Bisogna attendere l’amore, farselo dare (da Joseph Ratzinger)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 19 /04 /2007 - 22:48 pm | Permalink | Homepage
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Bisogna attendere l’amore, farselo dare,
da Introduzione al cristianesimo, dell’allora prof.Joseph Ratzinger, Queriniana, Brescia, 1969, pp.215-216


L'uomo non raggiunge veramente se stesso tramite ciò che fa, bensì tramite ciò che riceve. Egli è tenuto ad attendere il dono dell'amore, e non può accogliere l'amore che sotto forma di gratuita elargizione. Non si può far l'amore da soli, senza l'altro; bisogna invece attenderselo, farselo dare. E non si può divenire integralmente uomini fuorché venendo amati, lasciandosi amare. Siccome l'amore rappresenta per l'uomo la più alta possibilità e al contempo la più profonda necessità, e l'elemento più necessario è contemporaneamente il più libero e inesigibile, ne consegue appunto che l'uomo, per ottenere la ‘salvezza’, si trova preordinato al ricevere. Qualora egli rifiuti di sottomettersi a questa legge, ossia ad accettare tale dono, rovina e distrugge se stesso. Un'attività di stampo assolutamente autonomo, che volesse edificare l'esistenza umana unicamente di propria iniziativa, sarebbe una contraddizione in termini. Louis Evely ha formulato questa constatazione in maniera veramente grandiosa:

«L'intera storia dell'umanità è stata fuorviata, ha subìto una frattura per colpa della falsa idea di Dio fattasi da Adamo. Egli volle divenire uguale a Dio. Spero che non abbiate mai visto in questo un peccato di Adamo... Non ve l'aveva forse invitato Dio stesso? Solo che Adamo si è ingannato nell'immaginarne il modellato. Pensò che Dio fosse un essere indipendente, autonomo, autosufficiente; e per divenire come lui, si è ribellato commettendo una disobbedienza.
Ma allorché Dio si rivelò, allorché Dio volle mostrare chi veramente egli fosse, si presentò sotto forma di amore, di tenerezza, di effusione di se stesso, di infinita compiacenza in un altro essere. Simpatia, spontanea dipendenza. Dio si fece palesemente obbediente, obbediente sino alla morte.
Credendo di diventare Dio, Adamo assunse un atteggiamento totalmente diverso da quello di lui. Si ritirò in una scontrosa solitudine, mentre Dio era la comunità per antonomasia».


Tutto ciò comporta indubbiamente una riduzione delle opere, dell'agire, a mera relatività; la lotta dichiarata da S. Paolo alla «giustizia basata sulle opere» va intesa proprio partendo da questa constatazione. Bisogna però soggiungere che, in questo inquadramento dell'operare umano a grandezza solo penultima, sta anche la sua intrinseca liberazione: l'attività dell'uomo può ora estrinsecarsi con quel rilassamento, con quella scioltezza e libertà che conviene al fattore penultimo. Il primato della ricezione non intende affatto esiliare l'uomo in una mera passività; non dice che l'uomo possa ora starsene a braccia conserte, come ci rinfaccia il marxismo. Al contrario, anzi: esso ci agevola piuttosto la possibilità, con alto senso di responsabilità e al contempo senza convulsa agitazione, di affrontare allegri e sciolti le cose di questo mondo, mettendole al servizio dell'amore redentivo.
Ma c'è ancora un'altra conseguenza, che fluisce da questa base di partenza. Il primato della ricezione include la positività cristiana, dimostrandone l'intrinseca necessità. Abbiamo rilevato come l'uomo non riesca a porre di sua propria iniziativa il fattore più genuino e sostanziale; esso gli deve invece pervenire come qualcosa di non fatto da lui, come un elemento che non è un suo prodotto, bensì un libero oggetto che a lui si dona. Ora, se le cose stanno così, vuol dire che anche i nostri rapporti con Dio non possono in definitiva basarsi su uno schema di nostra fabbricazione, su una nozione meramente speculativa, ma esigono invece la positività di ciò che ci sta di fronte, pervenendo a noi come un fattore positivo, da accettare così com'è. A me pare proprio che partendo da questi precisi dati si possa realizzare - per così dire - la quadratura del cerchio della teologia, ossia dimostrare l'intrinseca necessità dell'apparente casualità storica del cristianesimo, la tassativa impegnatività del suo aspetto positivo di avvenimento derivanteci dall'esterno, così ostico e sconcertante ai nostri occhi. L'antitesi, così energicamente sottolineata dal Lessing, tra «vérité de fait» (casuale verità di fatto) e « vérité de raison» (necessaria verità di ragione) risulta in questo modo superabile. Il casuale, il derivante dall'esterno è un dato necessario all'uomo; difatti, solo attingendo dall'esterno è in grado di aprirsi il suo interno. L'avvento in incognito di Dio, che si presenta in veste d'uomo nella storia, ‘deve’ esser tale: deve attuarsi così, per necessità intrinseca della libertà stessa.