Le riflessioni del card.M.Ouellet che vi presentiamo on-line introducono
ad una riflessione – ancora non conclusa – sulla questione, di grande rilevanza
teologica e pastorale, chi siano i ministri del matrimonio: è il marito a conferire alla
moglie il sacramento, e viceversa, o è il ministro ordinato? Le diverse tradizioni
liturgiche dell’Occidente e dell’Oriente spingono lo sguardo, secondo M.Ouellet, a
meglio comprendere il ministero della coppia nella sua unità ed il ministero della
Chiesa significato dal ministero ordinato.
Il testo è tratto da La celebrazione del sacramento del matrimonio nella
missione della Chiesa , trascrizione di una conferenza tenuta a Lourdes il 5
novembre 2001, pubblicata in M.Ouellet, Divina somiglianza. Antropologia trinitaria
della famiglia , Lateran University Press, Roma, 2004, pp.265-288. Il cardinal Marc
Ouellet ha insegnato Teologia dogmatica presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, prima
di divenire Arcivescovo di Quèbec e Primate del Canada.
L’Areopago
La celebrazione sacramentale del matrimonio di due battezzati è un
avvenimento altamente simbolico che introduce un amore coniugale nascente nel mistero
dell’amore nuziale di Cristo per la Chiesa. Questo rito sacro non è soltanto un
punto di partenza per un itinerario, è una consacrazione che abbraccia tutta la vita
della coppia e della famiglia e che ne fa un’offerta al Signore. Questa offerta viene
accolta, benedetta e ridonata ai nuovi sposi come una “missione” da Lui ricevuta e
destinata a glorificare Dio nella carne...
Per questo conviene decisamente che la celebrazione sacramentale porti in sé tutte le
componenti che entrano in gioco per la riuscita sacramentale del matrimonio: l’impegno
essenziale dei coniugi, la presenza del testimonio qualificato, l’epiclesi consacratoria,
l’offerta eucaristica.
In primo piano, e in maniera insostituibile, la ministerialità degli sposi. La
Commissione Teologica Internazionale, nel suo documento sulla sacramentalità del
matrimonio cristiano, analizza così il significato dei ministri del matrimonio:
Poiché il sacramento del matrimonio è la libera consacrazione a Cristo dell’amore coniugale nascente, i coniugi sono evidentemente i ministri di un sacramento che li riguarda al massimo. Tuttavia, non sono ministri in forza di un potere che si potrebbe dire “assoluto” e nell’esercizio del quale la Chiesa, strettamente parlando, non avrebbe niente da dire. Sono ministri in quanto membri vivi del corpo di Cristo in cui essi emettono il loro giuramento, senza che mai la loro decisione, che è insostituibile, faccia del sacramento una pura e sola emanazione del loro amore. [...j Perciò nessuna coppia si scambia il sacramento del matrimonio senza il consenso della Chiesa stessa e in forma diversa da quella che la Chiesa stabilisce come la più espressiva del mistero in cui il sacramento introduce gli sposi [1].
Sebbene essenziale, la ministerialità degli sposi non è
assoluta, né isolata; essa si esercita in presenza di testimoni, sacerdoti e laici, che
conferiscono un carattere pubblico al rito in rappresentanza della Chiesa. Anche se
l’opinione che gli sposi siano i ministri del sacramento non costituisce
l’unanimità tra i teologi, è considerata come opinione comune ed è
avallata dal CCC: “Nella Chiesa latina. si considera abitualmente che sono gli sposi,
come ministri della grazia di Cristo, a conferirsi mutuamente il sacramento del matrimonio
esprimendo davanti alla Chiesa il loro consenso” (1623). Un approfondimento mi sembra
tuttavia ancora auspicabile per meglio integrare questa ministerialità singolare degli
sposi in una prospettiva più teologica che giuridica. A questo fine, è rilevante
sottolineare l’importanza della presenza del ministro ordinato, che simboleggia il
Cristo-Sposo, la cui benedizione epicletica non dovrebbe essere sottovalutata. La tradizione
orientale è ricca di insegnamento a tal proposito e merita di essere accolta, non tanto
per mettere in dubbio la tradizione latina, quanto per meglio inquadrare e rafforzare la
ministerialità degli sposi grazie all’apporto simbolico complementare del ministro
ordinato. Il CCC vi fa esplicito riferimento al n. 1623: “Nelle liturgie orientali, il
ministro del sacramento (chiamato “Incoronazione”) è il presbitero o il
vescovo che, dopo aver ricevuto il reciproco consenso degli sposi, incorona successivamente lo
sposo e la sposa in segno dell’alleanza matrimoniale” [2].
