Le Pastorali e la Chiesa ministeriale nella storia


Indice


( I ) Le tre lettere

1. Omogeneità, nome, destinatari

a. Omogeneità tra le tre lettere

Le due lettere a Timoteo e quella a Tito formano un gruppo omogeneo all’interno degli scritti del NT a motivo di lingua, vocabolario, destinatari, contenuto, e dello stesso tipo di situazione ecclesiale che presuppongono. Difficilmente questa convinzione sarà abbandonata, nonostante il tentativo per esempio di J. Murphy-O’Connor di presentare 2Tm come diversa dalle altre due Pastorali su circa trenta punti; cf. J. MURPHY-O’CONNOR, «2 Timothy Contrasted with 1 Timothy and Titus», in Revue Biblique, 98 (1991), 403-418. È molto più vicino al vero C. Spicq, uno dei più grandi commentatori delle Pastorali, il quale per le tre lettere parla di “somiglianza totale (similitude totale)”; cf. C. SPICQ, Les Épîtres Pastorales, Paris 1947, cxix.

b. Il titolo di lettere ‘pastorali’

La denominazione di “Lettere Pastorali” fu data da B.N. Berdot (1703) a Tt e da P. Anton (1753, in opera postuma) a tutte e tre le lettere. Quel titolo esprime bene la loro caratteristica fondamentale che è quella di contenere istruzioni e direttive di un pastore a due pastori. Ma già il Canone Muratoriano (lista di libri sacri del 180 d.C. circa) dice che le tre lettere sono santificate (ispirate?) «in vista dell’ordinamento della disciplina ecclesiastica - … in ordinationem ecclesiasticae disciplinae», mentre per s. Tommaso d’Aquino nelle tre lettere vengono istruiti coloro che guidano le chiese: «Hic instruit ipsos rectores Ecclesiae», Prolog. in 1Tim.

c. I destinatari: Tito a Creta e Timoteo a Efeso

  1. Timoteo era nativo probabilmente di Listra (cf. At 16,1-2). Era nato da un matrimonio misto (madre ebrea che però non lo circoncise, e padre greco). Paolo lo prese come suo collaboratore nel secondo viaggio, dopo averlo fatto circoncidere (At 16,3; contro Gal 2,3-5, e 5,3.11!). Durante quel secondo viaggio, collaborò con Paolo e Silvano alla fondazione delle comunità di Filippi, Tessalonica, Berea e Corinto. Timoteo fu poi collaboratore, inviato, e co-mittente di Paolo (cf. il prescritto di 2Cor, Fil, 1-2Tess, Flm, Col).
  2. Di Tito parlano soltanto le lettere paoline, non il libro degli Atti. Da Gal 2,1-3 si apprende che Paolo lo portò all’assemblea apostolica di Gerusalemme, ma non accettò di farlo circoncidere (Gal 2,3-5). Collaboratore di Paolo, ma mai co-mittente di lettere, fu inviato dell’Apostolo per mediazioni delicate come quella che portò alla pacificazione tra Paolo e i Corinzi (cf. 2Cor 2,12-13; 7,5-6), e lavorò per la colletta a Corinto nella sua fase finale (2Cor 8,6.23).
  3. Le tre lettere pastorali, pur essendo dirette a persone singole, si occupano di intere comunità, e dunque sono anch’esse lettere, non-private, ma apostoliche ed ecclesiali. Tra l’altro, in tutte e tre le lettere l’augurio finale è formulato al plurale e non al singolare: «La grazia sia con voi» (1Tm 6,21; Tt 3,15; 2Tm 4,22).

2. Varietà di generi letterari e fonti

a. I generi letterari

Le tre ‘pastorali’ contengono in successione, spesso non molto logica, elementi di natura disparata: (i) elementi epistolari: prescritto, saluti, disposizioni, richieste, preannunci di visite o di viaggi; (ii) notizie e ricordi personali, che vengono chiamati dai commentatori ‘personalia’ e che riguardano soprattutto Paolo, Timoteo, e Tito; (iii) esortazioni personali: «Fuggi le passioni giovanili», «Sii mite, dolce, paziente, fedele alla parola», «Non bere soltanto acqua, ma bevi un po’ di vino a causa dello stomaco e dei tuoi frequenti disturbi»; (iv) esortazioni per la guida della comunità: come trattare le diverse categorie di credenti, come scegliere i ministri; (v) imperativi e raccomandazioni contro i falsi dottori e le false dottrine; (vi) frammenti teologici o liturgici che vengono inseriti qua e là come motivazione e fondamento alle esortazioni: cf. i testi circa la volontà salvifica universale di Dio (1Tm 2,5-7), circa incarnazione e glorificazione del Cristo (1Tm 3,16; 6,13-16), circa le Scritture ispirate (2Tm 3,16), circa il battesimo (Tito 3,5), circa la bontà, ma limitata utilità della Legge (1Tm 1,8), circa la salvezza per grazia e non per le opere (Tito 3,5-7), ecc.

b. Fonti delle Pastorali

1Tm e Tt contengono un abbondante materiale tradizionale già ben configurato: per esempio inni, dossologie, costituzioni, proverbi, codici di morale domestica, catalogo di doveri ecc. Le fonti da cui le tre lettere attingono sono la predicazione e le lettere di Paolo, la liturgia proto-cristiana (cf. per esempio i frammenti liturgici di 1Tm 3,16; 4,15-16; 2Tm 2,11-13; Tt 2,12-14; 3,4-8; 2Tm 1,9-11; e le cf. le dossologie di 1Tm 1,17; 6,15-16; 2Tm 4,18b), e la cultura ellenistica (cf. le liste di qualità da richiedere ai candidati per i ministeri, derivati dalla amministrazione greco-romana). Anche la formula «πιστος ο λογος /Questa parola è certa», che per cinque volte (1Tm 1,15; 3,1; 4,9; Tt 3,8; 2Tm 2,11) introduce o conclude citazioni da testi proto-cristiani, è di origine ellenistica (C. Spicq, p. 42).

3. Discussione dell’origine paolina delle Pastorali

a. Le ipotesi dell’autenticità parziale o indiretta

Si hanno citazioni inequivocabili di queste lettere solo alla fine del sec. ii: in Ireneo di Lione (180 d.C.), nel Canone Muratoriano (180 d.C.), in Clemente alessandrino († 215 circa), in Tertulliano († dopo il 220) ecc. Tale antica tradizione era convinta dell’origine paolina delle tre lettere. A partire da J.E.C. Schmidt (1804), F. Schleiermacher (1807), ecc., ci si è andati invece sempre più convincendo delle grandi difficoltà che si oppongono all’origine paolina.
I difensori dell’autenticità hanno allora parlato di autenticità parziale, sostenendo che frammenti di reali lettere paoline sono stati ampliati da un discepolo (P.N. Harrison, ecc.). Oppure si è parlato di autenticità indiretta: un segretario di Paolo, da lui incaricato, scriverebbe con il proprio stile, e non con quello di Paolo. L’ipotesi però spiega solo la differenza di stile, non le molte altre, e richiede un segretario fisso accanto a Paolo per circa due anni. Le tre lettere presuppongono infatti due inverni: «… cerca di venire subito da me a Nicopoli, perché ho deciso di passare là il prossimo inverno» (Tt 3,12); e «Affrettati a venire (a Roma), prima dell’inverno» (2Tm 4,21).

b. Le difficoltà contro l’origine paolina delle Pastorali

Le difficoltà vengono dalla lingua, dallo stile, dal vocabolario, dai dati biografici in quanto a volte sono contraddittori e altre volte sono difficili da concordare con quelli degli altri documenti del NT, e infine soprattutto dalla struttura ministeriale presupposta dalle tre lettere, dalla loro teologia, e dalle “eresie” in esse combattute.

(1) Informazioni impossibili in vere lettere perché incompatibili
A titolo di esempio: (a) Paolo trasmette regole per i tempi lunghi, ma poi, contraddicendosi, convoca a sé i due collaboratori, o promette di raggiungerli presto; (b) Timoteo e Tito, come fedeli collaboratori, dovrebbero ben sapere già tutto quello che viene loro detto sui ministeri; (c) Paolo dice che nessuno è con lui se non Luca, poi manda i saluti di più di quattro persone di cui fornisce anche il nome, aggiungendo «… e da parte di tutti i fratelli» (2Tm 4,21); (d) Dopo più di un anno, e cioè incredibilmente molto tardi, da Roma Paolo, che tra l’altro sente imminente la propria morte, manda a prendere il mantello e le pergamene a Troade, distante più di una decina di settimane di viaggio da Roma; (e) A Efeso e a Creta, nonostante le distanze, ci sono gli stessi problemi e le stesse “eresie” da combattere, ecc.

(2) Gli itinerari non sono concordabili con quelli del resto del NT
Partendo da Efeso per la Macedonia, Paolo non ha mai lasciato Timoteo a Efeso, e nel viaggio della prigionia la nave costeggiò bensì Creta, ma fece poi naufragio senza mai approdare nell’isola. Bisogna allora supporre che Paolo, giunto a Roma in catene, sia poi stato liberato, che abbia fatto un viaggio a Creta, Asia, Macedonia, Dalmazia ecc., scrivendo 1Tm e Tito in tali circostanze; e che poi sia stato di nuovo arrestato, che abbia subìto una seconda prigionia romana (durante la quale avrebbe scritto 2Tm), conclusasi poi con il martirio dell’apostolo. – Questa è la ricostruzione dei fatti secondo l’interpretazione tradizionale. Ma è difficile pensare che dopo la prigionia romana Paolo abbia potuto fare un viaggio in oriente. Un viaggio in occidente in Spagna (cf. Rm 15,24.28) – anche se tutt’altro che certo – è già più probabile. Infatti, da una parte la 1Clem (scritta da Roma nel 95 d.C., pochi decenni dopo!) e il Canone Muratoriano (180 d.C.) sembrano affermare che Paolo è stato nell’estremo occidente e, dall’altra, sembra si debba escludere invece che Paolo sia tornato a Efeso perché negli Atti Luca fa dire a Paolo nel suo discorso di addio ai capi della chiesa di Efeso: «Non vedrete più il mio volto» (At 20,35.38).

(3) La lingua, il vocabolario, lo stile
Le Pastorali sono scritte in un greco ellenistico elevato, che assimila il linguaggio del culto imperiale usato a corte (επιφανεια, φιλανθρωπια – Σωτηρ, μονος, μακαριος, μεγας come titoli) e nelle epigrafi ufficiali del tempo. Lo stile è lento, monotono, fiacco, disadorno, ripetitivo, ben diverso da quello vivace e nervoso di Paolo. Molti termini caratteristici di Paolo mancano (‘carne’, ‘corpo’, ‘liberare’, ‘vantarsi’, ‘giustizia di Dio’ ecc.). Molti termini cambiano significato: “πιστις / fede”, non è più atto di abbandono a Dio in Cristo, ma è la virtù dell’ortodossia; “δικαιοσυνη / giustizia”, non è più lo stato di giusto rapporto con Dio, frutto della giustificazione, ma è una virtù (cf. Tt 3,5); “νομος /legge”, è spesso la norma morale, non la legge mosaica. Tutti questi cambiamenti non hanno una spiegazione sufficiente nell’età avanzata di Paolo (solo 5 o 6 anni dopo le grandi lettere!), o nella sofferenza di un carcere duro, o per l’influsso del latino parlato a Roma, come qualcuno ha affermato.

