Ripresentiamo on-line il VI capitolo del volume di J.Ratzinger, Dio e
il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio. In colloquio con Peter Seewald, Edizioni
San Paolo, Cinisello Balsamo, 2001, pagg.142-162. Tale capitolo porta il titolo “La
legge”.
La nostra parrocchia di S.Melania lo ha utilizzato per la preparazione delle riunioni sui
“dieci comandamenti” con le catechiste delle comunioni e, per rendere loro
più facile l’utilizzo di questo testo, abbiamo deciso di metterlo a disposizione
on-line. Restiamo a diposizione per l’immediata rimozione, se la presenza di questo testo
sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
L’Areopago
La Chiesa ha elaborato la dottrina delle quattro leggi che devono
mostrare l'ordine che struttura la nostra esistenza. Queste leggi sono in primo luogo la legge
naturale; quindi la legge degli istinti e delle passioni; in terzo luogo la legge dell'Antica
Alleanza mediata da Mosè; e infine la legge della Nuova Alleanza consegnataci da
Gesù Cristo. Ho compreso correttamente?
In primo luogo dobbiamo tenere presente che queste leggi non sono tutte sullo stesso piano. La
legge naturale ci rivela che anche la natura racchiude in sé un messaggio morale.
Il contenuto spirituale della creazione non è solamente di natura meccanico-matematica.
Questa è la dimensione che le scienze naturali mettono in luce nelle leggi di natura. Ma
c’è un sovrappiù di spirito, di «leggi naturali» nel creato,
che reca impresso in sé e ci rivela un ordine interiore. Nel creato possiamo leggere i
pensieri di Dio e il modo in cui dobbiamo vivere.
Secondo elemento: la legge delle passioni ci dice che il messaggio della creazione si
è appannato. Vi si contrappone una specie di controspinta che ha fatto ingresso nel
mondo con il peccato. Questa legge esprime, per così dire, la ribellione dell'uomo.
Paolo lo esprime in questi termini: l'uomo avverte dentro di sé una legge che lo spinge
a fare il contrario di quello che vorrebbe davvero. Questo è dunque un altro piano.
Mentre la legge naturale esprime il messaggio interiore della creazione, la legge delle
passioni significa che l'uomo si è costruito un proprio mondo e ha così
introdotto nel mondo una controtendenza.
È stato innanzitutto Tommaso d'Aquino a formulare e approfondire questa
riflessione.
Sì, Tommaso ha nel complesso il merito di aver sintetizzato, di aver elaborato la summa
di questa teoria.
Terzo elemento: la legge dell'Antica Alleanza. Anche questa legge ha un significato che
comprende più strati. Il suo nucleo fondamentale è rappresentato dai Dieci
Comandamenti del Sinai, a cui si aggiungono i cinque Libri di Mosè, che costituiscono
l'ordinamento legislativo d'Israele e sono definiti come «la legge». Regolamentano
l'esistenza, la liturgia, e insieme anche l'etica. Paolo ha analizzato criticamente
quest'ordine e ha constatato che questa legge rappresenta sicuramente una forza
regolamentatrice - e tale rimane per i nostri concittadini ebrei e sotto molti aspetti anche
per noi, della qual cosa parleremo sicuramente in seguito - ma che d'altro canto non è
in grado di liberare completamente l'uomo. E questo per una ragione molto semplice: quanto
più esigente è la legge, tanto più forte è l'istinto
trasgressivo.
È Gesù Cristo, infine, a liberarci dalla legge, secondo Paolo, per introdurci
nella libertà della fede e dell'amore. Tommaso d'Aquino si è ricollegato al
pensiero di san Paolo quando ha parlato a sua volta di una legge, la legge di
Cristo, che è però di tutt'altra natura. Tommaso dice che la nuova legge, la
legge di Cristo, è lo Spirito Santo, cioè una forza che, lungi dall'essere
imposta dall'esterno, prorompe dall'interno.
Da questo punto di vista i piani sono dunque quattro: in primo luogo il messaggio del creato.
In secondo luogo la controspinta dell'uomo nella storia, in cui egli tenta in qualche modo di
costruirsi un proprio mondo in contrapposizione con Dio. In terzo luogo il messaggio di Dio
nell'Antico Testamento, che certo indica all'uomo il cammino, ma che, nel contrasto con la
resistenza dell'uomo, rivela tutta la sua impotenza. La legge dell'Antico Testamento rimane
così provvisoria, rimanda a qualcosa che la supera. E infine da ultimo c'è Cristo
che ci tocca dall'interno, al di là delle leggi esteriori, e ci indica così la
direzione verso cui volgere interiormente la nostra vita.
C'è un passo nel Vangelo che mi sconcerta, quello in cui Gesù dice: «Non
pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per
dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra,
non passerà dalla legge neppure un iota o un segno, senza che tutto sia
compiuto».
