Brani di difficile interpretazione della Bibbia, XXI.
Il martirio o la difesa violenta, due diverse prospettive nel secondo e nel primo libro dei Maccabei: appunti, in forma di recensione, da una relazione del prof.Joseph Sievers

Mettiamo a disposizione alcuni appunti presi, in forma di recensione, durante la relazione “Vittoria nel martirio e vittoria con la spada: aspetti della violenza nella tradizione maccabaica” tenuta da Joseph Sievers, professore del Pontificio Istituto Biblico di Roma, il 13 settembre 2006 nell’ambito della XXXIX Settimana Biblica Nazionale dell’Associazione Biblica Italiana. Questi appunti vogliono solo essere una memoria di quella relazione per avvicinare il lettore della Bibbia al significato della presenza dei due libri dei Maccabei nella Sacra Scrittura. Non possiamo, ovviamente, non rimandare al testo dello stesso prof.J.Sievers che apparirà negli Atti della settimana, sperando di non fare cosa sgradita con queste nostre parole.

Il Centro culturale Gli scritti (3/3/2007)


Il prof.Sievers ha mostrato inizialmente, nella sua relazione, come il tema del martirio cominci ad emergere nella Sacra Scrittura solo nei libri del giudaismo di età ellenistica.

Lo troviamo, infatti, per la prima volta in Dan 3. I tre giovani ebrei Sadrach, Mesach ed Abdenego si rifiutano di adorare l’idolo d’oro e vengono gettati nella fornace. Il fuoco però non fa loro male. Daniele stesso, in Dan 6, appare pronto a morire per le sue convinzioni, ma è salvato miracolosamente per intervento divino.

E’, però, solo nei libri dei Maccabei – ha continuato il prof.Sievers - che il martirio si consuma effettivamente sino all’effusione del sangue, che in Daniele è scongiurata.. Siamo così dinanzi non più alla sola minaccia, allontanata dalla bontà di Dio, ma all’effettiva uccisione dei testimoni della fede.

Ma proprio i due libri ci presentano due visioni differenti degli stessi eventi. Così J.Sievers introduceva la questione, nell’Abstract fornito ai partecipanti al convegno: “I primi due libri dei Maccabei sono una anomalia nella Bibbia dei Settanta. Sono stati scritti quasi nella stessa epoca, trattano in buona parte gli stessi avvenimenti, ma offrono due punti di vista molto diversi tra loro... Una delle differenze fondamentali è la loro visione della violenza”.

Il secondo libro dei Maccabei

Alcuni hanno affermato che 2 Mac sarebbe opera dell’ebraismo ellenistico della diaspora. Dobbiamo, però, rilevare – secondo Sievers - che il libro è tutto incentrato sulla Giudea sotto amministrazione seleucide. Anzi il testo inizia proprio con una lettera dei Giudei di Gerusalemme ai fratelli di Alessandria d’Egitto.

I capitoli sui martiri sono al centro del libro e – secondo il prof.Sievers – sono i capitoli chiave dell’intero volume. Secondo la sua proposta di lettura, anche se 2Mac 6,18-7,42 non parla del tempio – è l’unico episodio del libro che non ne parla e, per molti, questo è il segno che non è parte dell’opera di Giasone, ma è stato aggiunto da una redazione successiva – questi versetti sono centrali. Sono così importanti che potremmo indicare nel tema del martirio il motivo dell’inserimento di 2Mac nel canone - e forse anche di 1Mac.

Secondo Sievers si può formulare la tesi che il tema del martirio sia stato il tema trainante nella comprensione della canonicità del complesso dei due libri dei Maccabei (ed, implicitamente, affermare così che ne è la chiave di lettura).

2Mac 6,18-7,42 tratta del martirio di Eleazaro e di quello di una madre anonima insieme ai suoi sette figli dei quali pure non viene indicato il nome.

Solo nel caso del primo figlio si parla esplicitamente delle torture, perché il testo è centrato non sulla descrizione del martirio, ma piuttosto sui discorsi dei martiri. Sono 10 brevi discorsi in successione. Due iniziali - del primo giovinetto ucciso e subito dopo di tutti i fratelli che insieme parlano del suo gesto - poi quelli degli altri 5 fratelli che vengono via via condotti alla morte, poi 2 della madre, infine quello del figlio più giovane. Quest’ultimo è l’apice: è l’ultimo discorso, è il discorso del figlio più giovane, del più debole.

Nel primo breve discorso il primo figlio domanda al re: “Cosa vuoi sapere? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire”. Qui è l’aspetto comune al martirio ebraico ed a quello cristiano, il “Qiddush Hashem”, la santificazione del nome di Dio.