(4) La struttura ministeriale delle chiese
Mentre a Corinto Paolo doveva intervenire a regolare la ricchezza prorompente dei carismi, nelle Pastorali si menziona un unico carisma, quello della profezia (1Tm 1,18; 4,1.14), a parte il “carisma /grazia” che viene dall’imposizione delle mani. Al tempo in cui si scrivono le Pastorali, i carismi sono dunque in estinzione, mentre esse contengono un vero e proprio ordinamento circa ‘presbiteri’, ‘episcopi’, ‘diaconi’, ‘vedove’, sia come singoli sia come “collegi”. I compiti sono abbastanza precisi ma diversi da quelli documentati dal resto dell’epistolario del NT: difendere la sana dottrina e il «depositum fidei», e cioè la tradizione apostolica ortodossa, costituire presbiteri sulle comunità, promuovere la disciplina. Ancora non è emersa la figura dell’episcopato monarchico quale sarà in Ignazio di Antiochia, ma ci sono gli inizi della giurisdizione ecclesiastica. – Ancora: mentre nelle lettere paoline all’autorità apostolica di Paolo si accompagnava la corresponsabilità di ognuno nella chiesa locale, nelle Pastorali Paolo non dà un solo comando alle comunità di Efeso e di Creta, né i membri di quelle comunità sono responsabilizzati, bensì i soli Timoteo e Tito, e i ministri da loro selezionati e insediati. Tanto è vero che A. WIKENHAUSER – J. SCHMID, Introduzione al NT, 578, possono scrivere: «I ministeri ecclesiastici sono il vero tema delle Pastorali».
Anche i ministeri sono di natura pneumatica (cf. 1Tm 4,14; 2Tm 1,6), e non vanno dunque contrapposti ai carismi, ma è evidente che l’ecclesiologia delle Pastorali è diversa da quella presupposta dal resto dell’epistolario paolino: ora c’è il rito dell’imposizione delle mani (1Tm 4,14; 5,22; 2Tm 1,6), c’è una catena gerarchica, e c’è una successione ministeriale a tre gradini: (i) da Paolo a Timoteo, e Tito (che sono a capo di zone metropolitane, allo stesso modo di governatori di province ellenistiche); e poi (ii) da Timoteo e Tito ai ‘presbiteri’, agli ‘episcopi’, ai ‘diaconi’, alle ‘vedove’; e, infine, (iii) da questi alla comunità coi suoi diversi stati di vita. Cf. soprattutto 2Tm 2,2: «Affida queste cose a persone fidate che siano capaci di trasmettere questi insegnamenti ad altri». – L’ecclesiologia propria delle Pastorali è oramai formulata “in termini di struttura”, cf. BROWN R.E., «L’eredità paolina nelle lettere pastorali: l’importanza della struttura ecclesiale», in Le chiese degli Apostoli, Casale Monferrato 1992, 36. – Tutto questo non si spiega con l’età avanzata di Paolo, né con la necessità che egli avrebbe avvertito di dare strutture permanenti, in vista della sua scomparsa.

(5) Gli errori dottrinali combattuti nelle Pastorali
I maestri combattuti nelle Pastorali mettono insieme elementi giudaici (Legge, genealogie, tabù alimentari, forse la circoncisione) e – forse – ellenistici (tabù alimentari, disprezzo per il corpo e per il matrimonio, e quindi negazione della resurrezione corporale, e affermazione di quella già attuale dello spirito). I motivi e il metodo della lotta anti-eretica non è più quello di Paolo: quello cioè di accumulare creativamente argomenti su argomenti: Qui c’è una condanna in blocco, fatta con il richiamo alla dottrina codificata dalla tradizione e con frasi fatte: “dottrine diaboliche” (1Tm 4,1); “fatue verbosità” (1Tm 1,6); “favole profane”, “roba da vecchierelle” (1Tm 4,7) ecc. Gli eterodossi sono collocati a volte nel presente, a volte nel futuro degli “ultimi tempi”: ma in realtà sono tutti contemporanei. Coloro che sono presi di mira in 2Tm 3,1, per esempio, prima sono ambientati nel futuro: «Negli ultimi giorni verranno momenti difficili. Gli uomini infatti saranno egoisti ecc.» (vv. 1-2), e poi, invece, di essi si parla al presente: «Tra questi ci sono (εισιν, al presente) quelli che …» (v. 6), e nel presente è ambientata la ferma azione che Timoteo ad essi deve contrapporre: «Guàrdati bene da costoro» (v. 5); «Tu però fai opera di evangelista» (4,5) ecc., cf. P.H. TOWNER, «The Present Age in the Eschatology of the Pastoral Epistles», in New Testament Studies 32 (1986), 431-433.

c. Probabile origine pseudepigrafica delle Pastorali

Il peso di questi argomenti e soprattutto il loro cumulo e la loro convergenza rendono improbabile l’autenticità paolina delle Pastorali. Il nome di Paolo figura bensì nei tre prescritti, ma le sue lettere contengono una teologia ben più vigorosa e creativa, sono scritte in ben altro linguaggio, presuppongono una situazione ecclesiale diversa, hanno avversari diversi, e li combattono in modo diverso. «Se le Pastorali sono di Paolo, allora rappresentano una conclusione pietosa (“a dismal conclusion”) agli scritti di Paolo. Se invece sono post-paoline, allora costituiscono una mirabile e indispensabile illustrazione della situazione della chiesa alla fine del primo secolo»; così scrive A.T. HANSON, Studies in the Pastoral Epistles, London, 1968, 120. – Con ogni probabilità, le tre lettere sono dunque pseudepigrafiche (cf. il titolo «Paul après Paul» di Y. Redalié (Genève 1994). –
Se in passato si avvertiva la pseudepigrafia (= attribuzione a un autore di ciò che lui non ha scritto) come opera di falsificazione, condannabile moralmente come plagio e inganno, ora invece è divenuto evidente che nell’antichità essa era intesa positivamente. La pseudepigrafia è un fenomeno molto diffuso sia nella letteratura greco-latina, sia in quella biblica. A Mosè, per esempio, è attribuito il Pentateuco con addirittura la narrazione della morte dello stesso Mosè; a Davide sono attribuiti Salmi che sono certamente del tempo dell’esilio o del dopo-esilio; e a Salomone sono attribuite opere sapienziali che sono state scritte in epoca ellenistica. – Nell’ambito di una scuola antica era normale, era anzi motivo di elogio, che un discepolo attribuisse la sua opera al suo maestro, per prolungare il suo spirito, per attualizzare il suo insegnamento, e per tramandare la sua eredità. Cf. R. PENNA, «Anonimia e pseudepigrafia nel NT. Comparatismo e regioni di una prassi letteraria», in Rivista Biblica 33 (1985) 319-344; K. SCHELKLE, Paolo. Vita, lettere, teologia, Brescia 1990 (Darmstadt 21988), 34-39.
In particolare, per le Pastorali «oggi si fa come un parallelo tra il redattore delle Pastorali e uno dei personaggi della parabola della costruzione della chiesa sviluppata da Paolo: “Secondo la grazia di Dio chi è stata data, da buon architetto, io ho posto il fondamento. Un altro ha sopraedificato. Ma ciascuno si preoccupi di non porre altro fondamento che non sia Gesù Cristo”», cf. A. LEMAIRE, «Épîtres Pastorales: Rédaction et Théologie», in Bulletin de Théologie Biblique 2 (1972), 41. – L’imitazione di Paolo fu richiesta o stimolata da una situazione nuova, caratterizzata dal vuoto lasciato dalla scomparsa dello stesso Paolo, dal tramonto dell’epoca creativa dei carismi, e dal bisogno di un ordinamento ecclesiale duraturo (cf. l’introduzione al commentario di R.J. KARRIS, The Pastoral Epistles, Dublin 1979).

d. Le ipotesi di Luca, Sila, Tichico, Policarpo

A partire da H.A. Schott (1830) le Pastorali sono state attribuite a Luca, e l’ipotesi è stata ripresa e documentata da molti commentatori (R. Scott, C.F.D. Moule, A. Strobel, J.D. Quinn, A. Feuillet, G.S. Wilson). E tuttavia il confronto delle Pastorali con il terzo Vangelo e con il libro degli Atti mette in luce diversità non conciliabili sia di linguaggio che di contenuto. A modo di esempio: (i) Luca non attribuisce a Paolo il titolo di “apostolo”, che invece gli si trova attribuito 5 volte nelle Pastorali (1Tm 1,1; 2,7; 2Tm 1,1.11; Tt 1,1) nelle quali anzi Paolo è l’unico Apostolo; (ii) Il ruolo ecclesiale riconosciuto da Luca alla donna è ben diverso da quello che s’incontra nelle Pastorali; (iii) Luca non è solito mettere, uno dietro l’altro, 15 o 20 tipi di peccatori come si ha in 1Tm 1,9-10 e rispettivamente in 2Tm 3,2-5; e non è solito elencare 17 qualità di chi dev’essere costituito in qualche ministero, come si ha in 1Tm 3,2-7, o in Tt 1,6-9; e (iv) a differenza dell’Autore delle Pastorali, Luca non mostra di conoscere le lettere di Paolo. Non basta: (v) il centro geografico-teologico per Luca è Gerusalemme, mentre questo Autore non menziona mai Gerusalemme, e invece allude 5 volte a Efeso (1Tm 1,3; 2Tm 1,18; 4,12; e cf. 1Tm 3,14; 4,13) e a molte altre località dell’area egea evangelizzata da Paolo, oltre che della costa adriatica.
I nomi proposti in alternativa a quello di Luca sono quelli di Sila, di Tichico, o addirittura quello di Policarpo (morto martire il 23 febbraio 167 d.C.), ecc. Di Sila e Tichico non abbiamo alcuna opera e ogni ipotesi che li chiami in causa è puro esercizio di fantasia, perché lo stile e la teologia delle Pastorali non possono essere confrontati con quelli di nessuno scritto. La candidatura di Policarpo di Smirne, avanzata a più riprese da H. von Campenhausen, incontra le stesse difficoltà che quella di Luca, perché anche la lettera di Policarpo ai Filippesi parla un linguaggio diverso da quello delle Pastorali.