Cristo non viene a infrangere la legge, non viene a dichiararla superata o senza senso. Del
resto, questo non lo fa nemmeno Paolo, per quanto alcuni ritengano di trovare nelle posizioni
paoline elementi di tensione con le parole di Gesù riportate da Matteo. Cristo dice che
la legge antica conserva il suo significato pedagogico essenziale fin nei dettagli. Cristo
viene a darle compimento. Il che significa però anche innalzarla ad un piano più
alto. Cristo le dà compimento nella sua sofferenza, nella sua vita, nel suo messaggio. E
fa sì che in lui la legge intera trovi il suo senso. Tutto quello che nella legge si
intende e si richiede all'uomo trova davvero realizzazione nella sua persona.
Questo è il motivo per cui non abbiamo più bisogno di osservare la lettera della
legge, tutte le prescrizioni regolate fin nel dettaglio. La comunione con Cristo significa che
siamo là dove la legge è portata a compimento; dove ha trovato la sua sede
naturale; dove è stata insieme sussunta e trasformata.
Ci sono intere biblioteche piene di testi giuridici che regolano la convivenza e la
correttezza di comportamento nei singoli stati. Cristo, al contrario, è stato
evidentemente in grado di sintetizzare in poche frasi comprensibili e realizzabili per tutti,
al di là di tutte le possibili differenze culturali, la legge fondamentale che regola il
mondo.
Quando gli fu chiesto: «Maestro, qual è il più grande comandamento
della legge?», rispose in questo modo: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il
cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e
il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come
te stesso». E poi aggiunge, a chiarificazione ulteriore: «Da questi due
comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti».
Questa è in effetti la grande frattura, la sintesi che ci offre Cristo. Il suo sguardo
si solleva dalle diverse prospettive, dai particolari per abbracciare l'insieme e ci dice: In
questo duplice comandamento è racchiuso tutto. Dio e il prossimo sono inseparabili.
Gesù ha portato a termine un'enorme semplificazione, che però non è uno
sconto o una banalizzazione ma evidenziazione dell'essenziale. Qui viene in primo piano il
nucleo portante di tutto, attorno a cui tutto ruota e su cui tutto si gioca, come dice Paolo.
Se non teniamo questo come comandamento principale, allora le nostre parole sono solo
chiacchiere vuote o bronzo che risuona. Gli esercizi di devozione e le attività di
qualsiasi tipo sono vane se non le anima il soffio vivificante dell'amore. Non aiutano l'uomo a
entrare in contatto con Dio e non sono di alcuna utilità anche per il prossimo. Da
questo punto di vista, questa essenzializzazione, questa semplificazione, che testimonia della
semplicità e insieme della grandezza e della bellezza delle sue pretese, rappresenta
davvero una sostanziale frattura.
Dobbiamo ovviamente tenere presente che nell'antico Israele l'ordinamento legislativo, le
regole morali, e la regolamentazione del culto si intrecciavano. Con l'avvento di Cristo queste
tre sfere si separano. La religione acquisisce per così dire sostanza autonoma. Anima lo
stato e il diritto e fornisce loro parametri morali, ma il diritto statuale si distingue dai
precetti della morale o dagli insegnamenti della Chiesa.
Da questo punto di vista negli stati dovranno continuare a esistere ordinamenti e norme
legislative. Questi però affonderebbero le loro radici nel vuoto se non fossero
internamente animati; se gli uomini non riconoscessero innanzitutto interiormente la
legittimità delle pretese essenziali esercitate su di loro e non trasformassero in
questo modo gli ordinamenti legislativi da meri regolamenti esteriori a fondamenta di una
corretta convivenza.
È questo che intendeva quando diceva che la vera legge naturale è una legge
morale?
Sì. La natura non ha soltanto leggi che regolano il decorso di fenomeni, quali quelle
indagate dalla scienza, ma racchiude in sé anche un messaggio più profondo. Ci
fornisce indicazioni. E quando la Chiesa parla di legge naturale, non si riferisce a leggi
intese nell'accezione comune alle scienze naturali, ma quell'indicazione interiore che si
riverbera a noi dalla creazione.
Nel deserto del Sinai Mosè tracciò una linea attorno al
monte Horeb. Nessuno poteva oltrepassare questo confine, ad eccezione di lui. Il terzo giorno
iniziarono a rimbombare tuoni e ad abbattersi fulmini, una spessa coltre di nubi avvolse la
cima del monte, delle trombe squillarono. Dalla montagna, che incominciò a tremare, si
levarono del fumo e delle fiamme, e solo Mosè scalò la cima del monte per
ricevere da Dio i Dieci Comandamenti, la legge divina. Mosè scrisse ogni parola
pronunciata dal Signore nel Libro dell'Alleanza.
Fin qui il mito. I Dieci Comandamenti sono considerati dalla Chiesa espressione della
premura di Dio per l'uomo, devono indicarci la via per vivere meglio. Innanzitutto: queste
leggi sono state davvero consegnate a Mosè da Dio quando gli apparve sul monte Sinai?
Come tavole di pietra che si dice fossero «scritte dal dito di Dio»?
Forse dobbiamo a questo punto fare un po' di chiarezza sulla parola «mito». La
Bibbia ricorre qui senza dubbio a un linguaggio figurato per esprimere cose che ben
difficilmente possono essere descritte altrimenti. Che questi messaggi ci vengano comunicati
tramite visioni simboliche, non significa ciò nondimeno che possano essere liquidati
come sogni, saghe o favole.
