Una introduzione al vangelo di Matteo.
Conferenza di mons.Gildo Manicardi, rettore dell’Almo Collegio Capranica, tenuta presso il Centro culturale L’Areopago della parrocchia di S.Melania il 25 febbraio 2005 (tpfs*)

Il testo che mettiamo a disposizione è stato trascritto dalla viva voce dell’autore e conserva pertanto il carattere di testo parlato e non elaborato per una versione scritta. Non è stato rivisto dall’autore.

L’Areopago


d.Andrea Lonardo
Abbiamo il grande onore di avere con noi don Gildo Manicardi, della Diocesi di Carpi, che da un anno è il nuovo Rettore dell’Almo Collegio Capranica. Voi conoscete soprattutto il Seminario Maggiore perché da questa grande istituzione educativa vengono don Francesco Pesce e don Andrea Di Camillo. Io ho studiato, invece, al Collegio Capranica e sono perciò “capranicense”. Il Collegio Capranica è forse il primo istituto sorto con lo specifico scopo della formazione dei futuri sacerdoti. Fu un’intuizione dei due cardinali Capranica – da qui il nome - che cominciarono a pensare ad una istituzione che curasse la formazione e lo studio di chi doveva diventare sacerdote. La data ufficiale di fondazione è il 1457 – siamo solo 4 anni dopo, per dare una data di riferimento, la caduta di Costantinopoli. Pensate che solo un secolo dopo, nel 1563, il Concilio di Trento istituì i Seminari per la formazione dei nuovi sacerdoti. Il Capranica precorse di 100 anni questo evento! Noi ci vantiamo di queste origini antiche e del fatto che il Collegio ha continuato la sua esistenza anche quando tanti antichi collegi, nati per lo stesso scopo, sono poi stati unificati nei seminari diocesani. Ho mostrato a qualcuno di voi la cartellina nella quale conservo tanti documenti della vita del Capranica ed, in particolare, i cosiddetti “quaderni di S.Agnese”, le pubblicazioni satiriche che vengono prodotte dagli alunni per il 21 gennaio, giorno della festa di S.Agnese che è la patrona del Capranica.
Tutti noi ex-alunni siamo legati a quella che si chiama la “famiglia capranicense”. Don Gildo è stato dieci anni al Capranica come alunno e quest’anno è stato nominato Rettore.
Ma il motivo per cui accogliamo questa sera d.Gildo è la sua competenza di biblista. La sua tesi di laurea è sul Vangelo di Marco, come molte altre pubblicazioni che si sono succedute. Ha insegnato per tanti anni il Nuovo Testamento, oltre ad essere oggi Preside della Nuova Facoltà Teologica di Bologna.
Oggi gli abbiamo chiesto di fare per noi un’introduzione al vangelo di Matteo per aiutarci a comprendere alcune caratteristiche di questo vangelo e per poterlo leggere più attentamente durante quest’anno liturgico, che è l’anno A, dedicato appunto a Matteo.

mons.Gildo Manicardi
Io sono a Roma da pochi mesi. Con mia grandissima sorpresa, dopo essere stato nominato il 29 marzo scorso, preside della Facoltà di teologia dell’Emilia Romagna per quattro anni, sono stato nominato a giugno Rettore dell’Almo Collegio Capranica. Il Collegio Capranica, essendo nato prima del Concilio di Trento, non dipende dalla congregazione dei seminari. Il Rettore del Capranica viene nominato direttamente dal Santo Padre perché nei secoli abbiamo difeso queste autonomie. A Roma i capranicensi abitano nel luogo che si ritiene essere l’antica casa di S.Agnese. Il primo dei due cardinali di cui parlava don Andrea, Domenico Capranica, nel 1457 (era nato nel 1400 e si era laureato nel 1422 a Bologna) pensò a quello che sarebbe diventato un seminario e decise di prendere a casa con sé ragazzi da mantenere - si chiama Almo per questo (N.d.C. almus significa in latino “che nutre”, “che dà vita”). Metteva a disposizione la sua biblioteca per prepararli al sacerdozio. E’ senz’altro il primo seminario di Roma, forse il primo del mondo. Non sappiamo come gli sia nata questa idea, di riunire ragazzi da avviare al cammino ecclesiastico. Questo avvenne nella sua casa di allora, edificata sopra la casa di S.Agnese, grande santa romana, alla quale fu poi dedicato il collegio. A Bologna mi prendevano in giro: “Un seminario di maschi dedicato a S.Agnese?”. Mi difendevo dicendo: “Volevate che fossimo dedicati a S.Luigi Gonzaga, nostro conterraneo, che è venuto un secolo e mezzo dopo, o a S.Carlo Borromeo?” Voglio ricordare un’altro riferimento che riguarda Roma: sembra che molti capranicensi siano morti nel sacco di Roma del 1527. Erano a Borgo S.Spirito e morirono quasi tutti, per difendere il Papa. Quando sono rientrato al Capranica, ho visto che sulla lapide c’era scritto: “Fere omnes vitam profuderunt, rectore suo duce” (N.d.C. “quasi tutti sparsero la vita, avendo il loro rettore come guida”). Il Capranica ha molti legami con Roma, ma adesso si è anche un po’ internazionalizzato. Questa, quindi, è una delle mie prime uscite pastorali a Roma.

Che cosa è un vangelo? Credo che tutti sappiamo molto bene cosa vuol dire la parola vangelo. Nel linguaggio di oggi il termine vangelo sarebbe da tradursi con evangelizzazione, un annuncio di una buona notizia. L’espressione greca “to evangelion”, se la traducessimo oggi, diventerebbe “evangelizzazione” – è, originariamente, un nomen actionis, indica un’azione, non indica assolutamente dei libretti. Per l’italiano medio, se esiste, “vangeli” sembra significare un genere di libretti. Invece, la parola vangelo, nel cristianesimo primitivo, indica l’evangelizzazione, il fatto che ci sia un annuncio che dice che Gesù è risorto dai morti: questo è il vangelo di Dio. I quattro libretti che noi chiamiamo vangeli, non si chiamavano così all’inizio. “Vangelo” è un titolo che si è affermato nel corso del II secolo, un secolo dopo la genesi dei vangeli, la loro comparizione.