4. L’ipotesi di Timoteo come autore delle Pastorali

a. I personalia circa Tito e circa Timoteo come prova

L’Autore delle Pastorali è scarsamente interessato alla biografia di Tito. Tutto quello che dice di lui è che Paolo lo ha lasciato a Creta per stabilire presbiteri in ogni città (Tt 1,5) e che, all’arrivo a Creta di Artema o di Tichico, dovrà raggiungere l’Apostolo a Nicopoli prima dell’inverno (3,12). In secondo luogo, l’Autore non presenta il rapporto tra Paolo e Tito come particolarmente caloroso: per esempio, Paolo non rievoca nulla del proprio passato né di quello di Tito, e non dice nulla delle difficoltà e sofferenze che vengono all’uno o all’altro dalla vita apostolica. Particolarmente avulso da ogni situazione è poi il prescritto di Tt, nonostante il “genuino figlio” detto di Tito, anche perché Tito è chiamato “figlio” non in base a un qualche motivo personale, ma – dice il testo ponendo stranamente la “figliolanza” sul piano della parità – «secondo la comune fede /κατα κοινην πιστιν» (1,4).
L’Autore delle Pastorali è invece molto interessato a Timoteo: da 1Tm e 2Tm si possono ricavare un ritratto di lui sia psicologico che apostolico abbastanza particolareggiato, e una biografia quasi completa. Le notizie personali o personalia di 1-2Tm riguardano Timoteo da almeno sette prospettive:

  1. La famiglia e l’infanzia. Secondo l’Autore delle Pastorali, Paolo conosce il nome della nonna di Timoteo (Loide) e della madre (Eunice), e parla della fede che le due donne gli hanno trasmesso (2Tm 1,5), così che può ricordare a Timoteo come egli conosca le sante Scritture fin dall’infanzia (απο βρεφους, 2Tm 3,14-15).
  2. L’iniziazione alla fede. Ripetutamente l’Autore fa di Timoteo un uditore di Paolo: «Prendi come modello le sane parole che hai udite da me» (2Tm 1,13); «Le cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile ecc.» (2Tm 2,2); «Tu mi hai seguito da vicino nel mio insegnamento…» (2Tm 3,10). In quest’ultimo testo, nel quale il verbo è un verbo della sequela (“mi hai seguito /συ δε παρηκολουθησας...”), è detto che, oltre all’insegnamento (δισακαλια) di Paolo, Timoteo ha esperimentato da vicino e imparato a conoscere il modo di vivere di Paolo (... τη αγωγη), la programmazione apostolica (…τη προθεσει), e poi la sua fede, pazienza, agape, capacità di resistenza, le persecuzioni e i patimenti (3,10-11), – che sono esplicitamente identificati con quelli cui Paolo andò incontro nel primo viaggio missionario (cf. At 13,50-14, 20).
  3. La vocazione apostolica mediante profezia. Due volte l’Autore rievoca le profezie pronunciate a proposito di Timoteo: «…secondo le profezie [pronunciate] a tuo proposito in passato» (1Tm 1,18); «Non trascurare il dono che ti fu dato… a partire dalle indicazioni profetiche ecc.» (1Tm 4,14). Probabilmente a Listra uno o più profeti avevano alzato la voce in piena assemblea di preghiera designando Timoteo alla missione, così come era avvenuto ad Antiochia di Siria per Barnaba e Paolo (At 13,2). Tra l’altro, come ad Antiochia, così anche a Listra c’era stato il rito dell’imposizione delle mani (καταστασις): su Timoteo avevano imposto le mani lo stesso Paolo («Ti esorto a ravvivare il dono di Dio che è in te attraverso l’imposizione delle mie mani», 2Tm 1,6), e il presbiterio («Non trascurare il dono che ti fu dato con l’imposizione delle mani del presbiterio, ecc.», 1Tm 4,14).
  4. Le difficoltà personali nell’esercizio del ministero. L’Autore conosce e parla anche delle difficoltà incontrate da Timoteo nel lavoro apostolico, dando di lui informazioni sorprendenti. Paolo parla per esempio delle lacrime di Timoteo (2Tm 1,4), dei suoi problemi di salute (1Tm 5,23), ma soprattutto conosce vere e proprie crisi morali del suo collaboratore, il quale sembra sballottato da passioni giovanili (2Tm 2,22), incline all’iracondia (1Tm 5,1; 2Tm 2,22-25), e bisognoso di progresso spirituale o apostolico (1Tm 4,15). Timoteo, infine, nello svolgimento del suo ministero sarebbe oggetto di poca stima e rispetto da parte di qualcuno, a motivo della sua giovane età (1Tm 4,12).
  5. Il rapporto affettuoso con Paolo. L’Autore sa che Paolo giorno e notte prega per il suo collaboratore e di lui ricorda le lacrime, e che desidera ardentemente di rivederlo, e sa che il poterlo rivedere lo riempirebbe di gioia (2Tm 1,3-4). Nei prescritti delle lettere, poi, Timoteo è affettuosamente definito “genuino figlio nella fede” (1Tm 1,2) e “amato figlio” (2Tm 1,2): è definito cioè “figlio” di Paolo in termini che, come nel caso di Onesimo (Flm 10), alludono al ruolo avuto da Paolo nella conversione di Timoteo, e nel suo battesimo. Affettuosi vocativi, quali: «O figlio Timoteo /τεκνον Τιμοθεε» (1Tm 1,18), «O uomo di Dio / ω ανθρωπε θεου» (1Tm 6,11), «O Timoteo / ω Τιμοθεε» (1Tm 6,20), «O figlio mio /τεκνον μου» (2Tm 2,1), ripropongono il rapporto tra Paolo e Timoteo in termini di “figliolanza spirituale” e di tenerezza. Simili vocativi sono impensabili nella lettera a Tito.
  6. La rievocazione di vicende personali e apostoliche di Paolo. Mentre nella lettera a Tito non si ricorda nulla del passato o del presente di Paolo, né delle sue delusioni apostoliche, nelle due lettere a Timoteo invece Paolo rievoca l’evento di Damasco (1Tm 1,12-16), i giorni difficili di Antiochia, Iconio e Listra (2Tm 3,10-11), e poi l’abbandono di Figelo ed Ermogene (2Tm 1,15), la fedeltà e la premura, invece, di Onesiforo e della sua famiglia (2Tm 1,16-18), e poi la perversione dell’annuncio evangelico che viene fatta da Imeneo e Fileto (2Tm 2,16-17), la consegna a Satana di Imeneo e Alessandro (1Tm 1,20); e ancora: l’ostilità di Alessandro (2Tm 4,14-15), l’abbandono da parte di Dema (2Tm 4,10), l’assidua vicinanza di Luca (2Tm 4,11), e l’abbandono di tutti in occasione della prima udienza in tribunale (2Tm 4,16), ecc. Nelle due lettere a Timoteo c’è dunque un rigurgito di sentimenti e di affetti, di memorie e di ricordi, che è sconosciuto a quella a Tito.
  7. Gli ordini e le consegne di Paolo. Molto più numerosi e molto meno scontati e burocratici di quelli rivolti a Tito sono gli imperativi rivolti a Timoteo dall’Apostolo. Basti ricordare alcuni degli imperativi che vogliono prevenire (e così in qualche modo mettono in luce) le debolezze di Timoteo come ministro del Vangelo: «Vigila su te stesso» (1Tm 4,16); «Non essere aspro nel riprendere un anziano ecc.» (1Tm 5,1); «Ti scongiuro di non far nulla per favoritismo» (1Tm 5,21); «Conservati puro» (1Tm 5,22); «Ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento» (1Tm 6,14); «Non ti vergognare della testimonianza da rendere al Signore nostro, né di me che sono in carcere per lui» (2Tm 1,8); «Evita le chiacchiere profane» (2Tm 2,16); «Evita le discussioni sciocche» (2Tm 2,23).

I personalia delle Pastorali, dunque, sono abbastanza numerosi per Paolo, numerosissimi per Timoteo, e praticamente inesistenti per Tito. Una tale, diversa distribuzione dei personalia nelle tre lettere Pastorali depone contro l’opinione secondo cui essi sono costruiti a tavolino per accreditare le tre lettere Pastorali: così pensa N. BROX, «Zu den persönlichen Notizen der Pastoralbriefe», in Biblische Zeitschrift 13 (1969), 76-94. In altre parole, per poter negare l’autenticità dei personalia delle Pastorali bisognerebbe spiegare perché lo scrittore pseudepigrafico avrebbe disseminato di essi le due lettere a Timoteo, e perché sarebbe stato tanto sobrio, invece, al momento di confezionare la lettera a Tito. – Il fatto è che centro psicologico e nucleo genetico delle Pastorali e dei loro personalia è Timoteo: l’Autore delle Pastorali mostra di conoscere a fondo la sua persona e la sua storia; conosce da vicino i rapporti di collaborazione, improntati a particolare intimità e affetto, tra lui e Paolo e, delicatamente ma anche sinceramente e impietosamente, denuncia le sue debolezze personali e apostoliche.
Per tutto questo, è difficile sottrarsi all’impressione e alla conclusione che un particolarissimo rapporto leghi l’Autore e Timoteo. Se l’Autore delle Pastorali è in grado di riferire tanti particolari della vicenda personale di Timoteo così da fare di lui una delle figure più conosciute del NT dal punto di vista biografico, e se lo conosce anche dall’interno e in risvolti della sua personalità in qualche misura umilianti, ci sono tutte le premesse per affermare che l’Autore delle Pastorali è grande conoscitore di Timoteo perché è Timoteo.
I testi in cui si parla della giovane età di Timoteo e delle sue passioni giovanili costituiscono un’ulteriore, stringente argomento a prova dell’ipotesi.

b. I testi della giovane età (1Tm 4,12; 2Tm 2,22) come prova

Le due esortazioni che fanno riferimento all’età giovanile di Timoteo (1Tm 4,12; 2Tm 2,22), sono tra i pochi testi databili delle Pastorali: in essi l’Autore delle Pastorali chiede di vedere in Timoteo un collaboratore di Paolo tanto giovane che qualcuno gli manca di rispetto a motivo della sua giovane età («Nessuno ti disprezzi per la tua giovane età»), e tanto adolescente e instabile da essere ancora esposto a passioni giovanili («Fuggi le passioni giovanili»). A dire il vero, nelle Pastorali è databile con ancora maggiore precisione il “testamento spirituale” di Paolo in 2Tm 4,6-8 che – non importa se realmente o solo pseudepigraficamente – colloca 2Tm nell’imminenza del martirio dell’Apostolo. – Ma allora, però, le due situazioni personali, di Timoteo giovane e di Paolo vicino alla morte, non possono essere contemporanee: al momento in cui Paolo scriverebbe la sua ultima lettera, e cioè nel 66-67 d.C., sarebbero trascorsi circa 20 anni da quando Timoteo, nel corso del primo viaggio missionario di Paolo, lo aveva conosciuto; e due decenni passati all’esigente scuola di Paolo lo avevano certamente maturato e reso capace sia di dominare le passioni giovanili, sia di farsi rispettare.
J.P. ALEXANDER, «The Character of Timothy», in Expository Times, 1914, 426, fa osservare che a Listra Paolo non esitò a prendere con sé Timoteo come collaboratore dopo essere stato invece inflessibile nel rifiutare Marco (At 15,38), e fa osservare che, da parte sua, Timoteo accettò di accompagnare l’Apostolo pur essendo stato testimone (o, almeno, dopo aver sentito il racconto) della lapidazione di Paolo che nella stessa Listra lo aveva ridotto in fin di vita (At 14,19). Le due scelte, di Paolo e di Timoteo, non fanno in alcun modo pensare a un Timoteo timido, pavido e imbelle. – Molto presto, poi, Paolo affidò a Timoteo incarichi da svolgere da solo: noi siamo a conoscenza delle missioni tessalonicese (1Ts 3,2.6), corinzia (1Cor 4,17; 16,10) e filippese (Fil 2,19). In ogni caso, poi, anche se registrando insuccessi e forse soffrendo complessi d’inferiorità, Timoteo si è sempre dimostrato tutt’altro che un eterno adolescente, dal momento che non si è mai fatto spaventare dallo stile e dal ritmo di vita dell’Apostolo, e ne ha condiviso fino in fondo l’avventura missionaria con fedeltà e tenacia.
La conclusione difficilmente evitabile è che le esortazioni di 1Tm 4,12 sul farsi rispettare nonostante la giovani età, e di 2Tm 2,22 sul controllare le passioni giovanili, non possono essere state scritte da Paolo a pochi mesi dalla sua morte.