Ci troviamo qui di fronte a un simbolo che rimanda a un evento reale, a un effettivo ingresso
di Dio nella storia, a un incontro reale tra Dio e questo popolo - e tramite questo popolo con
l'umanità intera. Questo simbolo viene mediato da un uomo che è vicino a Dio, a
cui è dato di ascoltare veramente Dio, di parlargli - come dice la Bibbia - come a un
amico e grazie a quest'intimo rapporto di amicizia può diventare mediatore e trasmettere
il messaggio di Dio. Ci troviamo quindi di fronte a un nucleo di eventi rappresentato con un
linguaggio metaforico e visionario.
Ma in che misura questi Comandamenti provengono davvero da Dio?
Oggi sappiamo che i Dieci Comandamenti, così come sono riportati dai libri mosaici, sono
intrecciati con la storia dei popoli circonvicini. Tentativi analoghi, in cui si intuisce un
duro confronto con la storia, si riscontrano anche in ambito assiro. Ciò nonostante, gli
influssi reciproci non spiegano da soli la forma che questa legge ha assunto e che si è
cristallizzata nella redazione scritta. Qui si scorge il profilo dell'uomo che, toccato da Dio,
ispirato dal tocco dell'amicizia divina, riesce a dare forma alla volontà di Dio, che
fino a quel momento era presente in altre tradizioni solo in maniera frammentaria, una forma in
cui possiamo davvero percepire la parola di Dio.
Se davvero sono mai esistite queste tavole di pietra, è un'altra questione. Lei sa che
Mosè, secondo la narrazione biblica, in preda alla collera spezzò dapprima queste
tavole e quindi ricevette delle tavole sostitutive. Quello che conta è che in questa
vicenda Dio stesso si faccia riconoscere davvero, tramite il suo amico, in maniera vincolante.
Da questo punto di vista questa mediazione è qualcosa di più che riflessione
umana o anche sensibilità umana per il messaggio della creazione.
I Dieci Comandamenti sono ancora oggi validi - incondizionatamente?
Sono validi. Abbiamo già parlato di un comandamento che, grazie all'incontro con Cristo,
assume, per così dire un volto nuovo e viene compreso diversamente: «Non ti farai
idolo né immagine alcuna». Questo comandamento acquista un nuovo significato nel
momento in cui Dio stesso propone una propria immagine di sé. Da questo punto di vista i
Comandamenti non sono definiti una volta per tutte, solo con Cristo acquistano la loro forma
definitiva.
Anche il comandamento relativo all'osservanza di shabbath, che rimanda al racconto
della creazione, conserva validità sostanziale ma acquista una nuova forma nel momento
in cui il giorno della Risurrezione di Cristo diventa il vero giorno dell'Alleanza. Lungo il
percorso che si snoda da shabbath alla domenica, questo comandamento acquista anche un
nuovo spessore, una nuova profondità.
In questo senso, quelle dei Comandamenti non sono parole meccanicamente conchiuse ma,
trasfigurate dalla luce di Cristo, vi acquistano la loro forma definitiva. Nel loro nucleo
sostanziale, però, sono e rimangono valide.
I Dieci Comandamenti non hanno mai subito revisioni?
No. Ci sono due versioni, una nel libro dell'Esodo e l'altra nel Deuteronomio. Si distinguono
per sottigliezze esteriori, ma in sostanza sono identiche - e ovviamente non sono "a
disposizione" dell'uomo.
Quando Mosè torna dalla montagna sacra, sorprende il popolo mentre danza attorno al
famoso vitello d'oro. Pieno di collera per l'atto idolatrico, Mosè distrugge le tavole.
Solo i leviti, i discendenti di Levi, che costituiranno poi la casta sacerdotale, si
schiereranno con lui e si metteranno dalla parte di Dio. «Passate e ripassate
nell'accampamento da una porta all'altra», ordina Mosè, «uccida ognuno il
proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente».
La storia dei Dieci Comandamenti è quindi iniziata in sostanza con un enorme
sacrilegio commesso in violazione del quinto comandamento: «Non uccidere».
Mosè avrebbe dovuto saperlo.
Veramente è iniziata ancora prima, con la profanazione del primo comandamento, quello
portante: Non adorerai dei stranieri.
L'uomo trova il suo equilibrio se riconosce Dio come Dio e vive nella sua adorazione.
Precipita nella distorsione, nella perversione della sua esistenza se riserva la sua adorazione
a qualcosa che non è Dio. Se si costruisce degli idoli e quindi, in ultima analisi,
adora se stesso. Nell'episodio del vitello d'oro, il popolo è consumato da questo
sacrilegio di base e interiormente deformato. Si è consegnato alla morte. Perché
allontanarsi da Dio, che è la fonte della vita, significa allontanarsi dalla vita
stessa.
La vicenda cui fa riferimento è di una crudeltà inaudita e stentiamo a
comprenderla. Anche in questo caso dobbiamo spingere in avanti il nostro sguardo, fino a
Cristo, che si comporta in maniera opposta. Lui non uccide gli altri, prende su di sé la
morte. Ma nell'ora storica del Sinai Mosè porta per così dire a compimento
ciò che è già nei fatti: sono gli altri ad avere pervertito la loro stessa
esistenza. In che misura quest'episodio vada preso alla lettera, è un'altra questione.
