Banalità del male: il nazismo contro il cristianesimo (da Hannah Arendt)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 28 /05 /2008 - 15:33 pm | Permalink | Homepage
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Da Hannah Arendt, La banalità del male, pp.41 e 259

[Eichmann] non ebbe il tempo, e nemmeno il desiderio, d’informarsi bene; non conosceva il programma del partito, non aveva mai letto Mein Kampf. Kaltenbrunner gli disse: “Perché non entri nelle SS?”, e lui rispose: “Già, perché no?”. Andò così.
Naturalmente non era tutto qui.
...
Adolf Eichmann andò alla forca con grande dignità. Aveva chiesto una bottiglia di vino rosso e ne aveva bevuto metà. Rifiutò l’assistenza del pastore protestante, reverendo William Hull, che si era offerto di leggergli la Bibbia: ormai gli restavano appena due ore di vita, e perciò non aveva “tempo da perdere”. Percorse i cinquanta metri dalla sua cella alla stanza dell’esecuzione calmo e a testa alta, con le mani legate dietro la schiena. Quando le guardie gli legarono le caviglie e le ginocchia, chiese che non stringessero troppo le funi, in modo da poter restare in piedi. “Non ce n’è bisogno”, disse quando gli offersero il cappuccio nero. Era completamente padrone di sé, anzi qualcosa di più: era completamente se stesso. Nulla lo dimostra meglio della grottesca insulsaggine delle sue ultime parole. Cominciò col dire di essere un Gottgläubiger, il termine nazista per indicare chi non segue la religione cristiana e non crede nella vita dopo la morte. Ma poi aggiunse: “Tra breve, signori, ci rivedremo. Questo è il destino di tutti gli uomini. Viva la Germania, viva l’Argentina, viva l’Austria. Non le dimenticherò.” Di fronte alla morte aveva trovato la bella frase da usare per l’orazione funebre. Sotto la forca la memoria gli giocò l’ultimo scherzo: egli si sentì “esaltato” dimenticando che quello era il suo funerale. Era come se in quegli ultimi minuti egli ricapitolasse la lezione che quel suo lungo viaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato – la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male.