c. Le implicazioni: Timoteo trasmette i ricordi e la viva voce di Paolo

Nel quadro dell’ipotesi di Timoteo-Autore, si può proporre la seguente ricostruzione dei fatti. Le esortazioni “della giovane età” sono state realmente rivolte da Paolo a Timoteo. Quella di 2Tm 2,22 («Fuggi le passioni giovanili») può risalire addirittura ai giorni della prima adesione di Timoteo alla fede. Quella invece di 1Tm 4,12 («Nessuno ti disprezzi per la tua giovane età») deve essere più tardiva, perché può ambientarsi solo nel tempo in cui Timoteo già affiancava Paolo nell’attività apostolica, e già portava avanti qualche incarico per volontà dell’Apostolo. Sottratto d’improvviso al suo ambiente di provincia e ancora alle prime armi, inizialmente Timoteo deve aver avuto più d’una difficoltà a imporsi sulle chiese delle città metropolitane dove Paolo aveva fondato le sue comunità. – Se questo è il quadro entro cui Paolo può aver pronunciato i due imperativi, quello in cui Timoteo li mise per iscritto è da cercare nelle chiese paoline del “dopo-Paolo” che certamente non fu facile. Timoteo scriverebbe qualche decennio dopo la morte di Paolo, forse negli anni 80 o 90. Sarebbe un Timoteo avanti nell’età che, prima di morire, vuole salvare dall’oblio i ricordi dei circa 20 anni trascorsi alla scuola dell’Apostolo.
Se l’ipotesi di Timoteo-Autore è giusta, allora le due esortazioni “della giovane età” e molte altre contenute nelle Pastorali, ci fanno probabilmente riudire la viva voce di Paolo, così come fanno le lettere autentiche. Anzi, ci mettono a contatto con il Paolo che parla e non, come fanno le altre lettere, con il Paolo più riflesso e artificiale che scrive dopo avere riflettuto e studiato la strategia retorica da seguire.
D’altra parte, però, l’Autore delle Pastorali, preoccupato di consegnare i ricordi paolini, non è però preoccupato di disporli nel giusto ordine. Nelle Pastorali tutto è messo alla rinfusa, in una successione che non è né logica, né cronologica, con connessioni stabilite tra un testo e l’altro attraverso dei “dunque /ουν” poco pertinenti (cf. il “dunque” di 1Tm 2,1, di 1Tm 1,20 ecc.), con accostamenti impensabili, con difetti di logica e di coerenza epistolare. – Le Pastorali sono insomma tre contenitori di ricordi disarticolati, e a ragione C. Spicq le definisce “un pasticcio /un pastiche”. Sono come un album fotografico in cui le diverse foto fissano momenti di vita reali, ma ordinati – per esempio – in base alle persone che ritraggono, più che in base alla successione cronologica, così che il valore dell’album non è quello cronistorico, bensì soprattutto quello affettivo e ideale.

d. Le implicazioni: Timoteo, il “numero due” del movimento paolino

Come ben si vede, l’importanza di Timoteo per il cristianesimo delle origini è enorme, e la sua figura non è affatto di secondo piano, come di solito si dà per scontato che sia. – Il Nuovo Testamento fa il nome di un centinaio di persone che sono state in relazione con Paolo. Di esse una cinquantina sono state certamente collaboratori e collaboratrici dell’Apostolo nella sua attività missionaria, anche se a vario titolo: i termini usati sono “fratello”, “apostolo”, “ministro”, “con-servo”, “patrona (e cioè sponsor)”, “collaboratore”, “commilitone” ecc. Ebbene, tra tutti il più vicino all’Apostolo è stato certamente Timoteo. Non per nulla è a lui che, secondo le lettere Pastorali, Paolo affida il suo testamento (2Tm 4,6-8), ed è a lui che trasmette il deposito della fede (1Tm 6,20; 2Tm 1,14), in qualità di collaboratore più fidato e di erede spirituale.
Vicinissimo come nessun altro all’Apostolo mentre era vivo, e suo successore nella guida di tutto l’immenso cantiere apostolico da lui aperto, Timoteo dev’essere considerato il “numero due” del movimento paolino e uno degli uomini più importanti nel difficile trapasso dall’epoca apostolica a quella sub-apostolica.

e. Conseguenze per la discussione sulle Pastorali

Se tutto questo è vero, se cioè nelle Pastorali le singole ambientazioni geografiche sono messe alla rinfusa, allora ognuna di esse, potrebbe liberamente essere inquadrata in questo o quello dei 4 “viaggi” paolini narrati dagli Atti degli Apostoli. Di conseguenza diventerebbe pressoché inutile tutta la discussione sull’unica o duplice prigionia romana di Paolo e sui suoi possibili viaggi in Spagna e in Oriente. Dopotutto, come molti commentatori fanno osservare, le Pastorali conoscono una sola prigionia di Paolo (2Tm 1,8.16; 2,9; 4,16), e si è supposto che essa sia diversa da quella di cui parla At 28,16ss solo perché, prendendo sul serio gli (inattendibili) itinerari delle Pastorali, sembra inevitabile ipotizzare un ultimo viaggio di Paolo in Oriente. E allora è a ragione che W. MARXSEN, Einleitung in das NT, Gütersloh 31964 (11963), 183, parla di circolo vizioso. – Insomma, l’ipotesi di Timoteo quale autore delle Pastorali stempera, se proprio non dissolve, l’alternativa che dagli inizi del sec. xix ha dominato la ricerca sulle Pastorali, per cui esse sono inevitabilmente o opera autentica o opera pseudepigrafica.
Nell’ipotesi proposta, Timoteo talvolta riferirebbe spezzoni di ciò che Paolo gli aveva detto o scritto nel corso di un ventennio, e altre volte invece attualizzerebbe l’eredità paolina per le chiese di fine secolo, nella veste di autorevole interprete dell’insegnamento di Paolo e di redattore. I vantaggi più sensibili sarebbero quello di potere affermare l’origine paolina di molti testi e, contemporaneamente, quello di sottrarsi al “presupposto della contemporaneità” (C. MARCHESELLI-CASALE, Le lettere Pastorali, Bologna 1995, 33) tra Paolo e l’Autore, di cui non ci si libera per esempio neanche con l’ipotesi del segretario.
Di fatto, certe sentenze delle Pastorali, se estrapolate dal contesto attuale, darebbero facilmente l’impressione del ritrovamento di brani autentici usciti dalla penna di Paolo, per la loro lapidarietà e per la potenza del pensiero. Basti qualche esempio: «Fine dell’esortazione è l’agàpe che [viene] da cuore puro, da buona coscienza, e da fede sincera» (1Tm 1,5); «Sappiamo che la Legge è buona» (1Tm 1,8); «… ma la parola di Dio non si incatena» (2Tm 2,9); «Se infatti con-moriamo, anche con-vivremo» (2Tm 2,11) «… amanti dell’edonismo, più che amanti di Dio» (2Tm 3,4), «… sempre [nella smania] di imparare, e mai capaci di giungere alla conoscenza della verità» (2Tm 3,7); «Coloro che sono decisi a vivere in Cristo, incontreranno persecuzione» (2Tm 3,12), «Ogni Scrittura ispirata è utile all’insegnamento, alla correzione ecc.» (2Tm 3,16), «Sto per esser versato in libagione ed è giunto per me il tempo di sciogliere le vele ecc.» (2Tm 4,6ss), «Tutto è puro per i puri; per i contaminati invece e per gli infedeli nulla è puro, e va contaminandosi sia la loro mente, che la loro coscienza» (Tt 1,15), «Dicono di conoscere Dio, ma con le opere lo rinnegano» (1Tt 1,16).

f. La situazione di Timoteo e delle chiese paoline nel dopo-Paolo

Scrivendo, Timoteo comunque non si limiterebbe a fare opera di anamnesi e di trascrizione ma, in tempi mutati e di fronte a nuovi problemi, egli vuole equipaggiare le chiese paoline con il deposito che l’Apostolo ha ricevuto (2Tm 1,12) e ha trasmesso a lui, Timoteo, come suo collaboratore più fidato (1Tm 6,20; 2Tm 1,14). – La lettura delle tre lettere consente di ricostruire la situazione, non poco drammatica, in cui i ricordi paolini sono stati d’aiuto e d’ispirazione all’Autore delle Pastorali, chiunque egli sia, e che per comodità si può chiamare “il Pastore”.

5. Situazione da presupporre per le Pastorali

a. Tre gravi problemi nel “dopo-Paolo”

Le lettere Pastorali rivelano che il loro Autore era nella trepidazione, se non proprio nel panico. Due delle tre lettere esordiscono con preoccupate raccomandazioni a riguardo di un’evidente crisi dottrinale: Timoteo a Efeso deve comandare (ινα παραγγειλης) di farla finita con etero-didascalie (μη ετεροδιδασκαλειν), con i miti (giudaici, Tt 1,14) e le genealogie interminabili, e di dedicarsi invece alla “economia di Dio nella fede” (1Tm 1,3-4), mentre Tito a Creta deve letteralmente mettere a tacere (επιστομιζειν) i parolai (ματαιολογοι) e gli imbroglioni (φρεναπαται) (Tt 1,10-11). La terza lettera esordisce invece – positivamente, ma sempre a riguardo della stessa crisi dottrinale – con l’accorato e perentorio imperativo dato a Timoteo di “custodire il deposito” (2Tm 1,14).
Insieme alla crisi dottrinale, nelle comunità paoline si viveva in secondo luogo una crisi d’autorità. L’Autore è preoccupato di una generalizzata insubordinazione e ribellione (“insubordinati, ανυποτακτοι”, 1Tm 1,9; ανυποτακτοι, Tt 1,10; απειθεις, 2Tm 3,1-2) ed esige che “insubordinati” non siano i presbiteri e i diaconi (ανυποτακτος, Tt 1,6), o le donne giovani (Tt 2,5). Soprattutto poi chiede di pregare per chi è in autorità (1Tm 2,1), e che Tito insegni ai credenti di tutte le categorie di stare soggetti e obbedire alle autorità (Tt 3,1). Gli schiavi poi devono stare sottomessi ai padroni (1Tm 6,2; Tt 2,9), non devono contraddirli né derubarli (Tt 2,9-10). La stessa autorità ecclesiale è contestata: qualcuno manca di rispetto sia a Timoteo (1Tm 4,12) che a Tito (2,15), e i presbiteri di Efeso sono bersaglio di accuse che Timoteo deve vagliare prudentemente, con l’escussione di due o tre testimoni (1Tm 5,19).
Da ultimo, una vera e propria crisi d’identità scuoteva la donna cristiana. Le tre lettere lasciano intendere che le donne erano smaniose di imparare (1Tm 5,13; 2Tm 3,7), di insegnare (1Tm 2,12), di comandare (αυθεντεω, “comandare dispoticamente”, 2,12), e soprattutto volevano essere libere dai legami del matrimonio e della famiglia (1Tm 5,14), dalla cura dei figli (1Tm 5,14; Tt 2,4), e dal legame con il marito (Tt 2,4). Per correre dietro alle ultime novità (1Tm 5,13; 2Tm 3,7), esse girano di casa in casa e perdono il tempo in inutili chiacchiere (1Tm 5,13), oppure si fanno accalappiare nelle loro stesse case da “maestri” senza scrupoli che, andando di casa in casa, hanno nelle casalinghe facile preda (2Tm 3,6-7). Tra l’altro c’era chi proibiva il matrimonio (κωλυοντων γαμειν, 4,3) e, di conseguenza, la cura dei figli e della casa; – per l’Autore si trattava di gente oramai apostata dalla vera fede e vittima di insegnamenti demoniaci, falsi e ingannevoli (1Tm 4,1-2).
L’inquietudine riguardava dunque tutti i campi, e tutto veniva probabilmente dedotto dalla nuova fede e magari dall’insegnamento stesso di Paolo: dopotutto, nella catechesi battesimale egli aveva insegnato e nelle lettere aveva scritto che «non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, maschio o donna» (Gal 3,28). Il messaggio cristiano era un messaggio di liberazione ed era inevitabile che prima o poi mettesse in questione anche quei rapporti sociali inveterati che erano in contrasto con l’uguaglianza e la libertà cristiana. Per il Pastore che scrisse le tre lettere, però, si stava procedendo in modo squilibrato e devastante, così che tutto finiva con l’essere compromesso in modo irreparabile.