All’inizio si chiamavano “katà” (secondo) Marco, Luca, Matteo, Giovanni. Per tradurre con un linguaggio oggi comprensibile, diciamo che questa espressione “secondo”, corrisponde al nostro “alla”: “alla Marco”, “alla Matteo” – più o meno, potremmo dire, “alla maniera di Marco”, “alla maniera di Matteo”. E’ anche un po’ misterioso il perché portino questi nomi, che sono attestati da sempre. Ad un certo punto nel corso del II secolo, troviamo l’espressione “le memorie degli apostoli, chiamate anche vangeli” e da lì in avanti questo termine si precisa sempre di più, nel senso che viene sempre più legato a queste opere. Cosa sono allora questi libretti se scolliamo loro l’etichetta “vangelo”? Sono raccolte di tradizioni su Gesù. Attorno all’avvenimento Gesù, coloro che hanno creduto in lui, hanno cominciato anche a raccontare qualcosa. All’inizio non hanno raccontato tanto la vita di Gesù, le sue vicende biografiche. Hanno proclamato che era risorto e hanno raccontato come era morto. Nei vangeli la parte costitutiva è il racconto della passione e qualcosa sulla resurrezione. Perché la resurrezione non è tanto raccontabile. Nemmeno Mel Gibson c’è riuscito, ha girato solo l’ultima scena, allusiva alla resurrezione! La tradizione intorno a Gesù si incentra sulla sua resurrezione il terzo giorno, sulla sua morte, interpretata nel suo significato di morte per i nostri peccati. Certamente è stato molto importante il racconto della sua esecuzione, della sua morte e del procedimento giuridico, assolutamente ingiusto, che ha condotto alla sua fine.

Poi, probabilmente spinti da alcune curiosità, legittime in chi crede in Gesù, sono venute fuori anche altre narrazioni. Per esempio narrazioni di guarigioni, di esorcismi, narrazioni che contenevano parole importanti. Per esempio: cosa pensava Gesù sul matrimonio, o sul ripudio? S.Paolo nelle sue lettere non risolve quasi mai i problemi risalendo alla vita di Gesù, ma dicendo “se lui è morto e risorto per noi, noi dunque...” e tira le conseguenze. “Se il Signore è morto per farci morire al peccato, come vivremo nel peccato?” Paolo ragiona di solito in questi termini, a partire dal senso profondo della morte e resurrezione del Signore.

Molto presto probabilmente si sono raccolte delle piccole tradizioni. Per esempio bellissime parabole di Gesù. Secondo Gesù, chi è il prossimo? Oppure: come mai la nostra predicazione non funziona, pure se così importante? Allora viene in mente la parabola del seminatore. Questi materiali sono stati poco a poco “creati”. Dalla vicenda di Gesù nacquero dei racconti che servivano per arricchire la fede in Gesù, questi racconti appartenevano all’evangelizzazione. Ad un certo punto in queste comunità si evangelizzava anche ricordando alcuni tratti, alcuni insegnamenti della vita di Gesù. In un sistema che dovete immaginare “a piccoli pezzi”, non vennero creati subito i vangeli. Anzi i vangeli non danno neanche l’impressione - adesso sono un po’ massimalista, poi nel dibattito potremo chiarire - di essere scritti da testimoni oculari. Quindi chi voglia capire il vangelo deve stare molto attento.

Non è come insegnava il mio libro di letteratura greca quando io facevo il liceo, affermando che i vangeli sono opere semplicissime. La letteratura greca del Perrotta, diceva sostanzialmente su questo punto: “All’interno dell’ellenismo ci sono anche queste cose popolari, molto carine, che si chiamano i vangeli”. Tutto il resto della mia vita è stato dedicato alla confutazione di questa frase. In realtà abbiamo dei racconti in una tradizione che va profilandosi, diversificata a seconda delle comunità, secondo le cose che venivano a sapere questi uomini della vicenda di Gesù e da testimoni oculari che nel frattempo erano però diventati ministri della Parola. Gente cioè che era stata con Gesù di Nazareth, che magari se l’era data a gambe durante la Passione, e che adesso credeva alla Resurrezione e quindi raccontava quello che aveva vissuto, ma con quella maggiore chiarezza che veniva dalla resurrezione. Non come imbroglio, ma con l’evidenza che si ha quando il passato è veramente accaduto e ha avuto degli esiti, prima non attesi. Lo facciamo normalmente: “Già da bambino, si vedeva che Mario Rossi era molto devoto, che sarebbe diventato prete”, oppure “Era ribelle e così si spiega oggi la sua energia, una volta divenuto prete”. Sono frasi dette col senno di poi. Nei vangeli c’è quindi la vicenda di Gesù, quello che i testimoni hanno detto, ma solo quando sono diventati ministri della Parola. I vangeli sono pieni della resurrezione di Gesù. Non ci sono semplicemente i racconti: “Ha fatto questo miracolo”.

Faccio un esempio. Quando Gesù allunga una mano e tira su il paralitico e dice a lui “Alzati”, certamente è una cosa storica. Ma mentre dice “Alzati” il narratore legge “Risorgi, svegliati” – infatti, impiega lo stesso verbo usato per la resurrezione. Trovate di continuo questa stupenda interazione. Nella Chiesa primitiva, per un certo tempo, ci furono questi racconti. Forse vennero fatte anche delle collezioni, per esempio parabole di Gesù che riguardano il seme, oppure una collezione di dispute, oppure una collezione di insegnamenti sulla famiglia. Se voi andate al capitolo 10 di Marco, lì si sospetta, ad esempio, che ci sia una raccolta. C’è un testo sul matrimonio, uno sui bambini e uno sulle ricchezze. Minaccia di essere un catechismo familiare: coppia, bambini, soldi, è una tripletta di notevole interesse. Naturalmente allora in questi racconti voi trovate schematizzata, secondo dei punti di vista contenutistici, non delle cose inventate, ma delle cose raccolte: i vangeli sono delle raccolte. Raccolte su raccolte.

Quando nascono i vangeli? Oggi, malgrado delle dispute, siamo riusciti a capire che il vangelo più antico tra quelli che abbiamo, forse il primo - di questo non siamo sicuri - è quello di Marco. Il vangelo di Marco è databile, secondo me senza dubbi, tra il 60 e il 66-67. Dalla morte di Gesù è passata una generazione. Marco è probabilmente il primo che ha pensato di fare una raccolta di queste vicende di Gesù impostandole in questo modo, cioè culminandole con la sua morte e poi con il racconto della tomba vuota, trovata vuota la mattina di Pasqua. E premettendo una serie di narrazioni secondo uno schema molto semplice: Gesù appare in Galilea, è in cammino, ad un certo punto si dirige verso Gerusalemme, arriva a Gerusalemme, un ministero nel Tempio molto importante, l’incontro con l’intellighenzia religiosa ebraica e la catastrofe della morte. Una catastrofe voluta da Dio, perché tutto il dramma dei vangeli è che il Signore Gesù muore per le scelte concrete degli uomini, ma in realtà muore per un disegno di Dio su di lui. Gesù muore in libertà ed in obbedienza al Padre, mentre intorno a lui, più o meno brillantemente, si affaticano i Pilato, i Caifa, i Pietro, i Giuda. C’è tutta questa trama umana. Tutta vera, tutta corresponsabilità di libertà umana, ma sopra c’è Dio. Infatti Gesù nel Getsemani dice: “Abba, Padre, passi da me questo calice”. Chiede al Padre che questo disegno del Padre passi. Non chiede tanto di essere liberato da questi uomini.

