppe a Nicomedia di Bitinia. I cristiani avevano bensì accettato di contare gli anni a partire da Diocleziano, anche se egli nel 303 aveva scatenato contro di loro l’ultima, durissima persecuzione dell’impero, ma preferivano parlare di “èra dei martiri” più che di “èra di Diocleziano”. Dionigi non si accontentò neanche di questo pio ripiego e così mandò in soffitta l’ultimo persecutore dei cristiani e l’èra che da lui prendeva il nome. Dopo avere esposto questo suo atto di fede al notaio papale Bonifacio nella lettera a lui indirizzata (Patrologia latina 67, 20.A), Dionigi lo ripropose con le stesse parole in un libro intitolato «Liber de Paschate - libro sulla Pasqua» (Patrologia latina 67, 487.A).
Quel testo, di cui non c’è pericolo di sopravvalutare l’importanza, merita di essere riferito. Esso dice così:

«San Cirillo fece cominciare il suo ciclo dall’anno 153mo di Diocleziano e lo fece terminare nell’anno 247mo. Noi invece, pur incominciando dall’anno 248mo dello stesso tiranno –piuttosto che principe–, non abbiamo voluto collegare i nostri calcoli alla memoria di un uomo empio e persecutore. Abbiamo scelto invece di contrassegnare la successione degli anni a partire dall’incarnazione di Gesù Cristo nostro Signore, affinché fosse a noi più evidente l’esordio della nostra speranza e affinché risplendesse la sorgente dell’umano riscatto, e cioè la passione del Redentore».

L’invenzione dell’èra cristiana come la scoperta dell’America

Il conto degli anni a partire dal Cristo entrò poco a poco nell’uso per la pubblicità fatta a Dionigi dall’autorevole Cassiodoro (che morì a Vivarium più che novantenne nel 580), e per il decisivo consenso di Beda detto il Venerabile (Ω 735), un altro uomo coltissimo, monaco a Jarrow, in Inghilterra. L’èra cristiana si impose dapprima fra gli anglosassoni per merito appunto di Beda, poi in Francia (secolo VIII), poi in Germania (secolo IX), poi fu fatta propria dai papi (secolo X), e diventò pressoché universale nel secolo XVII.
Come è noto, nei suoi calcoli Dionigi commise un errore di almeno 4 anni identificando l’anno della nascita di Gesù con l’anno 753 dalla fondazione di Roma. L’errore di Dionigi è vivo ancora oggi, ma non è l’errore e non è la sua correzione quello che conta[1]. L’impareggiabile merito del monaco scita è infatti quello di avere imposto una diversa divisione della storia che prevedibilmente persisterà a tempi indefiniti. È a lui che in definitiva dobbiamo le diciture «avanti Cristo» e «dopo Cristo» le quali, con poco sforzo e con molta efficacia, ci permettono di fare del Cristo il centro della storia e il suo spartiacque.
A Dionigi, che voleva semplicemente regolare la questione pasquale, capitò dunque di fare molto di più. In questo potrebbe essere paragonato a Cristoforo Colombo che cercava le Indie, e trovò l’America.
Se tutti conteggiamo gli anni, i secoli e i millenni come Dionigi ha per primo avuto l’idea di fare, è lui l’inventore dell’anno 2000, ed è grande anche se, per la sua umiltà, è voluto passare alla storia come “il piccolo”.


Note

[1] Per un tentativo di prosciogliere Dionigi da errori di calcolo cf. G. Fedalto, Quando festeggiare il 2.000?, Ed. San Paolo 1998.


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