b. Il timore per le ripercussioni all’esterno delle chiese

Dalle tre lettere il Pastore appare preoccupato anche per l’immagine negativa che le comunità davano o potevano dare all’esterno. – Egli infatti per esempio circa l’episcopo scrive: «… è necessario che egli goda di buona stima presso quelli che sono fuori della comunità per non cadere in discredito ecc.» (1Tm 3,7); e circa i giovani: «… perché il nostro avversario resti svergognato, non avendo nulla di male da dire contro di noi» (Tt 2,8). Ovviamente anche gli schiavi e le donne potevano contribuire a squalificare la comunità cristiana. Di fatto il Pastore scrive circa gli schiavi: «… perché non vengano bestemmiati il nome di Dio e la dottrina» (1Tm 6,1); «… per fare onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro salvatore» (Tt 2,10); e circa le giovani vedove: «… per non dare a chi è avversario alcun motivo di biasimo» (1Tm 5,14); e, infine, circa le donne giovani: «… perché la parola di Dio non venga screditata» (Tt 2,5).

c. Le prese di posizione del Pastore

È possibile che il Pastore sopravvalutasse e drammatizzasse episodi non così gravi e non così generalizzati come appare dalle lettere, ma è pur vero che non si può attribuire le molte cose che le lettere contengono alla apprensività del loro Autore: troppo concreti e precisi sono infatti i riferimenti che egli fa all’insubordinazione contro le autorità dello stato, della famiglia e della chiesa, e poi i riferimenti alla fuga generalizzata dalla famiglia, alla condanna ideologica del matrimonio (1Tm 4,3), e all’affermazione – gravida di implicazioni – che la resurrezione si è già realizzata (2Tm 2,18).
Il dopo-Paolo aveva dunque esasperato sul piano sociologico il rapporto per esempio tra uomo e donna e tra schiavi e padroni e, contro le tentazioni anarchiche che serpeggiavano nelle comunità, il Pastore esige anzitutto che Tito e Timoteo si impongano con autorevolezza (1Tm 4,12; Tt 2,15), che stabiliscano sulle comunità leaders i quali abbiano saputo educare figli non ribelli (1Tm 3,4; Tt 1,5-6) e che diano prova di saper condurre bene la propria famiglia (1Tm 3,4-5; 3,12; Tt 1,6). Contro ogni disfattismo circa il ruolo dell’autorità, il Pastore precisa poi che aspirare all’episcopè è aspirare a un servizio buono (1Tm 3,1), e che le accuse contro i presbiteri vanno vagliate attentamente (1Tm 5,19). Ma soprattutto le tre lettere invitano alla preghiera per tutti coloro che sono costituiti in autorità (1Tm 2,1), e alla sottomissione e obbedienza ad esse (Tt 3,1). – Un capitolo a parte è quello dedicato agli schiavi: non devono prendere a pretesto il fatto che i loro padroni «oramai sono fratelli /οτι αδελφοι εισιν» per comportarsi con loro come non si deve (1 Tm 6,1-2; cf. Tt 2,9).
Quanto al problema del tutto particolare delle donne, l’Autore sembra fare spazio ad esse nelle strutture dirigenziali elencando per esempio i requisiti che “le donne /αι γυναικες” devono avere (1Tm 3,11), così come fa per episcopo, presbiteri e diaconi. E dà regole precise anche per l’iscrizione delle vedove nell’ordo viduarum (1Tm 5,9-16), ed esige che le vedove giovani, se fanno promessa al Cristo di non risposarsi, siano poi fedeli alla loro parola (vv. 11-12). – Poi fa quadrato attorno ai valori della famiglia: le donne non devono andare oziando di casa in casa, né debbono farsi accalappiare da chi si insinua nelle loro case approfittando del loro desiderio d’imparare. La donna poi si salva solo se si mantiene nel ruolo che la natura le ha dato: nel generare e nell’allevare i figli (1Tm 2,15). In particolare, siano accettate nell’ordine delle vedove solo quelle che hanno ben allevato i loro figli (1Tm 5,10), mentre quelle giovani devono piuttosto pensare a ri-sposarsi, ad avere figli, e ad amministrare bene la casa (1Tm 5,14). – Infine, quanto al loro diritto attivo e passivo nei confronti della parola, le donne debbono imparare nella calma e nell’ordine all’interno delle assemblee comunitarie (1Tm 2,11-12), invece che agitarsi dietro a maestri e ad insegnamenti che seminano lo scompiglio. E non è a partire dalle frottole imparate in giro per le case che possono ergersi a maestre dell’uomo e, tanto meno, a loro dominatrici (v. 12): non dimentichino il precedente biblico di Eva che fu ingannata e ingannò (v. 14). Molto da insegnare hanno invece soprattutto le donne più anziane: con il loro giusto contegno (εν καταστηματι), con il loro santo equilibrio (ιεροπρεπεις), col il loro buon uso della parola (μη διαβολοι): esse hanno un bell’insegnamento da offrire (καλο-διδασκαλοι), e trasmettano dunque alle più giovani i valori della famiglia (Tt 2,3-4).
Il Pastore chiede alle donne insomma che, con il ritorno alla ησυχια (1Tm 2,11.12) e alla υποταγη (v. 11), diano il loro contributo alla pacificazione nelle comunità. Questo il Pastore chiede alle donne solo dopo aver chiesto agli uomini – anch’essi in un atteggiamento nient’affatto approvabile – che si presentino alla preghiera comune e in ogni luogo (εν παντι τοπω) con mani sante, senza lasciarsi andare all’ira e a una estenuante litigiosità.

d. L’utilizzazione dell’immagine di Paolo

R.J. Karris (Dublin 1979), che studia e interpreta le Pastorali come documenti segnati dal disorientamento in seguito alla perdita di Paolo e dalla difficoltà del trapasso all’epoca post-apostolica, mette l’immagine di Paolo come primo degli “strumenti” con cui il Pastore affronta la transizione. Gli altri sono: la creazione di strutture ecclesiali, la trasmissione e difesa del “deposito”, l’insistenza sulla condotta irreprensibile o l’ortoprassi, e la flessibilità sia circa le strutture sia riguardo al deposito. Quanto all’immagine di Paolo che le Pastorali presentano, così importante nell’intervento del Pastore appunto per far fronte alla nuova situazione, si possono individuare tre nuclei d’interesse: (1) l’evento di Damasco, (2) la vita apostolica, (3) il martirio e il testamento spirituale.
Secondo 1Tm 1,11-15 a Damasco Paolo anzitutto è stato posto come “diacono” del Vangelo (non “apostolo” come in 1Cor 9,1 e 15,8-9), da bestemmiatore, persecutore e violento che era (1Tm 1,11b-13). Nelle Pastorali la “conversione” di Paolo non è dunque trapasso da un giudaismo-non-messianico a un giudaismo messianico come era in Gal 1,16, e Fil 3,3-14, ma dalle parole e dall’attività di prima (“bestemmiatore”, “persecutore”, “violento”) che erano ispirate dall’odio per il Vangelo, al servizio ad esso a cui poi Paolo si è consacrato (v. 13). Paolo infine è il peccatore che è stato salvato dai suoi peccati per essere specchio e prototipo della misericordia del Cristo per tutti i peccatori che giungeranno alla fede (vv. 15-16).
In secondo luogo Paolo è presentato come “l’apostolo”, anzi come apostolo “unico”, mentre nelle lettere autentiche egli si colloca sempre all’interno di una pluralità di apostoli (G. BARBAGLIO, Paolo, 290), i quali, per di più, lo erano “prima di lui” (Gal 1,17). È per questo che i commentatori parlano di “esclusivismo paolino” (N. BROX, Le lettere pastorali, Brescia 1970, 114;), o di “riduzionismo paolino” (R.F. COLLINS, «The image of Paul in the Pastorals», in Laval Théologique et Philosophique 1975, 172). – L’attività apostolica di Paolo nelle Pastorali consiste poi non più nel fondare chiese e nel dirigerle mediante lettere, bensì nell’assicurarsi che in futuro qualcuno continui la sua opera: è per questo che nelle Pastorali l’Apostolo destina le sue lettere a Timoteo e Tito e in esse dà loro regole per episcopi, presbiteri, diaconi, e vedove, e chiedendo un serrato impegno nel combattere l’etero-didascalia, in difesa soprattutto della bontà della creazione e del matrimonio. Il futuro di Paolo dunque non è più quello in cui programmava di andare a Gerusalemme, Roma e in Spagna (Rm 1; Rm 15), ma il futuro nel quale Timoteo e Tito si inoltreranno, al suo posto. L’area geografica evocata nelle Pastorali, poi, non è mai quella gerosolimitana o palestinese, perché l’Apostolo si muove invece da Creta (Tt 1,5), e da Efeso (1Tm 1,3), verso la Macedonia, l’Acaia, la Dalmazia, e Roma. L’attività apostolica di Paolo, infine, è amareggiata da sofferenze (2Tm 1,12; 2,9), da apostasie di collaboratori (1Tm 1 19-20; 2Tm 2,17), e dal loro abbandono o tradimento (2Tm 1,15; 2Tm 4,10.16).
Contrariamente ai testi della vita apostolica che sono segnati dall’amarezza, quello del martirio di Paolo (2Tm 4,6-8) è inaspettatamente segnato dalla serenità e dalla sazietà spirituale. Paolo vi appare come sacrificio di libazione, come colui che è pronto a sciogliere le vele, come l’atleta che ha condotto a termine la sua corsa, come l’apostolo che ha conservato la fede e che è in attesa della corona della vittoria. Mentre nelle catene e nel carcere si sentiva “come un malfattore” (2Tm 2,9), di fronte alla morte egli è invece pio e devoto sacrificio, discepolo fedele, e atleta in attesa del premio.
Nel difficile trapasso d’epoca della fine del primo secolo l’immagine di Paolo serve dunque all’Autore delle Pastorali come arma contro l’etero-didascalia, come autorità garante delle strutture ministeriali che si vanno elaborando, e come esempio di convertito e di martire da additare nelle difficoltà e persecuzioni. È un’immagine forse di profilo meno alto di quella che si ricava dalle lettere autentiche, ma per tempi nuovi servono strumenti nuovi.