Se Marco è stato il primo, è stato veramente geniale, dandoci questo strumento. Nelle prime righe Marco ha scritto una specie di titolo: “Origine del vangelo di Gesù Cristo, figlio di Dio”. Il traduttore italiano ha messo, invece, “inizio”, che è un po’ scialbo. In greco è “archè”, origine. Come ha avuto origine quel vangelo che è l’evangelizzazione? Da dove siamo partiti?

Matteo viene circa 20 anni dopo Marco. Dovrebbe essere un testo risalente a dopo l’80 perché risponde all’attacco sferrato dalle élites giudaiche - non dal popolo di Israele, ma da élites che dopo la distruzione di Gerusalemme del 70, verso l’anno 80 cercano di salvare il salvabile – da coloro che guidano il popolo, scribi e farisei. Hanno vinto queste due linee, queste figure. Il Tempio non c’è più, questi personaggi – gli scribi ed i farisei - hanno alcuni problemi, tra cui l’apocalittica, ma anche il problema che nel popolo di Israele molti sono diventati cristiani. Questi gruppi che cercano di salvare Israele senza più territorio, senza più Tempio, facendo quadrato attorno al Libro. Ma questo Libro ha un difetto: è usato da certi personaggi come testimonianza della divinità di Gesù Cristo, alla realtà di Gesù Cristo. Ci sono delle misure, (concilio di Yamnia), delle benedizioni o delle maledizioni, che vengono pronunciate quando si sta insieme per vedere che non ci sia qualcuno di questi “nazorei”, questi cristiani, tra di loro. “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti scribi e farisei, fate quello che dicono, ma non fate come fanno, legano pesanti fardelli, loro non li toccano nemmeno con un dito... Guide cieche”: questo non è semplicemente Gesù. E’ Gesù nell’82, 83, 84 d.C., è il messaggio di Gesù rivissuto in un momento di Chiesa, dove c’è una grande difficoltà, c’è uno scontro con certe correnti del giudaismo, che per salvare il quadro di fede precedente sono costrette ad essere anticristiane. Si vede che il vangelo di Matteo dà risposte a questo. Questo per dare una prima idea.

Il vangelo di Matteo è databile quindi negli anni 80. Ma come è fatto? Oggi lo sappiamo bene, mentre gli antichi erano più incerti su questo, perché dalla definizione “vangelo secondo Matteo”, avevano dedotto che fosse il vangelo dell’apostolo Matteo. Sant’Agostino su questo punto si è sbagliato e ha detto che Marco è breviator Matthaei, abbreviatore, sintetizzatore di Matteo. Secondo Sant’Agostino, Marco sarebbe un riassunto di Matteo. Diciamo che dai primi decenni dell’Ottocento, dal 1835, si è andata affermando - ed è seguita da un buon 95 % degli esegeti tecnici del problema - un’altra idea.

Secondo questi studi più recenti, il primo vangelo è Marco. Il vangelo secondo Matteo è fatto da qualcuno che ha preso il vangelo di Marco e ne ha fatto un’edizione più ricca con altri punti di vista, presentandoci una specie di altra figura di Gesù. Non in contraddizione con la precedente, ma con alcuni tratti nuovamente rielaborati. Io sono un esperto di Marco, quindi dico “approfondendo” la figura di Gesù in Marco. Noi sappiamo oggi (da due secoli si lavora in questa direzione) che questo personaggio, Matteo, non ha usato semplicemente il testo di Marco, ma ha usato anche un altro testo che noi non abbiamo, che non c’è arrivato dall’antichità. C’è, in più, uno strano fenomeno. Studiando il vangelo secondo Luca, riusciamo a vedere che anche Luca ha usato Marco. E’ facile perciò vedere come si comportano Matteo e Luca nell’usare Marco, ma ci si accorge anche che hanno usato un’altra opera che è stata chiamata convenzionalmente Q (dal tedesco Quelle, fonte). Si vede che ci sono dei “pezzi”, del materiale, che viene da quest’altra fonte. Matteo rifonde Marco, inserendo la fonte Q, piuttosto articolata, ricca di parole, ricca di parabole e mescolando anche altre tradizioni che non erano in Marco e non erano in Q e creando un complesso estremamente armonioso. Già Marco era spontaneo nel tono, trascurato in alcuni dettagli di poco conto, ma possentemente organizzato, Matteo è andato in questa direzione.

Perché allora ha il nome di un apostolo? Io seguo una serie di autori statunitensi che si sono attestati su di una congettura. E’ possibile che il vangelo di Marco porti il nome di un signore qualunque che si chiamava Marco ed ha avuto questa brillante idea, di scrivere il primo vangelo. Il vangelo secondo Matteo potrebbe chiamarsi così perché forse quella seconda fonte di detti aggiunta – la fonte Q - veniva da Matteo. Allora questo vangelo è stato chiamato “secondo Matteo”, “in stile di Matteo”, e questo nome è rimasto.

Mentre Luca fece un’elaborazione così complessa e così diversa che probabilmente è stato chiamato con il vero nome dell’autore. Il vangelo di Giovanni, che ancora nell’ ‘800, anzi fino all’inizio del ‘900, era giudicato il più fantasioso, oggi è considerato forse l’unico vangelo scritto da un testimone oculare. C’è, però, un piccolo difetto: questo testimone oculare è un potente teologo. Quindi le parole di Gesù sono riversate in una terminologia molto più ricca. C’è quindi uno strano paradosso che mi sembra diventi sempre più chiaro: abbiamo un testimone oculare libero nella resa linguistica del messaggio di Gesù, mentre abbiamo questi altri personaggi che nelle redazioni ultime non sono testimoni oculari, ma che sono invece molto più fedeli nel riportare le parole di Gesù. Gesù parlava probabilmente così come parlano, anche se in greco e non nella lingua di Gesù, questi tre vangeli chiamati dal 1700 sinottici e non come parla Gesù in Giovanni.

Come è strutturato Matteo?
Oggi si discute su questo. Io mi schiero con coloro che dicono che il vangelo di Matteo ha, nel suo corpo centrale, due parti. La prima parte comincerebbe in 4,17 “Da allora in poi cominciò Gesù a proclamare e a dire: Convertitevi perché è vicino il regno dei cieli”. E’ l’inizio del corpo centrale, prima ci sono delle parti introduttive. Al capitolo 16,21 trovate la stessa formulazione: “Da allora in poi cominciò Gesù a mostrare ai suoi discepoli che lui doveva andare a Gerusalemme e molto patire, dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, ed essere ucciso e il terzo giorno resuscitare. E avvicinatosi Pietro...”. Questa identificazione è importantissima perché vi dà due temi assolutamente fondamentali del vangelo secondo Matteo - e del vangelo di Gesù: Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino” (dove questo “convertitevi” si dirige a tutti) e “cominciò a mostrare ai suoi discepoli che il Figlio dell’uomo doveva salire a Gerusalemme, patire, morire, risorgere”. Regno di Dio, da un lato, e patire, morire, risorgere del Figlio dell’uomo, dall’altro.