Il secondo discorso pronunciato da tutti i fratelli annuncia la futura reazione di Dio: “Egli, ci darà conforto, si muoverà a compassione” (qui si ricorda Dt 32). Dio stesso è toccato dalla violenza ai suoi servi. Incontriamo qui il linguaggio della preghiera, più che del sacrificio.

Il terzo figlio parla della resurrezione, della ricompensa che Dio darà.

Seguono poi le brevi parole del quarto e del quinto fratello.

Il sesto fratello confessa i peccati: “Abbiamo peccato contro il nostro Dio, per questo ci accadono cose che muovono a meraviglia”. Siamo dinanzi all’affermazione che i peccati sono, in una prospettiva di fede, causa della persecuzione, ma, nonostante questo, non possono essere addotti a scusante della persecuzione, come se essa avesse una qualche giustificazione umana.

Parla poi la madre, affermando che Dio è l’origine di ogni essere umano. E’ l’affermazione chiara della creatio ex nihilo: dal niente Dio ha creato tutto. Ma l’orientamento del discorso va oltre: il Dio che può creare, può anche restituire alla vita.

Infine troviamo l’ultimo discorso, il più teologico, quello del fratello più giovane.

Costui conferma che il martirio è castigo per i peccati, ma il discorso apre un collegamento con il tema della supplica. Il figlio più piccolo annuncia la certezza che la loro morte, la morte dei martiri, può fermare il castigo.

Il martire, morendo, supplica Dio per il popolo, chiede perdono per il peccato e testimonia la certezza che l’ira di Dio si arresterà e si trasformerà in misericordia

Nel testo CEI leggiamo la traduzione: “Io sacrifico il corpo e la vita” - il testo originale greco è “prodidomi” – ma, forse, l’accento non è tanto sul sacrificio, quanto piuttosto sulla preghiera, secondo il tenore della prosecuzione del testo.

Schenker vi ha visto un collegamento con le parole dell’eucarestia, un collegamento teologico, non letterale, con le parole di Gesù.

Poi 2Mac continua con la parte storica, descrivendo la rivolta di Giuda Maccabeo. Essa è descritta forse in maniera più realistica di 1Mac.

Il libro vuole evidenziare – ha sottolineato ancora Sievers - che il martirio dei sette fratelli e della loro madre ha “volto in misericordia” il finale di tutta la storia. Secondo la lettura del prof.Sievers, 2Mac mostra così che la svolta che conduce alla libertà del popolo ebraico non è determinata tanto dalla lotta militare di Giuda Maccabeo e dei suoi, ma, piuttosto, dal sacrificio del martirio appena descritto che muta l’ira divina in misericordia. E’ per il martirio che Dio concede ai Maccabei di essere poi gli esecutori della liberazione.

Giuda esorterà i suoi, dicendo: “I nemici confidano nelle armi, noi in Dio!”

Così concludeva allora Sievers nell’Abstract: nel libro viene affermato che a motivo dei martiri, “l’ira di Dio si è trasformata in misericordia (8,5). Quindi Giuda Maccabeo e i suoi uomini armati diventano (solo) esecutori della svolta che è stata resa possibile dai martiri”.

Il primo libro dei Maccabei

1Mac è, invece, molto diverso, secondo l’analisi di Sievers. E’ opera di un autore anonimo, non molto prima del 100 a.C.

Il libro ci presenta come primo eroe e modello Mattatia, che non è neanche nominato in 2Mac.

Troviamo anche qui una situazione di martirio. Abbiamo così la conferma di fatti reali, che sottostanno ai due testi e che sono stati elaborati teologicamente da 2Mac.

Con Mattatia e poi Giuda abbiamo la risposta armata all’imposizione di un culto pagano. La questione qui è: quale reazione è giusto avere a questa imposizione di un culto estraneo?

Alcuni si sono posti la domanda – ha argomentato Sievers - se Mattatia sia solo una creazione letteraria; di certo la sua figura è attestata anche in Flavio Giuseppe. 1Mac 2,15-29 potrebbe essere, però, una “creazione letteraria”, modellata sul testo di Nm 25,15ss. dove Pincas uccide Zimri e con questo atto di zelo riesce ad allontanare l’ira di Dio. Egli, dice il libro dei Numeri, ha fatto il culto espiatorio per gli israeliti.

Non discende da Aronne, ma ha diritto al sacerdozio, per questo suo atto di zelo (come vediamo in Sir 45, dove si parla del compenso del sacerdozio). E’ così che gli Asmonei possono essere sacerdoti.

