“La Chiesa di Roma presiede all’agape” (Rom I, 1)scrive
Ignazio di Antiochia.
Ignazio, vescovo ad Antiochia sull’Oronte, nota anche come Antiochia di Siria
(l’odierna Antakya in Turchia), viene deportato via mare fino a Roma, intorno
all’anno 110 sotto l’imperatore Traiano per divenire vittima dei giochi con le
belve feroci. Il viaggio appare, dall’epistolario, lentissimo, forse per la stagione non
favorevole. Non è dato di sapere se il suo martirio si svolga prima o dopo il famoso
“rescritto di Traiano”, databile tra il 111 ed il 113, con il quale
l’imperatore, rispondendo al governatore della Bitinia Plinio il giovane, emana la prima
legge ufficiale sul cristianesimo, affermando che “i cristiani non debbono essere
ricercati”, ma “debbono essere puniti se accusati” in forma non anonima. La
nave fa scalo in vari porti del Mediterraneo e le comunità cristiane locali accorrono a
salutare il vescovo deportato ed egli ne approfitta per scrivere, esortando ad essere fedeli al
proprio vescovo.
Una lettera – quella nella quale compare la nostra espressione - è indirizzata
ai cristiani di Roma, scritta affinché essi non si adoperino per la salvezza fisica dal
martirio di Ignazio. Egli scrive perché già i cristiani di Roma possono
intercedere presso l’imperatore? Essi sono già così vicini alla casa
imperiale? Allo stato attuale delle conoscenze non ci è dato saperlo. Come che stiano le
cose, egli si rivolge ai cristiani della Chiesa di Roma, chiamandola la “Chiesa che
presiede all’agape”. Nonostante incertezze sul significato preciso
dell’espressione – agape come “culto eucaristico”, “celebrazione
eucaristica” oppure come equivalente a “Chiesa tutta” in quanto tale, a
“comunione delle Chiese” – è evidente che un vescovo proveniente da
una lontana Chiesa dell’Oriente già riconosce, agli inizi del II secolo, un
primato alla Chiesa di Roma. Se l’intervento di Roma nelle questioni interne della Chiesa
di Corinto è chiaramente testimoniato nella I lettera di Clemente degli anni 96-98
circa, la lettera ai Romani di Ignazio, di poco successiva, è la prima manifestazione a
noi pervenuta di un riconoscimento esplicito della preminenza della Chiesa di Roma.
Il testo che presentiamo on-line è di mons.Giovanni Falbo, tratto dal volume G.Falbo,
Il primato della Chiesa di Roma alla luce dei primi quattro secoli., Coletti, Roma, 1989, pp.
119-122. L’autore, pur sottolineando le diverse sfumature che i diversi studiosi colgono
dell’espressione “presiedere nella carità”, mostra come essa non possa
essere intesa riduttivamente come semplice esemplarità morale a motivo di una maggiore
carità, ma vada intesa come vero riconoscimento di una autorità e di una
dignità che già viene affermata, immediatamente a ridosso del periodo
apostolico.