Se voi mi chiedete di darvi le due chiavi indispensabili per la comprensione del vangelo di Matteo, vi dico che senza queste due chiavi non si apre nulla. E la sintesi forte è la fusione di questi due elementi. Cosa ha a che fare il Regno di Dio con la passione, morte e resurrezione del Signore Gesù? E’ un errore, una smagliatura del Regno? E’ la forza del Regno? Questa è la domanda cristiana fondamentale.

All’inizio del nostro incontro abbiamo pregato con il Padre nostro nella formulazione di Matteo. In Marco non c’è il Padre nostro, in Luca ce n’è un altro più breve.

Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome
venga il tuo Regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.

Questo è tipico di Matteo. Vedete che nel Padre nostro non ci sono la passione, morte e resurrezione di Gesù. E’ un testo che viene probabilmente dal primo periodo del ministero di Gesù, quando ancora non era diventato determinante questo. Tra l’altro è interessante per il linguaggio di Matteo un confronto con Luca. Andate a vedere il Padre nostro al cap. 6 di Matteo e al cap. 11 in Luca dove c’è una versione più scabra:

Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno.

Avete sentito quante cose sono saltate rispetto a Matteo?
Ogni vangelo è veramente un grande mondo. La liturgia adesso ci sta dando una spinta che prima non c’era. Quando io ero bambino nella mia diletta città di Fossoli, come in tutto il mondo cattolico si leggevano – eravamo negli anni ’50 - sempre gli stessi brani del vangelo. Soprattutto da Matteo, due o tre da Marco perché era stato più bravo in certi racconti - secondo l’idea degli antichi, c’erano più particolari - qualcosa da Luca; il buon samaritano non andava perso e c’è solo in Luca. Non si ragionava secondo la diversa qualità dei vangeli. Si prendevano gli episodi migliori della vita di Gesù: la liturgia era impostata così.

Oggi c’è una sfida grandissima in corso, quella di approfondire ogni vangelo. Abbiamo un anno A (con Matteo). Facciamo un percorso, almeno nel tempo ordinario, secondo Matteo, poi passiamo a Marco, poi a Luca. E’ come se per far crescere un futuro uomo di chiesa lo faccio stare un anno con i benedettini, un anno con i francescani ed uno con i gesuiti e poi daccapo perché prenda tutte queste fasce di colore. Noi abbiamo di fronte a noi una grandissima scommessa: la liturgia ha assunto nella riforma del Concilio Vaticano II tutti e quattro i vangeli, perché il vangelo di Giovanni, essendo così importante per tanti versi, viene usato tutti gli anni nei tempi forti – vediamo, ad esempio, che nell’anno A viene usato Giovanni durante la Quaresima, secondo l’uso della Chiesa di Roma, tranne la I e II domenica che hanno gli episodi delle tentazioni e della trasfigurazione. Qui abbiamo un compito di approfondimento che speriamo porti frutti. Perché la diversità dei vangeli è stata sempre un grande problema, perché se non riusciamo ad intenderci su alcune cose, quelle delle quali stiamo parlando, i vangeli sembrano essere contraddittori. Se uno non ha una buona percezione succede questo, che si scandalizza. Per questo nell’antichità si leggeva un solo vangelo e non due o tre racconti dello stesso episodio, perché non ci fosse sconcerto.

Il vangelo di Matteo ha un corpo centrale così organizzato, ma ritmato su Marco. Si potrebbe far vedere dove ha preso e dove ha variato, ma oltre a questo ha aggiunto una possente introduzione. Ha cominciato il suo vangelo così: “Libro della genesi di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe...”
C’è tutta una serie di racconti sull’infanzia di Gesù partendo dalla genealogia: perché? Perché in questo modo Matteo è riuscito a fare un libro perfettamente biblico. E’ stato un grande scriba cristiano. Non è un caso se lui è un testimone di un’opposizione degli scribi e farisei che si oppongono ai cristiani. Lui ha scritto questo testo partendo dall’inizio della Bibbia. Un personaggio che conosce la Bibbia è costretto a leggere questo testo di Matteo attraverso questo sistema genealogico che sembra così noioso, ma che gli antichi hanno messo per primo. Nell’ordine canonico, il Nuovo Testamento si apre con questa genealogia, non si apre con Marco che sarebbe il più antico. Riesce così ad agganciare la vicenda di Gesù al tessuto biblico. Non so se riesco a rendere l’idea della sua genialità. Voi oggi avete il problema risolto. C’è una Bibbia rilegata in un certo modo, con l’Antico ed il Nuovo Testamento messi in un certo ordine. A voi non viene in mente di dubitare della sensatezza biblica del Nuovo Testamento. Ma qui siamo in un tempo in cui il Nuovo Testamento ancora non c’è.

Matteo è partito grandiosamente ed ha cominciato con un grido che è intraebraico. Non si può capire la storia di Israele senza questo riferimento. Poi comincia a raccontare la storia con questo bambino nato da un concepimento virginale, con Giuseppe che voleva rimandare la moglie con la quale ancora non conviveva, perché incinta, ma l’angelo gli dice, ecc. Con un bellissimo testo biblico: “Tutto questo avvenne perché si compisse quello che era stato detto dal Signore, per mezzo del profeta, che dice: ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele”. E’ uno dei capolavori di Matteo, lo spieghiamo subito. I cristiani hanno lavorato moltissimo su questo testo: il testo originale di Isaia probabilmente diceva “Colei che adesso è vergine, concepirà”. Il testo non intendeva probabilmente colei che adesso è vergine, verginalmente concepirà. “Colei che adesso è vergine” è un annuncio ad un re: una delle tue donne, che ancora tu non hai conosciuto, la vergine, concepirà, dopo un rapporto sessuale, il figlio. Ma Matteo quando rilegge, alla luce del concepimento verginale di Gesù - “tutto questo avvenne perché si compisse ciò che era scritto in Isaia, ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio” – afferma questa volta che il concepimento avviene verginalmente, anche se questo non c’era nel testo dell’Antico Testamento. Questo vi dà un’idea delle profondità e delle elaborazioni fortissime che ci sono nei vangeli.