Il popolo d'Israele continua ad esistere. L'episodio esprime simbolicamente la condizione di
chi, alienandosi da Dio, abbandona non solo l'Alleanza ma anche la sfera della vita, distrugge
la propria vita ed entra nella sfera della morte.
IL PRIMO COMANDAMENTO
«Io sono il Signore, tuo Dio:
non avrai altri dei di fronte a me»
A ben guardare, la danza attorno al vitello d'oro forse non è mai stata, in tutta la
storia dell'umanità, così selvaggia e orgiastica come oggi.
Oggi non ci sono dei che vengano esplicitamente definiti come tali, ci sono però forze
davanti a cui l'uomo si inchina. Il capitale è una di queste forze, e la
proprietà in generale. O anche l'ambizione. Il vitello d'oro è da molti punti di
vista di grande attualità nel mondo occidentale. Il rischio esiste.
Ma c'è dell'altro. Sempre più spesso si tende a cancellare il volto del Dio
unico. Questo avviene ogni qualvolta diciamo che in sostanza tutti gli dei si riferiscono a un
solo Dio. Ogni cultura ha le sue forme espressive particolari e non ha poi così grande
importanza se si intende Dio come persona o se ci si riferisce a un Dio impersonale, se lo si
chiama Giove, Shiva o in qualche altro modo. E si dimostra sempre più di non prendere
sul serio Dio. Di essersi allontanati da Dio e di rivolgersi ormai soltanto ai riflessi di noi
stessi.
Vediamo che, nel momento in cui l'uomo accantona Dio, le tentazioni dell'idolatria si fanno
più forti. In questo momento il grosso rischio che ci sta di fronte consiste nel
considerare Dio come superfluo. È così lontano, si dice, e adorarlo pare non
sortire a nulla. Quello a cui prestiamo poca attenzione è che se demoliamo il pilastro
su cui poggia l'ordine dell'esistenza umana, l'uomo si disintegrerà sempre
più.
IL SECONDO COMANDAMENTO
«Non pronunzierai invano il nome del Signore, tuo Dio»
Ci si chiede comunque: se Dio è così grande, perché non si dimostra
superiore alle mie piccole bestemmie, all'empietà di un minuscolo verme
terrestre?
Il punto non è se siamo in grado di arrecare in qualche modo un'offesa a Dio per cui lui
si debba vendicare. Si tratta invece di preservare ordine ed equilibrio esistenziale. Nel
momento in cui disonoriamo Dio, deformiamo il suo volto e lo rendiamo così inaccessibile
al mondo da non essere più in grado di illuminarci, anche la luce dell'uomo si
spegne.
Martin Buber ha detto una volta che di nessuna parola si è mai abusato così
tanto come del nome di Dio. Questa parola sarebbe stata così insozzata e stravolta da
non essere più utilizzabile. Penso, così continuava, che non possiamo tuttavia
evitare e ignorare questa parola, ma dobbiamo tentare di raccoglierla da terra con devozione e
di ripulirla.
Si pensi soltanto alla scritta «Gott mit uns» (Dio con noi) incisa sul cinturone
dei militari tedeschi all'epoca della dittatura nazista. Mentre apparentemente si rendeva
omaggio a Dio, in realtà se ne abusava per i propri scopi.
Ma ogni singolo abuso del nome di Dio, ogni contraffazione del volto di Dio tale da renderlo
irriconoscibile lascia dietro di sé sporcizia e tracce enormi. La grande forza
dell'ateismo o il rifiuto e l'indifferenza nei confronti di Dio sarebbero inspiegabili senza
questi abusi del nome di Dio. Il suo volto è stato stravolto a tal punto che l'uomo
è stato costretto a distogliere lo sguardo. Da questo punto di vista sono risultate
evidenti da tempo le terribili conseguenze che comporta la violazione di questo
comandamento.
IL TERZO COMANDAMENTO
«Ricordati del giorno di sabato per santificarlo»
Molti amano la domenica e godono della sua diversità, altri pensano solo a fare spese
senza soste, a lavorare, e a inebetirsi nell'assordante fragore di una quotidianità
superficiale e dispersiva. Ma forse abbiamo anche dimenticato la vera funzione e il vero
significato della domenica.
Lo Shabbath è introdotto nel racconto della creazione come un tempo che l'uomo
consacra a Dio. Nel contesto del Decalogo è inoltre il segno dell'Alleanza con il suo
popolo. L'idea originaria di Shabbath è quindi un'anticipazione della
libertà e dell'uguaglianza per tutti.
Di Shabbath anche lo schiavo non è più uno schiavo, anche per lui vale la
legge del riposo. Nella tradizione ecclesiastica questo è sempre stato uno degli aspetti
principali. Per quanto riguarda i liberi, la loro attività non era lavoro nel senso
proprio del termine e poteva essere continuata. Un altro punto importante è che in
questo giorno l'intera creazione deve poter riposare. In origine questo comandamento veniva
fatto valere anche per gli animali.