Mettiamo a disposizione on-line, subito dopo il testo di G.Falbo, per una maggior
intelligibilità dell’importanza della lettera in questione, il testo integrale
della Lettera ai Romani di Ignazio d’Antiochia
L’Areopago
Dobbiamo prendere in considerazione soprattutto le due espressioni
“προκαθηται” e
“προχαθημενη”. La prima non
regge alcun complemento: non si dice a chi o a che cosa la Chiesa romana presieda; è
dunque un verbo costruito in modo intransitivo. La Chiesa romana semplicemente
“presiede” e svolge il suo ufficio di presidenza in un luogo ben determinato, che
è il territorio dei Romani. La natura di questa presidenza è precisata nella
seconda espressione: “προκαθημενη
της αγαπης”, cioè “preposta
alla carità”. A.Harnack risolve il problema apparentemente alla maniera più
semplice: la Chiesa di Roma si distingue su tutte le altre per la carità. Si tratta
dunque di supremazia in una virtù, in quanto la comunità cristiana di Roma, sia
per essere al centro dell’impero, sia per avere maggiori mezzi a disposizione, è
stata sempre caritatevole verso le altre comunità cristiane che versavano nel bisogno. E
questa sua generosità le vale il titolo di presidente della carità. Ma
questa interpretazione, nonostante che sia tenuta in genere dagli studiosi protestanti,
tranne qualche eccezione, a un esame più approfondito si rivela semplicistica,
perché non tiene conto della valenza della parola “agape” in S.Ignazio,
quando è usata nel contesto ecclesiale, e inoltre rappresenta una forzatura
grammaticale, perché, come nota il Funk,
“προκαθημενη” si costruisce
solo con nomi di luoghi o di persone, non con nomi astratti, come le virtù. Per quanto
riguarda l’uso del termine “αγαπη” dobbiamo notare
che nello stile di Ignazio talvolta è usato per metonimia al posto di
“εκκλησια”:
“αγαπη
Σμυρναιων και
Εφεσιων”, “η
αγαπη των
εκκλησιων”, “η
αγαπη των αδελφων
των εν Τρωαδι”,
“Ασπαζεται υμας
η αγαπη των
αδελφων των εν
Τρωαδι”. Possiamo dire che è proprio del misticismo
di Ignazio il penetrare, al di la della scorza, nella sostanza teologica e soprannaturale delle
realtà ecclesiali; per cui vede la Chiesa come amore in quanto animata e guidata dallo
Spirito Santo che è l’amore e in quanto vincolo di
“κοινωνια” che unisce tutti i membri
della Chiesa, altro non è che la vita stessa di Dio che, secondo la definizione di
Giovanni, è amore e, infine, in quanto le relazioni dei cristiani tra loro sono regolate
dall’amore che diventa anche di fronte al mondo il segno di riconoscimento della vera
Chiesa di Cristo.
L’interpretazione del Funk, in base ai parallelismi terminologici notati, del
termine “αγαπη” come sinonimo di “Chiesa
universale” è molto suggestiva e viene seguita, anche se con le dovute riserve,
tra gli altri dal Batiffol, il quale afferma: “Questa è l’argomentazione del
Funk, argomentazione che indica una possibilità piuttosto che una conclusione
certa. Il Funk ritiene che la supremazia della Chiesa romana sia affermata più dal
termine “προκαθηται” che
dall’espressione
“προκαθημενη της
αγαπης”. Con il Funk, noi crediamo che Ignazio avesse
fede in questa supremazia...”.
A.Ehrhard e J. Thiele, pur muovendosi in fondo in questo orizzonte di idee, si dissociano
da una interpretazione troppo rigida ed esclusiva del termine
“αγαπη” come sinonimo di Chiesa universale,
appellandosi alle antiche versioni della lettera e notando che tale interpretazione
sarebbe fuori del contesto del pensiero di Ignazio. In particolare Thiele ritiene che si debba
dare al termine “αγαπη” in questo contesto un senso
più vasto e più ricco: la totalità della vita soprannaturale portata da
Cristo nel mondo. Come si vede, non cambia eccessivamente la sostanza
dell’interpretazione, dato che la vita soprannaturale altro non è che
l’aspetto interiore della Chiesa. Quindi, il Thiele, a nostro parere, rispetto
all’interpretazione del Funk, pur non rinnegandola nella sostanza, giustamente la
libera da uno schema giuridico rigido e le dà un respiro più ampio.
Per gli altri autori intervenuti nel dibattito ci sembra doveroso citare particolarmente
O.Perler che, dopo uno studio approfondito e particolareggiato, conclude che la Chiesa di
Roma, secondo Ignazio di Antiochia ha la prerogativa di esser di guida nella fede e
nell’amore.