Subito dopo cosa racconta Matteo? Sì, certo, figlio di Abramo, figlio di Davide, però vennero a cercarlo dei magi dall’oriente, vedendo le stelle. Dunque Gesù non è chiuso nella realtà di Israele, anzi Israele non ci fa una grande figura, perché c’è Erode, che non era un bel personaggio, ed anche gli scribi che non si muovono. Sanno dove è nato ma non si muovono, anzi si scatena una terribile persecuzione, Erode cerca di ucciderlo, ma il bambino è salvato attraverso una discesa in Egitto. Come un tempo un altro Giuseppe (non lo sposo di Maria) aveva salvato i figli di Israele in Egitto e anche Mosè era stato salvato da una strage di bambini di altro tipo. Matteo comincia a far vedere che in Gesù si riepiloga tutta la storia di Israele e si riepiloga nei termini di una fatica, di un dolore, di una vita che si afferma di fronte alle difficoltà. Quando il bambino torna, Giuseppe avvertito in sogno che sono morti i persecutori del bambino, viene in Giudea. Al posto di Erode c’è ora Archelao e Giuseppe, conoscendo la fama di Archelao, preferisce tenersi lontano da Gerusalemme ed il bambino viene portato a Nazareth, in Galilea, in una zona più tranquilla.

Cosa mette Matteo alla fine del vangelo? Una scena stupenda che in altre epoche è stata definita il manifesto di questo vangelo. Gesù risorto incontra i suoi in Galilea, gli undici discepoli (Giuda si era ucciso). “Gli undici discepoli intanto andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva fissato loro”. Gesù appare e il testo si chiude così: “Andate in tutto il mondo, fate discepole tutte le nazioni, insegnando ad osservare ciò che vi ho comandato. Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. E qui finisce. Non c’è neanche l’ascensione. Finisce con le parole “fine del mondo”. Ha cominciato con “Abramo generò Isacco”, l’inizio della chiamata, e termina con le parole “fine del mondo”. Vedete già da questo la raffinatezza di questa opera, la profondità. Il ripensamento che Matteo ha fatto su Marco lo ha portato a raccontare la vita di Gesù in un telaio che va da Abramo fino alla fine del mondo. Con semplicità, ma al tempo stesso con un’incredibile profondità.

Matteo ha messo nel suo vangelo una specie di profondità, anche qui rielaborando quello che aveva trovato in Marco. In Marco c’è un solo grande discorso, di saluto ai suoi primi quattro discepoli, e Matteo lo ha dilatato. Matteo ha raggruppato cinque discorsi nel vangelo, forse per fare una specie di Pentateuco, i cinque grandi libri della Bibbia, cinque stupendi discorsi di Gesù che sono creati combinando (non inventando) parole di Gesù. Il primo è il discorso della montagna, celeberrimo, piuttosto lungo - su 28 capitoli, il discorso della montagna ne occupa tre - in cui presenta il regno di Dio tra i suoi discepoli e nel mondo.
Il secondo discorso è al cap. 10 presenta i suoi discepoli inviati nel mondo, la missione.
Nel cap. 13 c’è una serie di parabole, una specie di discorso, ma con delle interruzioni, che presenta i segreti, i misteri, l’economia del regno dei cieli.
Nel cap. 18 un altro discorso sulla Chiesa, come si vive nella chiesa, la correzione fraterna. Un discorso che tratta dei comportamenti ecclesiali.
L’ultimo discorso dove viene presentata la venuta finale del regno: il giudizio.
Se nel corso dell’anno liturgico riuscite a seguire le domeniche come concatenate, se provate ad uscire dal semplice brano domenicale, se tentate di seguire un filo - “cosa vuol dire il brano di questa domenica se la scorsa settimana abbiamo letto quest’altro?” – vi accorgerete di tutto questo.

Il discorso della montagna apre con le beatitudini. Non sono delle benedizioni, sono delle rivelazioni. Le prime parole che Gesù dice sono: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Il capolavoro è prendere il concetto di Gesù e metterlo nella posizione narrativa giusta. La beatitudine è una rivelazione, Gesù dice: i poveri in spirito sono beati. Perché? Perché il regno di Dio è loro - notate il presente. Questo testo è molto interessante, non parla dei cristiani. Parla dei poveri in spirito. Attenti che i poveri in spirito non sono i ricchi che sono distaccati. Qualcuno ha criticato Matteo come spiritualista, invece Matteo ha detto “i poveri che sono poveri persino dentro”. Per spiritualista si intende uno che dà valore alle intenzioni senza badare alla sostanza, invece il testo di Matteo dice: “Coloro che sono poveri, ma sono poveri anche nel cuore, non i poveri che sono irosi, violenti”. I poveri in spirito - perché ci sono - sono un segno che il regno di Dio è presente.

Subito dopo la seconda beatitudine: “Beati gli afflitti”, o meglio “coloro che sono capaci di affliggersi”, coloro che di fronte alla tristezza degli altri sono afflitti. Perché tutti siamo capaci di essere afflitti quando siamo sofferenti noi, non c’è alcuna qualità in questo. Questi “saranno consolati” - notate il passaggio al futuro, perché se adesso sono afflitti bisogna passare ad un altro momento.

Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati, beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia, beati i puri di cuore perché vedranno Dio”. Qui non c’entra solo la castità, ma si parla dei puri di cuore. Vi ricordate i farisei - ma anche se andate in una moschea trovate attrezzature per lavarvi, cibi puri e cibi impuri, mani impure; se voglio mangiare devo lavarmi e diventare puro. Gesù dice “i puri di cuore”, quelli che lo sono di dentro, non di fuori, questi vedranno Dio. Vedere Dio vuol dire andare nel Tempio, nel linguaggio biblico; lì ci si doveva lavare! Qui si dice invece che i puri di cuore vedranno Dio.

Poi continua: “Gli operatori di pace saranno chiamati figli di Dio, i miti erediteranno la Terra, i perseguitati a causa della giustizia, beati loro perché di essi è il Regno dei Cieli”. Notate, siamo tornati al presente. Ma soprattutto avrete notato che “beati i perseguitati per causa della giustizia” è un raddoppiamento - prima c’è “beati gli affamati e gli assetati di giustizia”. Nelle beatitudini la parola giustizia ha un ruolo speciale: avete due volte l’espressione “Regno di Dio”, ma anche due volte la parola “giustizia”. Questa è una parola assolutamente indispensabile per Matteo. E’ una parola indispensabile per la Bibbia, ma per Matteo è una parola chiave.

Se questa beatitudine è l’ottava, se l’espressione “a causa della giustizia” è così importante, notate adesso cosa succede alla parola “perseguitati”. Se io vado al versetto 11 la musica cambia radicalmente: “Beati voi”. E’ qui che Gesù si sposta sui discepoli. Prima ha soltanto spiegato: c’è una beatitudine nel mondo che riguarda questi uomini, che siano discepoli o meno. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno - vedete che troviamo di nuovo la parola perseguiteranno. Ritroviamo Regno di Dio, giustizia, persecuzione. Queste sono parole cruciali per entrare in questo messaggio. Allora qui appare chi è il cristiano, perché se il Regno di Dio appartiene ai poveri in spirito, i cristiani cosa ci fanno? “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia, rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi”. I cristiani non hanno una sorte diversa dagli altri uomini. Se non sono poveri in spirito certo non serve a niente. Ma a cosa servono specificamente i cristiani? Ad essere profeti. C’è una natura profetica di questo popolo.