Oggi l'uomo vorrebbe poter disporre completamente ed esclusivamente del suo tempo. Abbiamo in
effetti dimenticato quanto sia importante permettere a Dio di entrare nel tempo e utilizzare il
tempo non solo come materia di cui possiamo disporre per i nostri interessi. Si tratta di
uscire dalla logica dell'utilitarismo e del pragmatismo per dedicarci agli altri e a noi
stessi.
Abbiamo già accennato alla nuova forma che lo Shabbath assume con la
Risurrezione di Cristo. Si identifica ora con l'alba in cui il Risorto è apparso ai
suoi, in cui noi ci raduniamo con lui, in cui lui ci invita a sé a farci partecipi del
giorno dell'adorazione e dell'incontro con Dio, in cui lui si fa incontro a noi e ci cerca e
noi possiamo cercarlo.
IL QUARTO COMANDAMENTO
«Onora tuo padre e tua madre,
perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese
che ti dà il Signore, tuo Dio»
Ci colpisce che questo sia l'unico comandamento collegato a una promessa. Gesù
sottolinea ripetutamente quanto sia importante.
Vorrei raccontare un piccolo aneddoto. Eravamo in vacanza, ed ero molto contento dei miei
ragazzi. Paul pescava per ore piccoli pesci e minuscole aragoste, Jakob scavava buche nella
sabbia. Avevamo una piccola barca, e Paul nuotava a lungo accanto alla barca. A un certo punto
non ebbe più paura, ed era orgoglioso di cavarsela bene e da solo. Una volta sedevo un
tratto più avanti su una roccia e guardavo mia moglie e i bambini, ed erano tutti
giovani e forti e belli. E pensavo, adesso iniziano gli anni migliori della mia vita e non
voglio sprecarli inutilmente, ed è grandioso esserci e poterci essere. E improvvisamente
mi sono ritrovato a pensare anche ai miei genitori e ai miei nonni e appunto anche a questo
quarto comandamento.
Questo comandamento, in effetti, è la Magna Charta della famiglia. Qui viene
codificato l'ordine fondamentale. La cellula essenziale della socialità e della
società, ci dice quest'ordine, è la famiglia, sono i genitori e i figli. E solo
in quest'ordinamento di base possono essere esercitate le virtù umane. Solo in questo
contesto matura un rapporto corretto tra i generi e tra le generazioni.
Il comandamento racchiude da un lato la missione educativa, che significa educare l'altro alla
libertà perché possa imparare le sue leggi interne, perché impari ad
essere un uomo. In questo contesto l'obbedienza è al servizio di questo training
alla libertà. E viceversa dai ragazzi ci si aspetta naturalmente che accettino questa
educazione.
Ma il quarto comandamento comprende anche un tacito capitolo sul rapporto con l'anziano, con
la persona non più utile, debole. Viene attribuito un grande valore al rispetto dei
genitori anziani. Non dovremmo orientarci in base a criteri utilitaristici, ma continuare a
rendere omaggio negli anziani alle persone che ci hanno fatto dono della vita. In loro si
può onorare anche la dignità dell'uomo proprio laddove questi non è
più in grado di badare a se stesso. Questo rispetto basilare per l'uomo è un
aspetto molto importante di questo comandamento. E qui è racchiusa anche la prospettiva
del proprio futuro, la possibilità di guardare con fiducia alla propria vecchiaia.
IL QUINTO COMANDAMENTO
«Non uccidere»
Quasi nessuno metterebbe in discussione il senso di questo comandamento, salvo poi violarlo
continuamente.
Indubbiamente nell'uomo é presente un'evidenza innata dell'obbligo di non uccidere. Pur
dimenticando che solo Dio può disporre della vita dell'uomo, sappiamo almeno che l'uomo
ha diritto alla vita proprio in quanto uomo, e che uccidendolo si attenta all'essenza dell'uomo
in quanto tale.
Nei casi limite però questa consapevolezza, come vediamo, si appanna sempre più.
Questo vale in particolare per l'inizio dell'esistenza, quando la vita è ancora
indifesa, manipolabile. Qui si affaccia la tentazione di procedere secondo parametri
utilitaristici. Si pretende di scegliere chi potrà sopravvivere e chi no perché
ostacola la nostra libertà e autorealizzazione. Laddove l'essenza dell'uomo non si
manifesta ancora nella sua forma esteriore e con la facoltà di parlare e interloquire,
là si spegne facilmente anche la consapevolezza di questo comandamento.
Lo stesso vale per la fase terminale della vita. Si concepisce il malato, colui che soffre,
come un fastidio e ci si convince che la morte sarebbe un bene anche per lui. Questo
costituisce un pretesto per spedirlo nell'al di là prima che, per così dire,
diventi troppo «difficile».
E da questo punto in avanti la coscienza del quinto comandamento si erode progressivamente.
Oggi vengono rilanciati pensieri che abbiamo già conosciuto in tempi tristi e che,
massificando l'uomo, non riconoscono la specificità della dignità umana. Ci si
interroga se si possa ancora considerare uomini persone non più coscienti e non
più in grado di adempiere ad una funzione sociale.