6. Contenuto e divisione delle Pastorali

1Timoteo - Prescritto di 1Tm

1,1-2

Mittente (Paolo, apostolo),
Destinatario (Timoteo, diletto figlio),
Augurio triplice (grazia, misericordia, pace).

1Timoteo - Esordio: Le circostanze della lettera e 3 ingiunzioni di Paolo

a. Crisi dottrinale - «Devi contrastare gli etero-didascali»

1,3-7: Partendo per la Macedonia Paolo ha lasciato Timoteo a Efeso per far fronte ai nomo-didascali eterodossi.
1,8-11: I “maestri delle Legge” o “nomisti” pretendono di essere «dottori della Legge» – che di per sé è utile –, ma in realtà sono sostenitori di favole, genealogie interminabili, fatue verbosità.
1,12-14: Paolo rende grazie per essere stato ritenuto degno del ministero evangelico pur essendo stato un bestemmiatore, un persecutore, e un violento.
1,15-16: Paolo, il primo dei peccatori e il primo dei graziati – in lui il Cristo ha dimostrato misericordia per tutti i peccatori.
1,17: Dossologia.
1,18-20 Paolo rievoca la vocazione di Timoteo e il naufragio di Imeneo e Alessandro.

b. Crisi d’autorità - «Si preghi per chi è costituito in autorità»

2,1: Invito alla preghiera universale per tutti gli uomini.
2,2: (In particolare) per i sovrani e per tutti coloro che sono costituiti in autorità. Una tale preghiera deve ottenere tranquillità e quiete e permettere una vita fatta di pietà e dignità.
2,4-6: La preghiera universale ha la sua ultima motivazione nella volontà salvifica universale di Dio.
2,7: Di tutto questo Paolo è stato costituito banditore, apostolo e didascalo.

c. Crisi d’identità della donna - «Allo stesso modo le donne …»

2,8: La preghiera degli uomini sia senz’ira e senza litigiosità.
2,9-15: La preghiera della donne sia nella calma e nella soggezione. Non devono pretendere d’insegnare e di spadroneggiare sugli uomini.
Motivazione tratta dall’inganno di Eva in Gen 3. La via della salvezza per la donna passa per la cura dei figli nel matrimonio.

1Timoteo - I. Il ministero dell’episcopo, dei diaconi e delle donne

a. Bontà del ministero dell’episcopo, requisiti per l’incarico

3,1: È bene aspirare al ministero dell’episcopè.
3,2-7: Requisiti per l’episcopo.

b. Ministero dei diaconi e delle donne, e requisiti

3,8-10: Requisiti per i diaconi.
3,11: Requisiti per le donne (Le donne in generale? Le mogli dei diaconi?, Le diaconesse?).
3,12-13: Altri requisiti per i diaconi.

c. La Chiesa, ’Casa’ di Dio, e il Mistero di pietà

3,14-15: Paolo conta di recarsi dove si trova Timoteo molto presto, ma dà istruzioni, nel caso che debba tardare, circa la Chiesa, “casa di Dio, colonna e sostegno della Verità”.
3,16: Frammento di inno liturgico circa il mistero cristologico, “Mistero della pietà”.

1Timoteo - II. Timoteo e gli insegnamenti perversi degli ultimi tempi

a. Insegnamenti circa matrimonio e cibi – bontà di ogni creatura

4,1-2: [I profeti mossi dal]lo Spirito annuncia[no] il diffondersi di insegnamenti che vengono da spiriti d’inganno e da dottrine demoniache.
4,3-5: Mentre tutto ciò che Dio ha creato è buono, qualche eretico spiritualista, in odio al corpo, proibirà il matrimonio e imporrà tabù alimentari.

b. Esortazioni a Timoteo: cosa deve praticare e insegnare

4,6-7: Timoteo deve nutrirsi di sana dottrina ed evitare invece miti profani.
4,8-10: Timoteo deve tenersi in esercizio, come un atleta, nell’ambito della pietà in vista della vita sia presente che futura.
4,11-13: Timoteo deve insegnare, fare rispettare la propria autorità, ed essere punto di riferimento per i credenti in ogni virtù.
4,14-16: Timoteo non deve trascurare il carisma ricevuto al momento dell’imposizione delle mani, ma dev’essere in continuo progresso.

1Timoteo - III. Timoteo, i giovani, gli anziani, e soprattutto le vedove

a. Timoteo e i credenti di diversa età e sesso

5,1-2: Come Timoteo deve comportarsi con anziani e giovani, con donne anziane e giovani.

b. Timoteo e le vedove

5,3-4: Le vedove e il loro mantenimento: quelle che bisogna sostenere e quelle che possono esser sostenute dalla famiglia.
5,5-8: Colei che è vera vedova, e la vedova che, invece, pur vivendo è morta.
5,9-10: Requisiti che deve avere una vedova per poter essere iscritta nell’ordine delle vedove.
5,11-15: Come Timoteo deve comportarsi con le vedove giovani, che rischiano di essere infedeli alle loro promesse.
5,16: Le credenti che mantengono vedove .

1Timoteo - IV. Timoteo, i presbiteri in autorità, e gli schiavi

a. Timoteo, i presbiteri che insegnano e quelli sotto accusa

5,17-18: Il ‘doppio onore’ ai presbiteri didascali.
5,20-24: I presbiteri sotto accusa e quelli trovati colpevoli.

b. Ammonizioni per gli schiavi con padroni credenti e non-credenti

6,1: Schiavi con padroni non-credenti.
6,2b: Schiavi con padroni credenti.

1Timoteo - V. L’eterodidascalia, il retto insegnamento, e l’amore al denaro

a. I frutti perversi dell’etero-didascalia

6,2c: Due imperativi per Timoteo: «Questo raccomanda e insegna».
6,3-5: Dall’etero-didascalia vengono orgoglio, battaglie verbali, e ogni sorta di degenerazione, tra cui la strumentalizzazione della pietà a scopo di lucro.

b. La vera ricchezza e i danni dell’attaccamento al denaro

6,6: Vera ricchezza è la pietà.
6,7-8: Essere soddisfatti del necessario perché nulla abbiamo portato e nulla porteremo via.
6,9-10: L’amore al denaro è radice di ogni male.

c. Timoteo e la buona battaglia della fede

6,11: Cosa Timoteo deve fuggire, cosa deve perseguire.
6,12: «Combatti la buona battaglia della fede».
6,13-14: «Ti ordino di conservare intatto il Comandamento», e cioè il Vangelo di Gesù che rese la sua buona testimonianza sotto Pilato.
6,15-16: Grande dossologia a Dio, Re dei re, Signore dei Signori, unico immortale.

d. Cosa Timoteo deve dire ai ricchi

6,17-19: I ricchi non devono essere arroganti, confidando sulle ricchezze, ma generosi.

1Timoteo - Perorazione: Le ultime due raccomandazioni riassuntive

6,20a: «O Timoteo, custodisci il deposito».
6, 20b-21a: «Evita le parole vuote e le ‘antitesi’ che portano lontano dalla fede».
6,21b: Augurio finale di grazia.

A Tito - Prescritto di Tt

1,1-4

Mittente (Paolo, servo di Dio, apostolo di Gesù Cristo),
Destinatario (Tito, diletto figlio nella comune fede),
Augurio duplice (grazia e pace).

A Tito - Esordio e annncio dei temi

1,5: Paolo ha lasciato Tito a Creta «dopo avere affidato a lui una missione dottrinale e amministrativa ben precisa» (Spicq, 229): egli deve colmare le lacune sul piano della fede e porre rimedio a ciò che è disordinato («… perché tu metta ordine in quello che rimane da fare»), e deve costituire dei presbiteri sulle molte comunità cretesi («… e stabilisca presbiteri in ogni città»).
In effetti la lettera contiene poi istruzioni sulla scelta di presbiteri e di episcopi perché sia combattuta l’etero-disdascalia (I), e considerazioni sulle diverse categorie di credenti e sui problemi che pongono sia sul piano dottrinale, sia sul piano dell’ordine sociale (II). Anche la perorazione finale insite sul retto insegnamento e cerca di contrastare l’“uomo eretico /fazioso”.

A Tito - I. Disposizioni per la scelta dei presbiteri, soprattutto contro l’etero-disdascalia

a. Requisiti per il presbitero e per l’episcopo

1,6: Requisiti per il candidato a essere presbitero. Tra i requisiti, che sono 5 di numero, l’ultimo è quello che il presbitero non sia un insubordinato.
1,7-9: Requisiti per il candidato a essere episcopo. Tra i 13 requisiti, alcuni al negativo («Non sia arrogante ecc.»), altri al positivo («Sia ospitale ecc.»), il più importante è che l’episcopo sia «attaccato alla dottrina sicura, secondo l’insegnamento trasmesso, in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare coloro che contraddicono».

b. Come Tito deve trattare i cretesi etero-didascali

1,10-11: A Creta ci sono infatti molti spiriti insubordinati e ingannatori, soprattutto provenienti dalla circoncisione: «A questi tali bisogna chiudere la bocca, perché mettono a soqquadro intere famiglie, insegnando per amore di un guadagno disonesto, cose che non si devono insegnare».
1,12-14: Un profeta cretese [Epimenide di Festo], giustamente ha definito i cretesi come «bugiardi, male bestie, ventri pigri». Di questi si deve occupare con fermezza lo stesso Tito «perché rimangano nella sana dottrina e non diano più retta a favole giudaiche e a precetti di uomini che rifiutano la verità».
1,15-16: Il loro insegnamento deve riguardare le leggi di purità /impurità perché Paolo assicura che «tutto è puro per i puri», aggiungendo: «… ma per i contaminati e gli infedeli nulla è puro, essendo contaminate la loro mente e la loro coscienza».
2,1: «Quanto a te, tu insegna ciò che è secondo la sana dottrina».

A Tito - II. Istruzioni a Tito per le diverse categorie di credenti

a. Istruzioni circa anziani e anziane, giovani e schiavi

2,2-5: Istruzioni circa gli uomini anziani, e soprattutto circa le donne anziane. Ad esse Paolo chiede di saper «ben insegnare per formare le donne giovani all’amore del marito e dei figli, ad essere prudenti, caste, dedite alla famiglia, buone, sottomesse ai propri mariti, perché la parola di Dio non debba diventare oggetto di biasimo».
2,6-8: Tito deve poi esortare i più giovani e offrirsi loro come modello perché chiunque è del campo avverso non abbia nulla da ridire sulla comunità cristiana.
2,9-10: Tito deve esortare gli schiavi a esser sottomessi in tutto ai loro padroni, senza contraddirli e senza derubarli.

b. Motivazione cristologica

2,11-15: Il fondamento teologico di queste esortazioni è nella manifestazione (“epifania”) della grazia di Dio salvatore, la quale infatti «ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo». Noi siamo oramai nell’attesa della beata speranza e per noi il Cristo ha dato se stesso: ma tutto è sempre finalizzato a «riscattarci da ogni iniquità», e perché siamo «un popolo puro zelante nelle opere buone».

c. Tito deve invitare all’ordine sociale

3,1-2: Tito deve ricordare a tutte le diverse categorie di credenti «di essere sottomessi ai magistrati e alle autorità, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona; di non parlar male di nessuno, di evitare le contese, di esser mansueti, mostrando ogni dolcezza verso tutti gli uomini». [Probabilmente nelle comunità cristiane serpeggiava qualche forma di anarchia, soprattutto tra le donne giovani, tra i giovani e tra gli schiavi].

d. Motivazione teologico-sacramentale

3,3-7: Nessuno deve disprezzare nessuno, o combattere nessuno (v. 2), e cioè: chi è cristiano non deve disprezzare chi non lo è.
Perché – dice Paolo – «anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell’invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda». Anche se il battesimo è stato per noi un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, Dio ci ha salvati però non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia.
3,8: Sulla base di questa dottrina, i credenti devono distinguersi nell’operare il bene.