Quando io ero piccolo, nella Carpi dei tardi anni ‘50, ricordo sempre una scena in cui il cappellano della cattedrale, alle scuole, ci voleva persuadere che se i bambini africani morivano andavano all’inferno, mentre noi bambini italiani, cristiani, andavamo in Paradiso. Noi ci ribellavamo, in quinta elementare. Poi ho lavorato per molto tempo con questa persona ed ho scoperto che non era così lugubre come potrebbe sembrare da questo episodio. Per molto tempo i cristiani si sono compresi come gli unici salvati, contrapposti agli altri necessariamente non salvati. Questa teoria è sbagliata. Dio ama tutti gli uomini, tutti sono chiamati alla Salvezza. Dio sarebbe un Dio ben scarso se avesse creato un uomo senza destinarlo in qualche modo alla salvezza. Poi resta il problema teologico di come si salva colui che non ha potuto conoscere Cristo, ma sarebbe molto strano che ciò fosse impossibile! I cristiani, dunque, proprio perché conoscono il segreto di Gesù, conoscono il segreto di Dio, conoscono il meccanismo. Il profeta è proprio colui che sa spiegare quello che accade.

E allora Gesù continua: “Voi siete il sale della Terra”. Non: “Voi siete i bravi della terra”. Voi siete il sale, perché siete i profeti, perché avete il vangelo. E poi c’è una frase che non è una minaccia: “Ma se il sale perdesse il sapore, con cosa lo si salerà?” Gesù è sconsolato, non minaccioso: ricorda a noi cristiani una responsabilità grandissima. Un depauperamento della terra, se i cristiani non sono sale! “Voi siete la luce del mondo”. Nel vangelo di Giovanni Gesù dice: “Io sono la luce del mondo”, qui è ancora più coraggioso. “Non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa”. Voi siete la luce, non abbiate paura se siete perseguitati, se siete distrutti. Non si accende la luce per metterla sotto il letto, state tranquilli; se siete la luce del mondo verrà il momento in cui sarete sul candeliere. E’ la frase antitetica alla precedente. Voi siete il sale, se il sale perde il sapore è una rovina, voi siete la luce del mondo, tranquilli! Non si accende la luce per seppellirla, ma perché illumini. Anche oggi va detto, anche oggi è importante.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere belle e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.
E’ la prima volta, nel vangelo di Matteo, che Dio viene chiamato con questo nome bellissimo. Splenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere belle (le traduzioni italiane hanno tradotto con “opere buone”, ma la parola greca è “opere belle”, anche se per i greci “bello” e “buono” si identificano).

Ma quali sono le opere belle? Quelle che permettono di rendere gloria al Padre che è nei cieli! Adesso sta parlando ai cristiani. I cristiani sono coloro che compiono opere tali per cui si vede che Dio è Padre. Io domando sempre, dall’anno nel quale il Santo Padre ci ha invitato a fare l’anno del Padre: chi è che rende testimonianza alla paternità di Dio? I padri ben riusciti? Non credo proprio. E allora: le povere madri? I religiosi? I singles? Quelli che per qualche motivo non hanno figli? Gesù non parla mai in questi termini, tranne una volta: “Se voi che siete cattivi date cose buone ai vostri figli, figuratevi il Padre celeste”. Mai altrove Gesù sale dalla paternità umana alla paternità di Dio. Ha detto, piuttosto, un’altra cosa: che la paternità di Dio si vede quando ci sono degli uomini e delle donne che si comportano in un modo tale per cui si capisce che Dio è Padre.

E qui siamo al cuore di Matteo. Secondo me questa è la cosa più importante che Matteo ha capito ed ha elaborato: il concetto di giustizia maggiore. In Matteo 5,20 leggiamo: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei cieli”.

Gli scribi e i farisei, così accaniti, anche positivamente, nell’osservanza della Legge! Qui bisogna stare attenti perché il cristiano medio prende il “fariseo” come sinonimo di “ipocrita”. Allora si dice: “Bella forza, se la vostra giustizia non supera quella degli ipocriti...”. Ma Gesù non intende questo. Vuol dire invece: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli accaniti osservanti della legge, gli scribi e i farisei, non entrerete nel Regno dei cieli”.

E poi si spiega in una maniera che è terribile. “Fu detto”: vengono le famose antitesi che sono il cuore del discorso della montagna. “Fu detto non uccidere, ma chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio, io però vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio”.
Questo passaggio è importantissimo: “Avete inteso che fu detto agli antichi” non significa “Fu detto dagli antichi”. “Fu detto” ha come soggetto Dio.
Avete inteso che fu detto da Dio agli antichi, a Mosè e a tutti gli altri: non uccidere, ma io vi dico non adiratevi, chi dice al fratello stupido sarà sottoposto a giudizio”.

Secondo passaggio:
Avete inteso che fu detto non commettere adulterio, ma io vi dico chiunque guarda una donna per desiderarla, ha commesso adulterio con lei nel suo cuore”.
Adesso avete cominciato a capire qual è la giustizia maggiore? Avete capito cosa vuol dire affamati e assetati di giustizia? Cosa vuol dire perseguitati a causa della giustizia? Non si tratta solo della giustizia sociale, ci mancherebbe altro! La giustizia sociale non è un ideale cristiano; questo è un ideale che i cristiani non possono non condividere con gli altri. Ma questo lo sapeva già S.Tommaso: la giustizia è il minimo dell’amore, se non c’è giustizia non si può parlare di niente. Ma non è la “giustizia maggiore”! La giustizia maggiore è non adirarsi, non solo non accoltellare la persone con le quali ci si è arrabbiati. La giustizia superiore non è semplicemente non commettere adulterio fisicamente, ma avere un atteggiamento. E’ estremamente difficile, tutti ci spaventiamo di fronte a questa frase. “Avete inteso che fu detto: chi ripudia la moglie, le dia l’atto di ripudio (potremmo dire oggi, “sia corretto, così la poverina si risposa se vuole, altrimenti finisce male)”. “Avete inteso che fu detto - e si cita qui Dt 26 - chi ripudia la propria moglie le dia l’atto di ripudio, ma io vi dico – la giustizia maggiore – chiunque ripudia sua moglie la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata commette adulterio”.