Ma la legittimazione dell'eutanasia innesca un processo inarrestabile. Subito si impone
l'interrogativo quando una vita possa dirsi così segnata dal dolore, così penosa
da autorizzare la sua soppressione. Ai confini della vita, quindi, questa coscienza morale
innata dell'indisponibilità della vita umana si spegne fin troppo facilmente. A maggior
ragione dobbiamo lottare oggi per l'osservanza del quinto comandamento per il diritto alla
vita, dal concepimento fino alla morte, che ha il suo fondamento in Dio.
IL SESTO COMANDAMENTO
«Non commettere atti impuri»
Il nostro mondo ha fatto una virtù della costante disponibilità dell'Eros. Non
è comunque necessario essere un maniaco sessuale per chiedersi se l'impudicizia
(lussuria) sia davvero un peccato.
La versione originaria di questo comandamento nell'Antico Testamento suona in questo modo:
«Non commettere adulterio» (Es20,14; Dt5,18). Questo comandamento ha avuto quindi
dapprima un significato molto specifico. Riguardava l'inviolabilità del rapporto di
fedeltà tra marito e moglie, che non salvaguarda soltanto il futuro dell’uomo ma
che integra anche la sessualità nella totalità della persona umana, conferendole
solo cosi dignità e grandezza umana.
Questo è il cuore del comandamento. Non in un contatto occasionale, ma nel contesto di
un sì reciproco di due persone che così, implicitamente, pronunciano anche un
sì ai figli, nel matrimonio, quindi, la sessualità può avere la sua
dignità e grandezza umana. Solo lì lo spirito si fa corporeità e i sensi
spiritualità. Qui si realizza quella che abbiamo definito l'essenza dell'uomo, la sua
funzione di ponte, che fonde i due estremi della creazione, che solo così si possono
reciprocamente conferire grandezza e dignità.
Se diciamo che il luogo in cui può esplicarsi la sessualità è il
matrimonio, cioè un legame fondato su amore e fedeltà, che comporta premura
reciproca e disponibilità per il futuro, e che si inserisce quindi nelle finalità
complessive dell'umanità, ne consegue naturalmente che soltanto lì la
sessualità si umanizza e acquista la propria specifica dignità.
Indubbiamente la forza istintuale, innanzitutto in un mondo segnato in maniera così
totalizzante dall'erotismo, è così forte che il legame con questo luogo primario
della fedeltà e dell'amore si fa quasi incomprensibile. La sessualità è
diventata da tempo in grande stile merce da acquistare. Ma è anche evidente che
così si è disumanizzata, che quando mi servo del sesso come di una merce, senza
rispettare la persona umana, compio un abuso nei suoi confronti. Persone che si avviliscono a
merce, o che vi sono costrette e messe in vendita, ne risultano distrutte. E intanto dal
mercato del sesso si è sviluppato un nuovo mercato schiavistico. Quindi nell'istante in
cui la sessualità non affonda più le sue radici in una libertà che si
autovincola alla responsabilità reciproca, nel momento in cui non riconosce il proprio
fondamento nella totalità della persona umana, ne scaturisce necessariamente una logica
mercificante.
Torniamo un attimo al cuore del comandamento.
Questo comandamento riprende il messaggio della creazione: uomo e donna sono fatti l'uno per
l'altra. Lasceranno padre e madre e diventeranno una sola carne, dice la Genesi. Potremmo anche
dire, in prospettiva meramente biologica, che la natura ha inventato la sessualità al
fine della conservazione del genere. Ma ciò che consideriamo dapprima come elemento
puramente naturale, come mera realtà biologica, acquisisce forma umana nella comunione
tra uomo e donna. Costituisce una modalità di apertura dell’uomo ai suoi simili.
Una modalità che non consente soltanto lo sviluppo di legami e di fedeltà, ma che
crea anche lo spazio in cui l'uomo può crescere dal concepimento fino alla pienezza
della vita. In questo spazio ha inizio innanzitutto la convivenza umana. Ciò che
corrisponde dapprincipio a una legge biologica, a un trucco della natura, se così si
può dire, acquisisce una forma umana che consente la nascita di un legame d'amore e di
fedeltà tra uomo e donna, il che a sua volta permette il formarsi della famiglia.
Questo è il cuore di questo comandamento, che ci interpella dall'orizzonte della
creazione in cui affonda le sue radici. Quanto più profondamente lo si vive e lo si
approfondisce con la propria riflessione, tanto più evidente diventa il fatto che le
altre forme della sessualità non raggiungono la vera grandezza della vocazione umana.
Non corrispondono a ciò che vuole e deve essere la sessualità umanizzata.
In un capitolo successivo parleremo ancora di sesso. I Dieci Comandamenti, comunque, ci
istillano il sospetto di costituire una legge contraria alle leggi di natura. Proprio per
questo ci risulta così difficile osservarli, perché si contrappongono così
spesso agli istinti umani, alle nostre tendenze.
