Trasmettere la fede, il consegnare se stessi di Dio e dell’uomo.
Relazione di S.E.mons.Rino Fisichella al Consiglio dei Prefetti della Diocesi di Roma, tenuta il 7 novembre 2005 (tpfs*)

Presentiamo on-line la relazione che S.E.mons. Rino Fisichella ha tenuto nella seduta del Consiglio dei Prefetti della Diocesi di Roma il 7 novembre 2005. Essa ci introduce alla comprensione dell’evento che si compie nella Traditio, nella trasmissione ecclesiale della fede.

L’Areopago


1. Trasmettere la fede è un impegno di chiunque abbia compreso seriamente il proprio battesimo. Alla base della trasmissione di fede, quindi, c'è la missione ricevuta da Cristo di portare tutte le genti alla conoscenza del Vangelo. Nel popolo di Dio vi sono ministeri diversi che impegnano all'assunzione di ruoli differenti nel processo di trasmissione della Tradizione: pastori, presbiteri e i diaconi, consacrati, laici, tutti sono coinvolti nell'assunzione di una responsabilità che proviene in prima istanza dalla Parola di Dio che chiede di essere trasmessa, celebrata, interpretata, testimoniata perché accomuna tutti nell'unità del battesimo che abilita ad essere soggetto ecclesiale e che immette in quella dinamica conoscitiva propria del sensus fidei che viene donato nel lavacro battesimale. Nessuno potrà mai dimenticare, comunque, che prima di trasmettere un contenuto si deve considerare l'atto con il quale si trasmette. Questo è il primo punto decisivo con il quale ci introduciamo. Se manca la consapevolezza della necessità della trasmissione tutto si riduce a una forma di personalizzazione o a un frammento del tempo.

2. E' interessante osservare come nel Nuovo Testamento quando si parla di trasmissione si qualifica in primo luogo il comportamento. Tutti i verbi che vengono usati indicano un'azione concreta, uno stato d'animo, una decisione di vita e un impegno che si assume con la trasmissione della fede: "comportarsi", "servire", "non sottrarsi mai", "predicare", "istruire", "condurre a termine", "rendere testimonianza", "dichiarare", "affidare", "pregare"… L'impressione che si ricava, insomma, è quella dell'apostolo che nel momento in cui sa che sta trasmettendo sta consegnando se stesso e la sua vita. L'atto del trasmettere è, quindi, un atto mediante il quale ci si consegna. Non si consegna primariamente un contenuto; si consegna se stessi e tutto ciò che si è. Questo è l'impegno della fede che si raccoglie proprio nella indissolubilità di un credere come un atto con il quale ci si abbandona alla grazia di Dio che agisce in noi e mediante il quale si accoglie il Vangelo di Gesù Cristo. In una parola, si potrebbe facilmente trasporre l'assioma classico dicendo che actus tradendi specificatur ab objecto Traditionis. Se si trasmette Cristo allora l'atto con il quale lo si fa deve essere consequenziale.

3. Non saremmo consequenziali nella nostra esposizione se non valutassimo il fatto che Gesù stesso, prima di consegnare e trasmettere qualcosa, consegna se stesso al Padre in un atto che dice puro amore e obbedienza alla sua volontà. E' sempre l'evangelista Giovanni che coglie immediatamente la portata di questo fatto quando sottolinea che nel momento della sua morte Gesù "tradidit Spiritum" (Gv 19,30): consegna lo Spirito. La stessa cosa, comunque, viene compiuta nei confronti della sua Chiesa e di quanti crederanno in lui, a cui consegna lo Spirito come presenza visibile e creatrice di un cammino che attraverserà i tempi e i mondi per restituire poi al Padre il popolo dei redenti. Da ogni parte si volge lo sguardo, si nota che l'atto con il quale si trasmette è un atto fecondo che si fa forte della presenza del creator Spiritus.