A Tito - Perorazione: Tito deve contrastare la falsa dottrina e l’uomo fazioso

3,9-11: Con gli ultimi due imperativi, Paolo riassume in poche parole le disposizioni più importanti della lettera. Il primo imperativo riguarda le dottrine inutili o dannose, e il secondo coloro che le diffondono. «Guàrdati dalle questioni sciocche, dalle genealogie, dalle contese intorno alla Legge, perché sono cose inutili e vane» (v. 9); «Sta’ lontano dall’uomo fazioso, che è ormai fuori strada» (v. 10).

A Tito - Disposizioni epistolari e saluti

3,12-14: Paolo manderà a Creta Artema o Tichico perché Tito per il prossimo inverno possa venire da lui a Nicopoli (in Epiro, sul mare Adriatico?). Tito deve mandargli Zena e Apollo, equipaggiandoli del necessario.
3,15: Saluti e augurio finale di grazia.

2 Timoteo - Prescritto di 2Tm

1,1-2

Mittente (Paolo, apostolo),
Destinatario (Timoteo, diletto figlio),
Augurio triplice (grazia, misericordia, pace).

2 Timoteo - Esordio: «Conserva il buon deposito»

a. Paolo rende grazie al ricordo di Timoteo e della sua fede

1,3-4: Paolo rende grazie a Dio quando pensa a Timoteo, che ha grande desiderio di rivedere.
1,5: Di lui ricorda la fede schietta che la nonna Loide e la madre Eunice gli trasmisero.

b. Esortazione a ravvivare il dono di Dio e a non vergognarsi di Paolo

1,6-8: Dai ricordi nasce l’esortazione a Timoteo perché ravvivi il dono sacramentale dell’imposizione delle mani e perché renda una testimonianza non paurosa e perché non si vergogni delle catene di Paolo.
1,9-12: L’esortazione alla perseveranza viene motivata con il richiamo al Vangelo e dalla dedizione di Paolo ad esso. Dio nel Cristo ci ha salvati non in base alle nostre opere, ma per grazia: di questa buona notizia Paolo è stato costituito messaggero, apostolo e maestro. Per quel Vangelo Paolo sta soffrendo e di esso non si vergogna, certo che Dio intende custodire fino all’ultimo giorno il deposito di fede che gli ha consegnato.

c. Raccomandazione a «conservare il deposito»

1,13-14: Dopo avere delineato tutta la corsa che il deposito della fede deve percorrere (da Dio a Paolo, e poi fino all’ultimo giorno), Paolo coinvolge Timoteo nella responsabilità per esso, con altri due imperativi programmatici: «Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me», e soprattutto: «Custodisci il deposito!».

2 Timoteo - I. Come Timoteo deve reagire di fronte alle difficoltà apostoliche

a. Figelo, Ermogene, Onesiforo: esortazione circa il lavoro apostolico

1,15-18: Con la formula «Tu sai che…», Paolo rievoca due defezioni recenti, quella di Figelo e di Ermogene da una parte e, dall’altra, la testimonianza di fedeltà di Onesiforo, che, venuto a Roma, ha cercato Paolo, l’ha trovato e lo ha assistito generosamente senza vergognarsi delle sue catene.
2,1-2: Con la formula «Tu dunque, o figlio mio» (che ricorrerà altre volte nella lettera), Paolo esorta Timoteo a reagire non con lo scoraggiamento, ma attingendo forza dalla grazia del Cristo e dalle parole udite da Paolo. E ciò che ha ricevuto da Paolo, lo deve trasmettere a chi è capace di trasmettere lo stesso insegnamento ad altri e, quindi, di prolungare indefinitamente la catena della trasmissione della fede.

b. Tre immagini e l’esortazione al duro lavoro apostolico

2,3-7: Timoteo deve soffrire insieme con Paolo. Dev’essere come un soldato che si dedica al suo capitano, come un atleta che tende al premio, come un agricoltore che potrà godere dei frutti del suo lavoro.
2,8-13: Paolo, con le sue sofferenze e con le sue catene, ripropone ancora a Timoteo il suo esempio e il suo Vangelo, assicurandogli che chi soffre, vivrà, regnerà, e che il Cristo è fedele.

c. Imeneo e Fileto: raccomandazioni circa la parola di verità

2,14-16: Con la formula «Questo ricorda», Paolo introduce altri imperativi riguardanti, ora, la vera e la falsa dottrina: «Scongiura di evitare le vane discussioni che portano alla rovina» (v. 14), «Evita le chiacchiere vuote e contrarie alla fede» (v. 16).
2,17-21: Il caso increscioso che dà lo spunto a queste preoccupate raccomandazioni di Paolo è quello di Imeneo e di Fileto secondo i quali la resurrezione è già avvenuta. Ma, secondo la testimonianza stessa della Scrittura, Dio conosce bene coloro che gli appartengono e invita ad allontanarsi dall’iniquità chi invoca il suo nome.
Immagine dei vasi domestici: chi si mantiene puro dagli insegnamenti eterodossi è come un vaso nobile, santificato, utile.
2,22-26: Gli imperativi continuano insistenti. “Fuggi”, “Cerca”, “Evita le discussioni sciocche”.
Paolo propone a Timoteo una definizione descrittiva del “servo del Signore”: non litigioso, mite, capace di insegnare, paziente, dolce nel rimproverare.

2 Timoteo - II. Preoccupazioni per il futuro e testamento di paolo

a. «Negli ultimi giorni… Ma tu sai bene che…»

3,1: Dopo avere esortato in base al passato e alla situazione presente, Paolo si volge al futuro: «Questo poi devi sapere: che negli ultimi tempi verranno momenti difficili». Per tre volte Paolo dice poi che cosa potrà accadere nel futuro (3,2: «Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro…»; 3,13: «Uomini malvagi e ingannatori andranno avanti sempre più …»; 4,3 «Ci sarà un tempo in cui …»), e per tre volte egli dice a Timoteo: «Tu però…» (3,10.14; 4,5).
3,2-9: «Gli uomini saranno egoisti…». Dopo la qualifica di “egoisti”, seguono altre 18 qualifiche degli uomini del futuro. La lunga lista deve portare alla condanna soprattutto di coloro che (con il verbo al presente «sono»: εκ τουτων γαρ εισιν κτλ) «entrano nelle case e circuiscono certe donne … sempre pronte a imparare ma incapaci di giungere mai alla conoscenza della verità» (3,6). Paolo paragona questi insubordinati, che si oppongono alla verità e ai rappresentanti di Dio, a Iannes e di Iambres – due maghi egizi di cui parla molta letteratura extrabiblica – che si opposero a Mosè.
3,10-12: «Tu però … sai bene che …». Timoteo, che nel primo viaggio missionario di Paolo seguì da vicino l’Apostolo e fu testimone delle persecuzioni da lui affrontate in quell’occasione, sa bene che il Signore ha liberato Paolo da tutte. Per questo, anche se la persecuzione è inevitabile (v. 12), Timoteo non deve avere paura.

b. «Sempre più gli impostori… Ma tu rimani saldo…»

3,13: «Gli uomini malvagi e impostori inganneranno sempre più…».
3,14-16 «Tu, però, rimani saldo!». I motivi per non vacillare sono gli insegnamenti ricevuti, le persone che glieli hanno trasmessi, e le Scritture che egli ha imparato a conoscere fin dall’infanzia.
Segue l’elogio della Scrittura e della sua molteplice utilità.

c. «Verrà un tempo in cui… Ma tu fa’ opera di evangelista…»

4,1-4: L’ultima raccomandazione per il futuro è addirittura introdotta con parole di giuramento: «Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno, … insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna …». Il futuro è poi dipinto anche questa terza volta a tinte fosche: «Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina ma gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole».
4,5: Un terzo «Tu però …», introduce altri accorati imperativi, tra i quali il più importante è: «… Fai opera di evangelista». Il motivo di questo comando è che Paolo se ne va, e Timoteo deve subentrare a lui come suo erede spirituale.

d. Il testamento di Paolo: «… io sto per essere versato in libagione»

4,6-8: «Questo addio e questo testamento di Paolo sono da accostare al discorso del Cristo alla cena secondo Giovanni. Vi si trova la stessa serenità, la stessa psicologia di vittoria, la stessa certezza di gloria celeste e, d’altra parte, la stessa preoccupazione di trasmettere ai discepoli le ultime volontà del morente. Come il Cristo, infine, l’Apostolo vede e concepisce la sua morte come un sacrificio e, insieme, come una gloria» (Spicq, 387).
Le immagini della libagione, del togliere le àncore, della corsa nello stadio, e della corona con cui si premia il vincitore, servono ad esprimere tutta l’impresa apostolica di Paolo (« …ho combattuto … ho conservato la fede») fino al dono estremo («Il mio sangue sta per essere versato…») nella prospettiva dell’ultimo giorno («… la corona che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno, e non solo per me ma anche per quelli che vivono nell’attesa della sua manifestazione»).

2 Timoteo - Notizie e disposizioni epistolari

a. Notizie e disposizioni epistolari – dossologia

4,9-16: Paolo ha inviato Tichico a Efeso, e Timoteo deve quanto prima andare da Paolo con Marco. Dema e Alessandro hanno tradito Paolo, mentre Crescente e Tito sono dovuti partire: così nella prima udienza Paolo ha avuto l’assistenza del solo Luca. Venendo, Timoteo deve prelevare da Carpo a Troade il mantello, i rotoli e le pergamene che vi ha lasciato.
4,17-18: Di fronte all’infedeltà di qualche discepolo, Paolo non si sente però mai abbandonato dal Signore che lo ha «liberato dalla bocca del leone». A lui l’Apostolo eleva una riconoscente dossologia: «A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen».

b. Saluti finali

4,19-21: Saluti ai cristiani di Efeso. Saluti da parte dei fratelli, di cui quattro sono nominati.
Altre notizie e altre disposizioni: Timoteo venga prima dell’inverno.
Augurio conclusivo (ripreso nel “Dominus vobiscum” della liturgia latina): «Il Signore Gesù sia con il tuo spirito. La grazia sia con voi!».