In conclusione, se si eccettua l’interpretazione restrittiva di Harnack, ogni altro
intervento ha il merito di lumeggiare un particolare punto di vista per la comprensione sempre
migliore del termine αγαπη che in Ignazio di Antiochia è quanto
mai pregno di significato. Quali che siano le sfumature che si ritiene di privilegiare, non si
può non farsi l’idea di una preminenza della Chiesa di Roma, che non può
essere di natura semplicemente esemplare, perché si tratterebbe di qualcosa di
aleatorio, mentre tutto il tono della lettera suppone delle qualità che sono stabili e
spettano di diritto.
Ignazio, Teoforo, a colei che ha ricevuto misericordia nella magnificenza del Padre altissimo e di Gesù Cristo suo unico figlio, la Chiesa amata e illuminata nella volontà di chi ha voluto tutte le cose che esistono, nella fede e nella carità di Gesù Cristo Dio nostro, che presiede nella terra di Roma, degna di Dio, di venerazione, di lode, di successo, di candore, che presiede alla carità, che porta la legge di Cristo e il nome del Padre. A quelli che sono uniti nella carne e nello spirito ad ogni suo comandamento piene della grazia di Dio in forma salda e liberi da ogni macchia l'augurio migliore e gioia pura in Gesù Cristo, Dio nostro.
I,1. Dopo aver pregato Dio ho potuto vedere i vostri santi volti ed ottenere più di quanto avevo chiesto. Incatenato in Gesù Cristo spero di salutarvi, se è volontà di Dio che io sia degno sino alla fine. 2. L'inizio è facile a compiersi, ma vorrei ottenere la mia eredità senza ostacoli. Temo però che il vostro amore mi sia nocivo. A voi è facile fare ciò che volete, a me è difficile raggiungere Dio se non mi risparmiate.
II,1. Non voglio che voi siate accetti agli uomini, ma a Dio come siete accetti. Io non avrò più un'occasione come questa di raggiungere Dio, né voi, pur a tacere, avreste a sottoscrivere un'opera migliore. Se voi tacerete per me, io diventerò di Dio, se amate la mia carne di nuovo sarò a correre. 2. Non procuratemi di più che essere immolato a Dio, sino a quando è pronto l'altare, per cantare uniti in coro nella carità al Padre in Gesù Cristo, poiché Iddio si è degnato che il vescovo di Siria, si sia trovato qui facendolo venire dall'oriente all'occidente. È bello tramontare al mondo per il Signore e risorgere in lui.
III,1. Non avete mai insediato nessuno, avete insegnato agli altri. Desidero che resti fermo ciò che avete insegnato. 2. Per me chiedete solo la forza interiore ed esteriore, perché non solo parli, ma anche voglia, perché non solo mi dica cristiano, ma lo sia realmente. Se io lo sono potrei anche essere chiamato e allora essere fedele quando non apparirò al mondo. 3. Niente di ciò che è visibile è buono. Dio nostro Signore Gesù Cristo essendo nel Padre si riconosce maggiormente. Non è opera di persuasione ma di grandezza il cristianesimo, quando è odiato dal mondo.
IV,1. Scrivo a tutte le Chiese e annunzio a tutti che io muoio volentieri per Dio, se voi non me lo impedite. Vi prego di non avere per me una benevolenza inopportuna. Lasciate che sia pasto delle belve per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo. 2. Piuttosto accarezzate le fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo ed io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo. Pregate il Signore per me perché con quei mezzi sia vittima per Dio. 3. Non vi comando come Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io un condannato; essi erano liberi io a tuttora uno schiavo. Ma se soffro sarò affiancato in Gesù Cristo e risorgerò libero in lui. Ora incatenato imparo a non desiderare nulla.