Avete visto che Gesù ha cominciato a mordere situazioni che sono di estrema fatica anche oggi: la chiave è la giustizia maggiore.
Ci sono altri tre passaggi ancora:
Avete inteso che fu detto di non spergiurare, ma io vi dico di non giurare, perché il sì deve essere sì, il no no. Il di più viene dal Maligno”.
Questo non l’abbiamo osservato nemmeno noi perché siamo abituati a giurare! Ma Gesù non pensava così. Altro che “qui lo dico e qui lo nego”! Vedete che c’è un crescendo, perché è più difficile questo che la castità del cuore.
Avete inteso che fu detto occhio per occhio, dente per dente, ma io vi dico di non opporvi al malvagio, se uno ti percuote la guancia destra tu porgigli anche l’altra. Eccoci dinanzi alla legge del taglione, la più importante delle leggi, la proporzione tra il danno e la pena. Se uno ti ha dato un pugno, per favore non lo accoltellare. Rifà il verso a Gn 4, il canto di Lamech: “Io uccido un bambino per un’ammaccatura”, se un bambino mi fa un livido, io lo uccido, perché sono Lamech! La legge del taglione è più antica della Bibbia, c’è già nel codice di Hammurabi: occhio per occhio, non accecarlo completamente, non esagerare. La legge del taglione stabilisce una proporzione tra il danno e il risarcimento. Io scherzosamente la chiamo la legge della portiera. Se uno mi graffia la portiera dell’auto e io dico a chi mi ha fatto il danno: “Tu hai l’assicurazione, mi faccio rifare tutta la carrozzeria”, vado oltre la legge “portiera per portiera”. La legge del taglione, che ha una pessima fama, in realtà è una legge importantissima, di equilibrio, di giustizia. Ma a Gesù non andava bene. Occhio per occhio, dente per dente, guancia per guancia. Invece no, Gesù dice: Se uno ti percuote la guancia destra, l’unica guancia che tu puoi mettere a disposizione è la tua sinistra, non la guancia dell’altro”. Possibile? Impossibile? Un fanatico? Chi era Gesù? Ognuno di noi deve rispondere a questa domanda. Certo la spinta è questa. L’ultima delle antitesi:
Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici, pregate per i vostri persecutori perché diventiate figli del Padre vostro celeste, il quale fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
Ma qui si comincia a capire in che senso un uomo può mostrare che Dio è Padre suo e quindi Dio è veramente Padre, quando questo uomo riesce a fare come fa Dio, riesce a non dividere. Perché il Signore, il Padre vostro celeste, fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. L’uomo che supera la legge del taglione, che arriva alla giustizia maggiore, è un uomo che parla di Dio. Poi Gesù si spiega ancora meglio.
Infatti, se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani - che sono degli ebrei rinnegati, che raccolgono tasse per i romani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Gli ebrei peccatori e i pagani trattano bene quelli che li trattano bene, cosa fate di straordinario? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il padre vostro celeste.
Ecco siamo arrivati a cosa Gesù chiede ai cristiani. Cosa è la luce del mondo? Questo. Cosa è il sale della terra? Gli uomini, i cristiani, i credenti che riescono a tentar di muoversi in questa logica.

Queste sono le prime parole di Gesù nel vangelo di Matteo. Adesso guardiamo le ultime del quinto discorso. Le ricordiamo:
Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.
Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?

E Gesù risponde. Ma poi c’è la scena opposta.
Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna.

Qui comincia la Passione di Gesù. Sono andato a questa scena, perché è una scena sbagliata secondo la nostra mentalità, perché se fossi stato io Gesù avrei fatto così alla fine del mondo: voi cristiani da questa parte, voi non cristiani per favore spostatevi di là. Poi mi sarei rivolto ai cristiani dividendo i buoni ed i cattivi e successivamente ai non cristiani dividendo anche qui i buoni ed i cattivi. Ma voi vedete che la scena è diversa. Questa è una delle pagine più belle per l’umanità e anche più terribili per i cristiani, perché quando si chiude la scena, non conta più essere stati profeti. Conta quello che si è veramente fatto. Ci verrebbe voglia di pensare che i cristiani li dividiamo in caproni e agnelli e anche gli altri, ma con due diversi gradi. In Gesù invece non ci sono gradi diversi. Il dono di Dio, il Regno di Dio attraversa tutta la storia, l’essere cristiani è qualcosa che riguarda noi, ma riguarda il nostro rapporto con tutti.
Mi fermo qui per ascoltare le vostre domande ed approfondire qualcuno dei temi che abbiamo appena accennato.

Domande

  1. Come avrebbero potuto un medico, un esattore delle tasse, scrivere delle opere come i vangeli senza lo Spirito Santo? E come mai secondo lei il vangelo di Matteo ha ispirato un grande musicista come Bach[1] e, dopo tanti anni, un regista dalla vita disordinata come Pasolini?

  2. Ho sentito tanti significati dell’espressione “poveri in spirito”. Può spiegarci queste parole?

  3. Tu hai detto che il vangelo di Matteo è stato messo come primo dei vangeli nell’ordine della Bibbia canonica a causa di questo rapporto particolare con l’Antico Testamento. Ma come mai questo ordine: Matteo, Marco, Luca e Giovanni?

  4. A proposito della giustizia, non è che noi ancora oggi, nonostante l’insegnamento del vangelo, tendiamo a intendere per giustizia quella dell’Antico Testamento?

Risposte di mons. Manicardi

Partiamo in senso inverso. La parola giustizia è la parola più bella di tutto l’Antico Testamento. Io sono stato educato da Luis Alonso Schökel su questo punto; lui ci diceva che quello che è l’agape, la caritas, l’amore di oblazione nel Nuovo Testamento, è la giustizia nell’Antico Testamento. Pensate ad un salmo come il 72 “O Dio, dà al re il tuo giudizio, al figlio del re la tua giustizia”.
Dappertutto c’è questa aspirazione alle cose come devono essere nella loro pienezza e nella loro pace. Che, nonostante venti secoli di cristianesimo, l’anelito alla giustizia maggiore non si sia compiuto, che noi siamo figli di Dio estremamente sgangherati, non mi sorprende. E’ l’eccellenza, la trascendenza del vangelo. E’ il futuro che il vangelo porta sempre con sé che fa sì che noi abbiamo di continuo di fronte compiti enormi. Alcune questioni di giustizia distributiva - del denaro per esempio - sono oggi, forse, meglio inquadrati, vedi il tema dei diritti umani, insieme, però, a misconoscimenti terribili. C’è di continuo il bisogno di andare verso il vangelo. Il vangelo è una forza storica, ma non nel senso che si costruisce sempre di più. Non è che i cristiani di oggi siano più cristiani del tempo di Dante Alighieri. Questa lotta per la giustizia ci sarà sempre perché è radicale. Certo, nelle diverse società, il messaggio del vangelo crea diverse dottrine sociali cristiane. In certe epoche non si parlava nei termini odierni, oggi c’è una certa raffinatezza. Ma basta che crolli un muro perché parlare di giustizia o di dottrina sociale cristiana diventi più facile e più difficile al tempo stesso. Questa non realizzazione è anche il segno di una trascendenza, è segno che indica sempre più in là. E’ utopico pensare che ci sia qui la città del sole o non so cos’altro. Il tipo di pensiero che pensa di risolvere questi alti livelli in un compiuto disegno storico, ha avuto delle conseguenze che sono state terribili, come anche il comunismo, in alcune delle sue forme.