4. Si deve considerare che l'espressione storica permanente del trasmettere da parte di Gesù avviene con i suoi discepoli nell'ultima cena; qui Egli offre ancora una volta se stesso. Il pane e il vino sono segno che rinviano a colui che in essi è rappresentato e significato. Il Crocifisso e Risorto rimane veramente presente nel segno del pane e del vino perché Lui così ha voluto imprimere nella storia il dono totale di sé. Dove c'è vera tradizione, là vi è una fecondità di vita che non termina e alla quale non si può rinunciare. L'eucaristia permane nella vita della Chiesa come l'atto unitario della trasmissione e della consegna. Si dovrà pertanto ritornare sempre qui per verificare non tanto l'efficacia della nostra trasmissione, ma la fecondità che essa produce in quanto azione trinitaria.
L'eucaristia, quindi, insegna chi trasmettere e come trasmettere. Si trasmette il mistero pasquale di Cristo e lo si trasmette con la partecipazione a una vita di comunione con lui e i fratelli. Il primo soggetto della trasmissione, quindi, è la Chiesa non il singolo credente, ma la comunità dei redenti che fa memoria viva dell'evento della salvezza.

5. Il processo di trasmissione, infine, inserisce in quella Tradizione della Chiesa che permane viva fino al ritorno di Cristo come forma di una Parola che dà senso alla vita. La Tradizione costituisce uno dei temi fondamentali della vita cristiana. E' il veicolo attraverso il quale la Parola di Dio si trasmette nella Chiesa e coinvolge generazioni di credenti a professare la fede nella Trinità. Essa è all'origine del movimento di fede che permette anche a noi oggi di annunciare la Parola di Dio e di vivere dei sacramenti della Chiesa in piena fedeltà con la fede di sempre. E' bene ricordare in questo contesto le parole di Benedetto XVI: il giorno della presa di possesso della sua Cattedrale di San Giovanni in Laterano: "La Sacra Scrittura, la cui comprensione cresce sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, e il ministero dell'interpretazione autentica, conferito agli apostoli, appartengono l'una all'altro in modo indissolubile. Dove la Sacra Scrittura viene staccata dalla voce vivente della Chiesa, cade in preda alle dispute degli esperti".

6. Da quanto abbiamo detto scaturiscono delle conseguenze pastorali, che potrebbero arricchire la nostra azione già molto ricca in proposito per le diverse iniziative che sono tutte tese a trasmettere la nostra fede. Non è mia competenza progettare un piano pastorale, ma solo suggerire timidamente qualche elemento che la Chiesa antica viveva come atto di una trasmissione che ha permesso ancora a noi di credere.

6.1. E' necessario ritornare alla centralità dell'eucaristia come il luogo naturale della trasmissione di fede. Essa richiama all'unità intorno al vescovo e al suo presbiterio di tutti i battezzati che nel giorno del Signore annunciano la sua risurrezione.

6.2. Ne deriva una pastorale che pone il dies domini di nuovo come tempo dedicato a Dio, alla Chiesa, alla famiglia, ai fratelli e alla natura sulla quale abbiamo sempre una parola da dire.

6.3. Con il mistero dell'eucaristia bisogna porre la professione di fede. E' necessaria una catechesi che riprenda tra le mani il "credo" come atto che esprime un'identità personale e come contenuto sintetico di ciò che sempre ab omnibus et ubicumque creditum est. Si dovrebbe recuperare il senso delle diverse professioni di fede: da quella battesimale in prima persona come segno di una scelta della fede a quella del credo niceno-costantinopolitano che tende a mostrare la fede della Chiesa e l'unità delle Chiese tra di loro; senza dimenticare il simbolo romano che ha una sua storia perché pone i dodici elementi che formano la sintesi della predicazione apostolica.

6.4. La quaresima può essere lo spazio più indicato per porre tutta la nostra comunità in un cammino di crescita verso la consapevolezza del credere e del trasmettere la fede. I testi di s. Agostino potrebbero essere molto utili in proposito perché richiamano la prassi corrente nella Chiesa antica e indicano almeno tre elementi utili per la nostra azione pastorale:

6.4.1. Il simbolo va imparato a memoria. E' necessario che il credente sappia che qualcosa gli viene consegnato e che lo deve restituire. E' urgente una catechesi che entri nel merito della consegna (traditio) del simbolo[1] e della sua riconsegna nella V domenica di quaresima (redditio) [2].

6.4.2. Un ulteriore elemento della prassi antica: il credo non veniva recitato in primo luogo durante l’eucaristia, ma nella preghiera quotidiana. Non è un dato importante per noi oggi? Recitare ogni giorno il credo in cui sono stato battezzato. Questo permette di sollecitare forme di formazione che partano da quanto possediamo nella nostra città e che richiama alla storia della fede che è stata trasmessa: recarmi sulla tomba di Pietro e fare lì la mia rinnovata professione di fede come lui la fede davanti al martirio… allora sì che la domenica risulterà più comprensibile professare insieme a tutta la Chiesa la stessa, unica fede. Ritrovare il senso del battesimo nel Battistero di San Giovanni in Laterano, dove la Chiesa madre genera sempre nuove creature. Valorizzare le catacombe come espressione di una fede nella risurrezione. Riproporre la visita e la vita dei nostri santi e beati che hanno vissuto dell'unica e stessa fede. Avremmo solo l'imbarazzo della scelta.