“Nella tradizione orientale, il prete deve non solamente assistere, ma
benedire il matrimonio. Benedire significa agire come vero ministro del sacramento,
in virtù del suo potere di santificazione sacerdotale perché gli
sposi siano uniti da Dio a immagine dell’unione nuziale indefettibile
di Cristo con la Chiesa, e siano consacrati dalla grazia sacramentale”
[3]. Nella prospettiva teologica
e canonica delle Chiese orientali, la benedizione è dunque richiesta
per la validità del sacramento, legata all’epiclesi sacerdotale
per mezzo della quale gli sposi ricevono lo Spirito Santo come comunione di
amore di Cristo e della Chiesa. «L’azione dello Spirito Santo, e
non l’azione dei coniugi, è primordiale; l’atto costitutivo
del matrimonio è un rito sacro» [4].
Senza alcun dubbio, è lo scambio dei consensi tra gli sposi, considerato
come l’elemento indispensabile “che fa il matrimonio”. Ma
perché il matrimonio diventi, secondo le parole di san Paolo “mistero
grande, che si riferisce a Cristo e alla Chiesa” (Ef,5,32), perché
sia “nel Signore”, si richiede l’intervento del sacerdozio
ministeriale della Chiesa alla quale Cristo ha affidato la celebrazione e l’amministrazione
dei sacramenti, sorgente della grazia redentrice. Tale è la prospettiva
più “misterica” della tradizione orientale che, per delle
ragioni teologiche ed ecumeniche, dovrebbe esser presa in considerazione per
un riavvicinamento delle due prospettive. Nelle due tradizioni, è la
Chiesa che rimane segno e garante del dono dello Spirito Santo che gli sposi
ricevono impegnandosi l’uno verso l’altra come cristiani. “Si
potrebbe dire che il ruolo del sacerdote nel diritto orientale è quello
di un benedicente e, nel diritto latino, quello di un assistente” [5].
“In un tentativo, dunque, di soluzione coerente tra le prospettive latina
ed orientale, si potrebbe affermare che i ministri del sacramento del matrimonio
sono gli sposi e il sacerdote benedicente” [6].
Questa presenza del ministro ordinato (vescovo, sacerdote o diacono) aggiunge
inoltre un riferimento alla gratuità del dono di Cristo, il cui l’amore
crocifisso oltrepassa sempre la dimensione “di elevazione” dell’eros
naturale. In quanto agape che assume, riscatta e trasfigura l’eros, esso
è rappresentato dal ministro idoneo a presiedere l’Eucaristia.
[Nota 1] Commissione Teologica Internazionale, La sacramentalità del matrimonio cristiano. Sedici tesi di cristologia sul sacramento del matrimonio, 1977: EV 6, 472.
[Nota 2] Il testo è stato leggermente modificato nella versione latina definitiva del 1997, a svantaggio della tradizione orientale: “Nelle tradizioni orientali, i sacerdoti, vescovi o presbiteri, sono testimoni del consenso reciproco scambiato tra gli sposi, ma anche la loro benedizione è necessaria per la validità del sacramento”. Benché il CCC parli in questi termini, Bernard de la Sanjeole ha ricordato recentemente che la questione degli sposi, ministri del sacramento del matrimonio, non è una dottrina ufficiale, ma un’opinione teologica, che sarebbe meglio rivedere da un punto di vista ecumenico: cfr. “Aspects oecuméniques de la question du ministre du mariage”, in Revue Thomiste, t.101 (2001) 565-580.
[Nota 3] Congregazione per le Chiese Orientali, Istruzione per l’applicazione delle prescrizioni liturgiche del Codice dei canoni delle Chiese Orientali (6 gennaio 1966), LEV.
[Nota 4] R.Metz, Les nouveaux droits des Eglises orientales catholiques, Paris, 1977, 213.
[Nota 5] Ibidem, 214; cfr. U.Navarrete, Jus matrimoniale latinum et orientale. Collatio sacramenti matrimonii in Ecclesia latina et in Ecclesibus orientalibus: tentatam explicationis concordantis”, in Periodica 84 (1995) 729-733.
[Nota 6] D.Salachas, “Le sacrement de mariage dans les deux Codes », in L’Année canonique 40 (1998), 119-149.