Certo. Naturalmente proprio il sesto comandamento racchiude in sé il messaggio della
natura. La natura regola l'esistenza di due generi che garantiscono la sopravvivenza della
specie - e questo vale in maniera particolare per esseri viventi che, quando escono dal grembo
materno, non sono affatto autosufficienti e abbisognano di lunghe cure.
L'uomo non è un essere nidifugo, bensì nidicolo. Da un punto di vista meramente
biologico, la razza umana è fatta in modo tale per cui quella versione allargata del
grembo materno che è l'amore del padre e della madre si rende a lungo necessaria per
consentire l'ulteriore crescita dell'uomo oltre lo stadio biologico primario. Il grembo materno
della famiglia è quasi una condizione di possibilità dell'esistenza.
Da questo punto di vista, il volto originario dell'uomo che qui si rivela ha un proprio
fondamento nelle leggi di natura. C'è bisogno di un legame reciproco permanente. Nel
contesto di questo legame uomo e donna si fanno dapprima reciprocamente dono di sé e
quindi fanno dono di sé ai figli, perché anche loro trovino un loro spazio nella
legge dell'amore, del darsi, del perdersi. Gli esseri nidicoli hanno bisogno esattamente della
fedeltà anche nel periodo posteriore al parto. Da questo punto di vista il messaggio del
matrimonio e della famiglia è fino in fondo una legge intrinseca alla creazione e non
entra in conflitto con la natura dell'uomo.
E tuttavia ci risulta estremamente difficile osservarla.
È vero che qui - come in tutti gli altri ambiti di cui abbiamo parlato - è
presente una controtendenza. C'è un eccesso di forza biologica. Si può notare
nella società moderna - anche nelle fasi più tarde di epoche precedenti, ad
esempio la Roma imperiale - un'aperta erotizzazione che incoraggia ulteriormente l'eccesso
istintuale e rende più difficile il suo ancoraggio nel matrimonio.
Torniamo a quanto abbiamo detto sulle quattro leggi. Ci sono due diversi ordini nella natura.
Il messaggio della natura ci rimanda a una tensione tra i due generi che li spinge l'uno verso
l'altra quale dinamica radicata profondamente nella natura e suscettibile di umanizzarsi nella
misura in cui crea uno spazio in cui l'uomo può crescere e dispiegare fino in fondo la
propria essenza. L'altro messaggio è la relativa tendenza alla promiscuità, o in
ogni caso a disporre arbitrariamente della sessualità senza ancorarla al contesto
familiare.
La differenza tra questi due piani in cui si manifesta il rapporto tra sessualità e
natura è ben riconoscibile in una prospettiva di fede. L'uno costituisce davvero il
messaggio della creazione. L'altro esprime l'aspirazione dell'uomo a disporre di se stesso. Per
questa ragione l’ancoraggio nel matrimonio costituisce una lotta continua. Vediamo
comunque che là ove si riesce a dominare l’istintualità, matura
l'umanità e i bambini non temono il futuro. In una società in cui le separazioni
sono divenute normali, i bambini sono i più danneggiati. I bambini sono la dimostrazione
del fatto che la convivenza fedele, il sostegno reciproco non sono solo giusti, ma
rappresentano anche quanto più è rispondente alle esigenze dell'uomo.
IL SETTIMO COMANDAMENTO
«Non rubare»
La proprietà altrui va rispettata, è un principio banale, ma che altro si cela
dietro a questo comandamento?
La dottrina della destinazione universale dei beni della creazione non è soltanto una
bella idea, deve anche funzionare. A questo si ricollega perciò la constatazione che
ognuno ha bisogno di una propria sfera di proprietà per poter soddisfare le esigenze
fondamentali dell'esistenza e deve perciò esistere l'ordine della proprietà che
ognuno deve rispettare. Da qui scaturisce naturalmente l'esigenza di una legislazione sociale
che conseguentemente vegli e impedisca l'abuso della proprietà privata.
Oggi vediamo più chiaramente che mai come ora gli uomini si autodistruggano vivendo
solo in funzione di ciò che possiedono, come si perdano innalzando ciò che
possiedono a idolo. Chi per esempio si sottomette totalmente alle leggi della borsa, non riesce
più sostanzialmente a pensare ad altro. Vediamo il potere che il mondo del possesso
esercita sugli uomini. Più hanno e più diventano schiavi perché devono
badare incessantemente alla conservazione e alla crescita del loro capitale.
La problematica della proprietà può essere chiaramente rintracciata anche nel
rapporto distorto tra primo e terzo mondo. Qui la proprietà privata non è
più correttamente subordinata alla destinazione universale dei beni. Anche qui devono
essere individuate forme legislative che difendano o instaurino un equilibrio tra queste
opposte esigenze.
Vediamo quindi come dietro la lettera del comandamento che impone il rispetto della
proprietà altrui emerga il riferimento a molti nodi reali. Comprende sia la salvaguardia
del diritto di ognuno a ricevere ciò che gli serve per vivere (e che anche in questo
deve essere rispettato), sia la responsabilità a fare uso della proprietà in modo
tale da non contraddire la missione complessiva della creazione e dell'amore del prossimo.