Mattatia uccide un ebreo ed insieme a lui uccide anche l’ufficiale che lo costringeva (sono entrambi colpevoli). Il suo atto è così quello di uccidere il trasgressore ed insieme chi ha indotto alla trasgressione. Viene presentata così come esemplare l’azione violenta (in Sal 106 e Sir 45 si presuppone l’azione ma non la si descrive).

Forse la rivolta si è sviluppata in campagna, prima che in città. Probabilmente - così ha sostenuto O.Keel - l’episodio di Modin non è storico.

Dalla profezia di Geremia in poi si era radicata l’idea di adattarsi ad un governo straniero. Ma certo Antioco IV è andato oltre, è arrivato a vietare radicalmente la possibilità dell’osservanza del culto giudaico. Qui sta, forse, il motivo della lotta violenta contro i persecutori.

Mattatia serve inoltre – ha ipotizzato Sievers - come modello per la soluzione del conflitto di coscienza fra osservanza del sabato e necessità della guerra. Il libro racconta, in 1Mac 2,29ss., l’episodio di 1000 persone – non una sola famiglia! - che si nascondono e che di sabato non si difendono, finendo per essere uccisi. Questo è poco credibile storicamente. Il libro enuncia così il pericolo di rinunciare ad una autodifesa, mostrando le 2 possibilità: o la sopravvivenza dell’ebraismo con persone vive, attraverso la lotta armata, o il martirio, con la fine dell’ebraismo.

La risposta di Mattatia e dei suoi è che bisogna difendersi anche di sabato. Cosa pensare dell’ipotesi di alcuni autori che hanno affermato che la decisione di difendersi di sabato arriva storicamente più tardi?

Possiamo forse accoglierla, secondo J.Sievers. Sembrerebbe, infatti, dal testo che si debba attendere 7 anni dopo la morte di Mattatia e Giuda per arrivare alla soluzione di questa questione, quando vediamo Gionata combattere dinanzi a Bacchide di sabato. La migliore spiegazione sembra che si sia addivenuti alla scelta di combattere di sabato solo a questo punto della storia. Ma, per darle più autorità, essa sia stata retrodata ed attribuita quindi direttamente a Mattatia, alle origini della rivolta.

Anche Bar Kochba affronterà il problema e lo risolverà alla stessa maniera. La halakah – la riflessione sul giusto comportamento prescritto dalla Torah - ha visto così una lunga evoluzione nell’analisi di questo problema, che è sempre tornato a galla.

Così nell’Abstract, Sievers sintetizzava la prospettiva di 1Mac: “Nel suo zelo per l’osservanza della Torah Mattatia è considerato degno di chiamarsi discendete di “Pincas nostro padre” (1Mac 2,54). L’atto di zelo di Mattatia che uccide un ebreo che offre un sacrificio pagano insieme all’ufficiale venuto a imporre tale sacrificio viene definito equivalente all’atto di Pincas il quale aveva ucciso insieme il trasgressore e la persona che l’aveva portato a trasgredire... Mentre nel Salmo 106,30 viene sottolineato l’effetto benefico dell’azione di Pincas (la cessazione del castigo), in Sir 45,23 un’enfasi aggiuntiva viene posta sul fatto della ricompensa per essa, cioè il sacerdozio per lui e per i suoi discendenti (così anche 1Mac 2,39.41). In 1Mac 2,26.54 invece, per la prima volta, l’azione stessa della doppia uccisione viene presa come esemplare”.

Conclusione

Sievers ha allora concluso mostrando che ci sono quindi due visioni speculari e quasi opposte nei due libri dei Maccabei. Se in 1Mac si esalta il ristabilimento tramite la violenza della possibilità di osservare la Torah, in 2Mac si afferma, invece, la via del martirio non solo come testimonianza individuale di fede, ma come mezzo di espiazione e di propiziazione.

Sarà questa linea quella che sarà privilegiata dal Nuovo Testamento, sarà la prospettiva portata a compimento dalla morte di Gesù e prolungata nell’affermazione del valore del martirio dei cristiani.

Concludiamo con le stesse parole di Sievers nell’Abstract: “2Mac è il primo testo biblico che introduce il concetto di martirio, non solo come testimonianza individuale di fede, ma come mezzo di espiazione e propiziazione. Esso avrà enorme importanza per l’interpretazione del martirio cristiano e della morte stessa di Gesù. In 1Mac invece si esalta il ristabilimento della giustizia e dell’osservanza della Torah come risultato più diretto delle vittorie militari di Mattatia e dei suoi figli”.


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