V,1. Dalla Siria sino a Roma combatto con le fiere, per terra e per mare, di notte e di giorno, legato a dieci leopardi, il manipolo dei soldati. Beneficati diventano peggiori. Per le loro malvagità mi alleno di più «ma non per questo sono giustificato». 2. Potessi gioire delle bestie per me preparate e m'auguro che mi si avventino subito. Le alletterò perché presto mi divorino e non succeda, come per alcuni, che intimorite non li toccarono. Se incerte non volessero, le costringerò. Perdonatemi, so quello che mi conviene. 3. Ora incomincio ad essere un discepolo. Nulla di visibile e di invisibile abbia invidia perché io raggiungo Gesù Cristo. Il fuoco, la croce, le belve, le lacerazioni, gli strappi, le slogature delle ossa, le mutilazioni delle membra, il pestaggio di tutto il corpo, i malvagi tormenti del diavolo vengano su di me, perché voglio solo trovare Gesù Cristo.
VI,1. Nulla mi gioverebbero le lusinghe del mondo e tutti i regni di questo secolo. È bello per me morire in Gesù Cristo più che regnare sino ai confini della terra. Cerco quello che è morto per noi; voglio quello che è risorto per noi. Il mio rinascere è vicino. 2. Perdonatevi fratelli. Non impedite che io viva, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo né seducete con la materia chi vuol essere di Dio. Lasciate che riceva la luce pura; là giunto sarò uomo. 3. Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio. Se qualcuno l'ha in sé, comprenda quanto desidero e mi compatisca conoscendo ciò che mi opprime.
VII,1. Il principe di questo mondo vuole rovinare e distruggere il mio proposito verso Dio. Nessuno di voi qui presenti lo assecondi. Siate piuttosto per me, cioè di Dio. Non parlate di Gesù Cristo, mentre desiderate il mondo. Non ci sia in voi gelosia. 2. Anche se vicino a voi vi supplico non ubbiditemi. Obbedite a quanto vi scrivo. Vivendo vi scrivo che bramo di morire. La mia passione umana è stata crocifissa, e non è in me un fuoco materiale. Un'acqua viva mi parla dentro e mi dice: qui al Padre. 3. Non mi attirano il nutrimento della corruzione e i piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David e come bevanda il suo sangue che è l'amore incorruttibile.
VIII,1. Non voglio più vivere secondo gli uomini. Questo sarà se voi lo volete. Vogliatelo perché anche voi potreste essere voluti da Lui. Ve lo chiedo con poche parole. 2. Credetemi, Gesù Cristo vi farà vedere che io parlo sinceramente; egli è la bocca infallibile con la quale il Padre ha veramente parlato. 3. Chiedete per me che lo raggiunga. Non ho scritto secondo la carne, ma secondo la mente di Dio. Se soffro mi avete amato, se sono ricusato, mi avete odiato.
IX,1. Ricordatevi nella vostra preghiera della Chiesa di Siria che in mia vece ha Dio per pastore. Solo Gesù Cristo sorveglierà su di essa e la vostra carità. 2. Io mi vergogno di essere annoverato tra i suoi, non ne sono degno perché sono l'ultimo di loro e un aborto. Ma ho avuto la misericordia di essere qualcuno, se raggiungo Dio. 3. Il mio spirito vi saluta e la carità delle Chiese che mi hanno accolto nel nome di Gesù Cristo e non come un viandante. Infatti, pur non trovandosi sulla mia strada fisicamente mi hanno preceduto di città in città.
X,1. Questo vi scrivo da Smirne per mezzo dei beatissimi efesini. Con me tra
molti altri vi è Croco, nome a me caro. 2. Credo che voi conoscerete coloro che mi hanno
preceduto dalla Siria a Roma nella gloria di Dio. Avvertiteli che sono vicino. Tutti sono degni
di Dio e di voi: è bene che li confortiate in ogni cosa.
Vi scrivo nove giorni prima delle calende di settembre. Siate forti sino alla fine nell'attesa
di Gesù Cristo.
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