6.4.3. Un ultimo tratto emerge dagli scritti di s. Agostino ed è la professione pubblica della fede. E' necessario educare, in un periodo come il nostro, che il cristiano non è un uomo privato nei suoi impegni quotidiani e lavorativi, e privato in chiesa la domenica. Il cristiano è sempre, per sua stessa natura, un uomo pubblico e attesta pubblicamente chi è, con una responsabilità che gli proviene dall'appartenere alla Chiesa.

7. Da tutta questa prospettiva, infine, lo spazio della nostra riflessione si dovrebbe concentrare sulla cultura per verificare il momento di trapasso culturale che si sta vivendo. L'attenzione dei Pastori è tesa a trasmettere la fede di sempre, ma con l'occhio vigile al cambiamento in atto. La Tradizione, d'altronde, possiede un profondo valore culturale. Il recupero del tema nell'ambito filosofico è una premessa qualificante. Senza Tradizione, d'altronde, non esiste storia e non è pensabile alcun futuro significativo.

8. Una conclusione si pone come attenzione permanente a non mortificare lo spirito. Quante volte, forse senza neppure accorgersene, lo "Spirito è tradito e consegnato alla lettera" (Balthasar). "Siete veramente abili nell'eludere il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione… annullando la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi" (Mc 7,9.13). Dovremo avere sempre un'attenzione particolare per non trasformare le nostre tradizioni locali in Tradizione.
La Chiesa è παράδοσις immessa nel mondo per mantenere vivo quanto è stato "trasmesso" dal suo Signore (Mt 28,19: ενετειλάμην). In una parola, con il tema della trasmissione diventano di nuovo attuali le parole del Vaticano II: "La Chiesa afferma che al di sotto di tutti i cambiamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli" (GS 10) [3].


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Note

[1] Agostino, Sermo 212,2: “Ecco dunque: vi ho proposto questo breve discorso su tutto il simbolo, come vi dovevo. Mentre il simbolo lo udrete tutto di seguito, vi ritroverete tutto quanto è stato brevemente sintetizzato in questo discorso. Le parole del simbolo non dovete assolutamente scriverle per impararle a memoria, ma dovete mettervele in testa solo ascoltando; e neanche scriverle dopo che le avrete imparate, ma dovete conservarle sempre nella memoria e così riportarle alla mente. D’altronde tutto ciò che ora sentirete nel simbolo è contenuto nei testi divini delle Sacre Scritture e tutto vi capita di ascoltarlo, or qua or là, secondo l’opportunità. Ma quel che, raccolto così e redatto in una forma particolare, non è consentito scrivere, richiama alla mente quella promessa di Dio quando, annunciando per mezzo del profeta la nuova alleanza, disse: “Questa è l’alleanza che io concluderò con loro dopo quei giorni, dice il Signore: porrò la mia legge nel loro animo e la scriverò nel loro cuore. Per realizzare questa cosa, quando si sente il simbolo, lo si deve scrivere non su tavolette o su qualunque altra materia, ma nei cuori. Ed egli che vi ha chiamati al suo regno e alla sua gloria, quando sarete stati rigenerato con la sua grazia, vi concederà che sia scritto nei vostri cuori anche per mezzo dello Spirito Santo, perché possiate amare quello che credete e la fede operi in voi per mezzo della carità, e così possiate piacere al Signore Dio dispensatore di ogni bene non come servi che temono la pena, ma come uomini liberi che amano la giustizia. Ed ecco ora il Simbolo che, già catecumeni, vi è stato istillato per mezzo delle Scritture e dei discorsi della Chiesa, ma che dai fedeli deve essere confessato e professato sotto questa breve formula”.

[2] Id., Sermo 215,1: Nell’unico testo che possediamo sulla redditio, il vescovo di Ippona introduce così il suo discorso ai catecumeni: “Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore. Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore”.

[3] Cfr Giovanni Paolo II in NMI: "Il programma già c'è…"


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