Per rispondere alla terza domanda cominciamo dicendo che, di fatto, non sappiamo perché esiste quest’ordine. Sappiamo solo che è così; non c’è invece alcuna incertezza sui nomi che si sono affermati subito, così come sul numero di quattro. Anche se poi ci fu una grande produzione di vangeli apocrifi, che oggi godono di immeritata pubblicità, quasi fossero più antichi o più profondi - non è vero nulla, sono tutti più recenti. Anche i quattro simboli non sono certi, nei primi secoli si scambiano. In Cromazio d’Aquileia, l’aquila è Marco.
L’ordine che abbiamo oggi nel canone è sbagliato perché Luca e Atti degli Apostoli sono un’opera unica, ma noi abbiamo oggi: Matteo, Marco, Luca, Giovanni. Sarebbe bello mettere Giovanni per primo, poi gli altri tre e Luca che continua con gli Atti. Probabilmente si è cominciato con il vangelo che si è imposto di più nella Chiesa. Matteo per la sua chiarezza, sistematicità, ricchezza di materiali, si è affermato come il vangelo ecclesiastico per eccellenza: si leggeva soprattutto Matteo. Giovanni si leggeva poco. E’ bastato che Marco fosse definito “breviator” di Matteo per escludere anche lui. Penso che alla fine si sia partiti dal vangelo più letto, il vangelo di uno degli apostoli, poi i due “vangelini”, Marco e Luca – ritenuti tali perché considerati allora non opera diretta di un apostolo - e poi l’altro grande apostolo, Giovanni.
Si è pensato che Marco fosse discepolo di Pietro e Luca di Paolo, ma qui andiamo già nell’elaborazione simbolica, che è molto interessante.

Il problema non è tanto la frase di Gesù sui poveri in spirito, ma la nostra povertà, il nostro rapporto con la ricchezza. E’ questo che fa sì che ci siano tante spiegazioni così variegate. In particolare si fa una differenziazione tra la parola di Gesù in Matteo al cap.5 e quella che troviamo in Luca, al cap. 6. In Lc 6 Gesù dice: “Beati voi poveri perché vostro è il Regno di Dio”. Ah, come è bello – dicono alcuni - questo sì che non è spiritualista! Ma avete sentito che c’è il “voi”: non “beati i poveri in spirito”, ma “beati voi, miei discepoli”. Se voi dite ai discepoli di Gesù che sono lì “beati voi poveri”, avete già i poveri in spirito. Basta che aggiungiate un accenno al portafoglio. Non è vero perciò lo schemino che viene usato: Luca è veramente per i poveri, Matteo invece presenta la frase così come io immagino che Gesù l’abbia detta – anche perché c’è anche a Qumran questa espressione.
“I poveri”, allora, ma bisogna aggiungere qualcosa, perché ci sono dei poveri che sono delle carogne. La parola “in spirito” è importantissima. E’ come “beati i puri di cuore”, “di cuore”, non solo con le mani pulite.

Per rispondere alla prima domanda, che chiede se il vero autore dei vangeli è lo Spirito Santo, io direi così: il vero autore dei vangeli intanto è Gesù. Dietro a tutto questo c’è lo Spirito Santo, ma dobbiamo mettere anche Gesù. Perché i vangeli per un cristiano hanno un posto eccezionale. Anche la Dei Verbum lo dice: “Nella Bibbia il Nuovo Testamento ha un posto eminente, anche i libri dell’Antico Testamento parlano di Cristo, ma più debolmente”. I libri del Nuovo Testamento, comprese le lettere di Paolo e l’Apocalisse, presentano Cristo in maniera forte, ma i vangeli eccellono, non perché siano più ispirati delle lettere di Paolo, ma perché dentro hanno le incredibili perle di quello che il Figlio di Dio fatto uomo ha detto e fatto quando era tra noi.

Come mai ha ispirato Bach? Sicuramente perché era il vangelo ecclesiastico, era considerato il primo. Pasolini è sicuramente per certi versi sgangheratissimo, ma è uomo di lettura delle situazioni. Sappiamo anche dove ha concepito il suo film: mentre si trovava ad Assisi, una notte ha preso in mano i vangeli sul comodino e ha cominciato a leggere. Matteo è il primo: forse per questo. Ma cosa ci ha trovato? Ci ha trovato la giustizia maggiore, questo scontro fortissimo contro l’ipocrisia - e un uomo come Pasolini aveva molto bisogno di sgretolare l’ipocrisia. In bonam et in malam partem, direi. E certamente si tratta di personaggio di grande sensibilità, che ha saputo cogliere le differenze, anche per una mancanza di conoscenza complessiva forse. C’è poi un po’ di aggressività di troppo nel suo film, mentre il vangelo secondo Matteo invece è il vangelo della mitezza di Cristo. Dante, nel De monarchia, ha scritto che Luca è lo scriba mansuetudinis Christi, ma se cerchiamo la qualità del Messia mite la troviamo in Matteo. In Matteo è il re mite, e la perla di Matteo - mi appoggio a Lagrange che la definisce il vertice di Matteo – è:

Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero.

Il giogo è l’immagine della Legge per gli ebrei. La giustizia maggiore per Gesù è leggera. Se noi riuscissimo ad entrare nella giustizia superiore, il giogo sarebbe leggero e impareremmo da lui che è mite e umile di cuore. Questo aspetto Pasolini non l’ha visto bene, ma altre cose le ha viste bene.


Testi dello stesso autore presenti sul nostro stesso sito www.gliscritti.it

Il cammino di Gesù nel vangelo di Marco

Testi correlati sul nostro stesso sito www.gliscritti.it

Una introduzione alla lettura continua del vangelo di Marco
Romano Penna, Introduzione al vangelo di Marco
Breve introduzione al vangelo di Luca ed ai suoi temi principali
Per leggere ed amare l’evangelista Giovanni


Per altri articoli e studi di mons.Ermenegildo Manicardi o sul vangelo di Matteo presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici


Note

[1] N.d.R. In realtà J.S.Bach ha scritto ben 5 Passioni, sebbene solo due ci siano pervenute integralmente, quelle di Matteo e di Giovanni. Su questo vedi Guida all'ascolto della musica sacra di J.S.Bach.


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