L'OTTAVO COMANDAMENTO
«Non mentire»
o «Non pronunziare falsa testimonianza»
Delle bugie stanno alla base dei racconti migliori, ma talvolta bugie anche piccole
diventano così grosse da abbattere il Presidente di una superpotenza o anche partiti con
responsabilità di governo, o magnati dei media. E la cosa singolare è che alla
fine non si riesce a tenere nascosto nulla.
Credo che qui si sottolinei il significato della verità come bene fondamentale
dell'uomo. Tutti i comandamenti sono comandamenti d'amore o risvolti di quell'unico
comandamento. Da questo punto di vista, hanno tutti molto esplicitamente a che vedere con il
bene della verità. Se mi allontano dalla verità o stravolgo la verità, se
cedo alla menzogna, danneggio spesso gli altri ma danneggio sempre anche me stesso.
E’ notorio che una piccola bugia si trasforma facilmente in un'abitudine, in un modo di
sgusciare attraverso la vita, di ricorrere in ogni occasione alla menzogna fino a rimanere
impigliato nella sua rete e a vivere in contrapposizione con la realtà. La menzogna
implica inoltre che ogni colpo inferto alla dignità della verità non solo umilia
l'uomo ma è anche una rozza offesa al comandamento dell'amore. Perché, se
sottraggo agli altri la verità, sottraggo loro un bene essenziale e li indirizzo sul
cammino sbagliato. Verità è amore, e un amore che si contrapponga alla
verità, stravolgerebbe se stesso.
IL NONO E IL DECIMO COMANDAMENTO
«Non desiderare la donna d'altri»
«Non desiderare la roba d'altri»
Questi due comandamenti, che sono strettamente legati, vanno al di là
dell'esteriorità, della fattualità per toccare le disposizioni interiori. Qui ci
viene detto che il peccato non ha inizio soltanto nell'istante in cui commetto adulterio o
sottraggo ingiustamente la proprietà altrui, ma che i peccati scaturiscono dagli stati
d'animo interiori. Non basta quindi fermarsi un attimo prima di aver commesso concretamente un
fatto, perché allora non è nemmeno più possibile, se io non ho custodito
dentro di me il rispetto per la persona altrui, per il suo matrimonio o per ciò che
possiede.
II peccato non ha quindi inizio con azioni esteriormente tangibili, ma già nel loro
terreno di coltura, nel sentimento dell'invidia, nel rifiuto interiore del bene dell'altro e
della sua stessa persona. Un'esistenza umana che non purifichi gli stati d'animo interiori non
può conseguentemente conservare un ordine morale nemmeno sul piano della
fattualità concreta. Questo comandamento fa direttamente appello al cuore dell'uomo.
Perché il cuore è l'autentico luogo originario da cui si dispiegano i fatti.
Anche solo per questo motivo deve rimanere per così dire puro e luminoso.
Quando Mosè, tra tuoni e fulmini, ha ricevuto in consegna sul Sinai le tavole della
legge, è insieme scoccata l'ora di nascita del libero individuo. Questa è
comunque la tesi del pubblicista ebreo-tedesco Hannes Stein. Ogni uomo, che sia signore o
schiavo, uomo o donna, deve rispondere di sé e delle sue azioni direttamente davanti a
Dio. Con l'Alleanza del Sinai nasce quasi il soggetto giuridico autonomo. È
un'affermazione azzardata dire che le fondamenta delle società liberali e democratiche
provengono non dall'antica Grecia ma dalla tradizione giudaico-cristiana?
Anch'io ho letto il libro di Hannes Stein e direi che offre spunti essenziali. Nella
dignità di ognuno, che sta individualmente di fronte a Dio rispondendo di sé, che
viene interpellato da Dio e viene indicato come persona nella formula dell'Alleanza, è
racchiuso in effetti il nucleo centrale dei diritti umani - l'uguale dignità dell'uomo -
e quindi l'autentico fondamento della democrazia.
Nella stessa Israele, dapprincipio, non erano previsti re ma solo giudici che dovevano
applicare la legge di Dio e vegliare perché rimanesse in vigore. Si mirava quindi
fondamentalmente ad una società completamente egalitaria, una specie di anarchia intesa
in senso positivo: nessuno domina se non Dio. E domina attraverso la sua legge, la sua parola,
i suoi comandamenti.
Quest'ordine sociale originario ha dovuto successivamente lasciare il posto a un riassetto
dettato da ragioni pragmatiche, di cui abbiamo già parlato. Non vorrei però per
questo sminuire il significato della democrazia greca, anche qui sono cresciuti elementi
importanti e si è sviluppato un modello pratico a cui ci si è potuti
successivamente riallacciare. Dobbiamo comunque mettere in chiaro che nella democrazia greca
solo individui liberi di sesso maschile detenevano il diritto di voto. Le donne non erano un
soggetto politico ed erano perciò escluse dal diritto di voto, come gli schiavi.
Poiché la libertà è limitata, la Grecia ci offre un esempio di democrazia
limitata. La parola biblica, al contrario, attribuisce pieno carattere di soggetto ad ogni
persona, per il fatto di essere immagine di Dio. Reca così effettivamente in sé -
è vero - le fondamenta delle costituzioni democratiche.