7. Influsso, importanza storica e attualità delle Pastorali

a. Influsso e importanza storica

La teologia e la spiritualità delle Pastorali sono visibilmente di livello più modesto che non quelle di Paolo di Tarso. Paolo era un teologo creativo e vulcanico, il Pastore invece cita e ripete. Il Paolo delle Pastorali è, in tal modo, un Paolo più accessibile, e le sue parole sono più facili e più comprensibili. – Questa debolezza delle Pastorali è stata anche la loro forza. L’immagine di Paolo che soprattutto la chiesa cattolica ha coltivato nei secoli non è tanto quella desumibile dalle lettere autentiche, quanto piuttosto quella che si ricava appunto dalle Pastorali (e dagli Atti): l’immagine del grande Apostolo, dell’Esortatore, del Difensore dell’ortodossia, del Carcerato, del Martire, del grande Convertito e grande Santo. Ciò che in particolare si è imposto è l’ecclesiologia delle Pastorali, la loro struttura ministeriale della chiesa, il loro tipo di spiritualità, il formarsi della tradizione, del “deposito”, e della “sana dottrina”.
Dal punto di vista storico, le Pastorali sono utili anche per farsi un’idea di che cosa successe nel cristianesimo della terza o quarta generazione, dopo la scomparsa dei grandi protagonisti della prima ora e, in particolare, di come si cercò di riempire il vuoto lasciato da Paolo nelle chiese da lui fondate e in quelle che comunque si richiamavano alla sua eredità.
Infine, secondo C.K. BARRETT, «Pauline Controversies in the Post-Pauline Period», in New Testament Studies 1973-1974, 229-245, sono state proprio le Pastorali e l’immagine accessibile ed “accettabile” che esse propongono di Paolo, a fare in modo che fossero accolte nel canone del NT le lettere autentiche, la cui radicalità suscitava altrimenti diffidenza.

b. L’attualità delle Pastorali

Un motivo non indifferente di attualità per le Pastorali consiste nel fatto che esse affrontano situazioni e problemi molto simili a quelli del nostro tempo: la libertà di pensiero e d’interpretazione circa il patrimonio di fede che veniva dall’epoca di Gesù e degli apostoli, la crisi dei concetti di autorità e di responsabilità, e l’emancipazione femminile perseguita con metodi dirompenti invece che costruttivi. Le Pastorali danno l’impressione di essere frutto di una mentalità vecchia e repressiva, ma l’apparenza inganna, ed esse sono documenti più attuali di quanto sembra.
L’attualità delle Pastorali sta anche nel fatto che sono documenti di un tempo di transizione, come lo è il nostro tempo, che lo è come nessun altro lo è stato. – «Le Pastorali hanno molto da dire a chi esperimenta la transizione. Esse dicono l’importanza della fedeltà. Se le chiese delle Pastorali che si sono inoltrate nell’età post-apostolica non fossero state fedeli al Vangelo, in quel processo esse avrebbero perso l’anima. Ma fedeltà non significa rigidità. L’Autore delle Pastorali non seppellisce i talenti della tradizione paolina fino a che la burrasca della transizione non sia passata (…). “Questo non s’è mai fatto” non è un principio del suo vocabolario di transizione. Egli può, sì, combattere l’andazzo del suo tempo, ma poi reagisce dando vita a un’istituzione che incarna la sua fede e il suo modo di vedere…», «La gente che sta dietro le Pastorali sta vivendo la transizione dall’età apostolica a quella post-apostolica. Sono persone che si vanno chiedendo che cosa prendere dal passato, mentre muovono verso il futuro. Sono persone deboli e che hanno fatto sbagli. Ma ora, in un tempo nuovo, cercano di rinnovare il loro impegno con il Cristo e con Paolo…» (R.J. KARRIS, Dublin 1979, xi, xvii). «La posta in gioco nella pseudepigrafia è l’attualizzazione e non la nostalgia di una rievocazione. Si deve agire anche senza Paolo. Mandato e compiti di Timoteo sono legati alla sua assenza», Y. REDALIÉ, «“Discernere i tempi” nelle Pastorali», in G. DE VIRGILIO, a cura di, Il deposito della fede (Bologna 1998), 250.

( II ) Le Pastorali e la Chiesa Ministeriale nella storia

a. Non più la creatività di Paolo ma la custodia del “deposito”

Il Pastore propone ad ogni passo affermazioni di stampo paolino ma, lontano dall’avere la capacità speculativa di Paolo, procede invece per formule fatte, così che, mentre Paolo inesauribilmente esplicitava dall’annuncio cristiano insospettate ricchezze, le Pastorali riprendono di peso frasi prefabbricate e luoghi comuni. – Interessate maggiormente alla prassi, dal punto di vista dottrinale le tre lettere più che altro si preoccupano di difendere e tramandare il patrimonio di fede ricevuto: il ‘depositum fidei’ (παραθηκη, cf. 1Tm 6,20; 2Tm 1,12.14). Il concetto è preso dal diritto greco-romano nel quale il “deposito” rappresentava una particolare forma di contratto: per esso il depositario si impegnava a custodire tale e quale il bene affidatogli, e a riconsegnarlo intatto dietro richiesta del proprietario. In 2Tm 1,12 Paolo sente di avere custodito fedelmente il tesoro che Dio gli ha affidato così come la legge chiedeva ai cittadini che si legavano con quell’impegno giuridico, mentre in 1Tm 6,20 e 2Tm 1,14 egli chiede a Timoteo di essere, dopo di lui, custode altrettanto fedele. In quei tre testi «… il contenuto della παραθηκη altro non è che l’evangelo fissato nel ‘credo’ e contestato dagli eretici. (…) Colui al quale è stata affidata la sana tradizione ha obblighi e responsabilità particolari. (…) Cristo è in grado di proteggere e preservare l’evangelo affidato alla comunità non solo durante la vita dei primi apostoli ma, anche oltre quell’età che sta per chiudersi, nelle tempeste che le generazioni a venire dovranno attraversare e fino al giorno del giudizio», C. MAURER, «παραθηκη», in GLNT, ad v. 1253 e 1257-1258.
Circa il ‘depositum fidei’, oltre a C. Maurer, cf. S. CIPRIANI, «La dottrina del ‘depositum’ nelle lettere pastorali», in Studiorum paulinorum congressus internationalis catholicus 1961, II, (Analecta Biblica 18; Romae 1963), 128-142
Il concetto di “deposito” comunque dev’essere inteso in senso non statico ma dinamico. Non si tratta infatti di custodire qualcosa di inanimato, di inerte, ma di qualcosa che è vivo e vitale e che, come una persona, se non crescesse ogni giorno, morirebbe. Lo stesso Pastore è il primo per esempio ad aggiornare – certo nella fedeltà – il deposito: egli riformula la dottrina paolina della giustificazione (2Tm 1,9) e il concetto di “legge” (1Tm 1,8-11a) in termini meno tecnici; con il termine “carisma” intende i doni suscitati non tanto dallo Spirito, ma dall’imposizione delle mani (1Tm 4,14), fornisce le chiese di nuove strutture organizzative, quali il collegio dei presbiteri o l’ordine delle vedove ecc.; rielabora per la sua epoca un diversa immagine di Paolo: polemica, moralistica, agiografica ed edificante.

b. Cristianesimo borghese o senso civico?

A commento di 1Tm 2,2 («… affinché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio»), M. Dibelius (Tübingen 1931) ha scritto un ‘excursus’ parlando di “christliche Bürgerlichkeit”, concetto che poi è stato preso come chiave d’interpretazione globale delle Pastorali in due direzioni diverse. Secondo alcuni si può parlare di “cristianesimo borghese o imborghesito” delle tre lettere: dopo il cristianesimo “eroico” di Paolo (cf. per esempio 2Cor 11,23-33), ora si andrebbe in cerca di una vita borghese, agiata e indisturbata (così M. Dibelius, S. Schulz, R. Schnackenburg, J. Roloff). Se però davvero il Pastore doveva fronteggiare lacerazioni come quelle ipotizzate più sopra, allora egli, quando parlava di “vita calma e tranquilla”, non sognava tanto una vita borghese, agiata e indisturbata, ma chiedeva a tutti di deporre lo spirito d’anarchia, d’insubordinazione e di litigiosità. Tanto è vero che, subito dopo, egli chiede agli uomini di presentarsi alla preghiera “senza collera e senza polemica” (2,8). Più giustamente, allora, per altri (Ph. H. Towner, R.M. Kidds, J.J. Wainwright, M. Reiser, Y. Redalié) il testo di 1Tm 2 parlerebbe invece di “civismo cristiano”, e cioè della consapevolezza dei cristiani della fine del primo secolo di essere cittadini (“Bürger”) di questo mondo, per cui non ci si deve estraniare dalla storia e dalle responsabilità della vita quotidiana familiare e sociale.

c. Un diverso rapporto col mondo ambientale

Le Pastorali lasciano capire che al tempo della loro composizione c’era chi nelle chiese paoline aveva con l’ambiente un rapporto conflittuale, e, a parte le tendenze anarchiche cui si oppone, l’Autore sembra qua e là combattere un certo atteggiamento di superiorità e di disprezzo verso chi non è cristiano. Per rendersene conto, basta leggere Tt 3,2: «Ricorda loro (= a tutte le categorie di credenti) di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere mansueti, mostrando ogni dolcezza verso tutti gli altri». L’Autore motiva questa richiesta di apertura e di comprensione verso i non-credenti evocando il passato da cui solo la bontà di Dio salvatore ha liberato quelli che ora credono: «Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, corrotti, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri ecc. Ma quando apparvero la bontà di Dio, nostro salvatore, e il suo amore per gli uomini ecc.» (Tt 3,3-6). Soprattutto poi c’erano coloro che disprezzavano come cattiva la creazione, il matrimonio, e la famiglia. Fu così che il Pastore avvertì il bisogno di affermare la bontà dell’ordine sociale e, prima ancora, della creazione, scrivendo tra l’altro: «Tutto ciò che Dio ha creato è buono e nulla dev’essere disprezzato, ma essere preso con rendimento di grazie, perché è santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera» (1Tm 4,4-5).
La teologia e la religiosità delle Pastorali sono visibilmente di livello più modesto che non quelle di Paolo di Tarso. Da profetico, eroico, ed escatologico quale era ai tempi di Paolo, il cristianesimo diventa quotidiano, pre-escatologico, preoccupato anche delle realtà penultime. – L’attesa escatologica non scompare (cf. 1Tm 6,14 2Tm 4,1.8), ma l’interesse a “questo tempo”, del quale le tre lettere tornano spesso a parlare (1Tm 4,8; 6,17; 2Tm 4,10; Tt 2,12), dice il desiderio di un rapporto stabile con il mondo ambientale, del quale Paolo non si era molto preoccupato dal momento che “è passeggera la scena di questo mondo” (1Cor 7,31).

Indicazioni bibliografiche per le Pastorali

Commentari
J. FREUNDORFER (1959, it 1961), J.N.D. KELLY (1963), C.K. BARRETT (1963), F.J. SCHIERSE (1968), G. HOLTZ (1965), P. DORNIER (1969), N. BROX (41969, it 1970), C. SPICQ (1969), M: DIBELIUS - H. CONZELMANN (1972), J. JEREMIAS - A. STROBEL (1975), R.J. KARRIS (1979), R. FABRIS (21990), C. CASALE MARCHESELLI (1995), L. OBERLINNER, 3 vol. (1994, 1995, 1996; it 1999).

Monografie


Per altri articoli e studi del prof.Giancarlo Biguzzi o sulle lettere di S.Paolo presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici


[Introduzione all'epistolario paolino]